Due I.A. in forma umana si scontrano per una donna: più dejà vu che remake

In Cinema

“Tron: Ares” di Joachim Rønning, secondo tentativo di riportare sul grande schermo il rivoluzionario film del 1982 che segnò l’ingresso della computer graphic nel cinema di fantascienza, è l’ennesima riesumazione hollywoodiana di un classico anni 80-90. Mal sorretto da una sceneggiatura piena di personaggi antipatici e situazioni copiate, si salva per il mestiere nelle scene d’azione e grazie a una robusta colonna sonora stile industrial. Jared Leto è un solido protagonista, guerriero algido e un po’ spaesato creato in stampa 3D: impietoso il confronto con il resto del cast

I sei stadi del cordoglio cinematografico: negazione, rabbia, contrattazione, depressione, accettazione e reboot. O, per citare un certo film di fantascienza (a sua volta per certi versi remake del celebre Ricomincio da capo con Bill Murray), “live, die, repeat”. Non si spiega altrimenti la tendenza degli ultimi anni, tutta hollywoodiana, a riesumare dalla naftalina uno per volta ogni classico da grande schermo degli anni ’80 e ’90. Qualche esempio? Dal remake di Judge Dredd, I banditi del tempo, Robocop o Atto di forza alle nuove puntate di Top Gun, Rocky, Karate Kid, Ghostbusters e persino Il principe cerca moglie, fino ai già annunciati rilanci di Highlander e La signora in giallo, entrambi con cast d’eccezione.

Per la verità Tron: Ares, ispirato ancora una volta alla rivoluzionaria pellicola del 1982, è addirittura il terzo episodio del franchise. Ma se l’esordio è ancora oggi a ragione considerato una pietra miliare Disney e non solo, segnando di fatto l’ingresso della computergrafica nell’industria del cinema di fantascienza, lo stesso purtroppo non si può dire dei capitoli 2 e 3. A dirigere questa volta non è più Joseph Kosinski: il regista di Tron: Legacy, capace a suo modo di dare quantomeno una certa (e furba) impronta autoriale al primo sequel, dopo continui tentennamenti e rimandi in fase di produzione è stato infatti rimpiazzato da Joachim Rønning, già dietro alla macchina da presa per Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar. Come nel caso della saga di Jack Sparrow e soci, il norvegese si dimostra specialista nel fare il compitino, ma in tono minore e un po’ ruffiano: bellissima fotografia, spettacolari alcuni effetti speciali e scene d’azione, inesistente tutto il resto.

Certo non si può dire che aiuti la sceneggiatura di Jesse Wigutow, che pure qualcosa di buono lo aveva scritto nella recente serie Marvel Daredevil – Rinascita, ma che qui dà vita a personaggi antipaticissimi e dialoghi troppo brutti per non sperare almeno in una pessima traduzione del doppiaggio italiano. La storia? A metà tra il pretestuoso e il vero e proprio “AI-Washing”, in quello che è forse l’unico spunto interessante di tutta la faccenda, ma ancora una volta sfacciatamente già visto e rivisto, per non dire scopiazzato a mani basse: due intelligenze artificiali dalle fattezze umane, inviate nel nostro mondo da una realtà avveniristica, finiscono per scontrarsi quando una delle due inizierà a provare sentimenti proprio per la donna che dovrebbe eliminare. Praticamente una versione al neon fluo di Terminator 2, ma senza il pollicione di Schwarzenegger, lo sguardo assassino del poliziotto/T-1000 e la colonna sonora dei Guns n’ Roses.

Proprio la colonna sonora, firmata dalla band industrial americana Nine Inch Nails, è anche stavolta uno dei pochi veri punti di forza del film, insieme alla recitazione di un Jared Leto perfettamente a suo agio nel ruolo algido e un po’ spaesato del guerriero creato in stampa 3D. L’attore, premio Oscar per Dallas Buyers Club e anch’egli frontman del gruppo rock-elettronico 30 Seconds To Mars, archivia gli insopportabili toni messianici visti in Blade Runner 2049 (altra rivisitazione…) e il fiasco nei cinecomic Suicide Squad e Morbius, per provare a rilanciarsi nuovamente nelle vesti di eroe ideale hollywoodiano. Missione apparentemente compiuta, perlomeno nel confronto impietoso con chi gli sta accanto: la statuaria modella Jodie Turner-Smith dovrebbe arrendersi all’evidenza e abbandonare finalmente ogni velleità attoriale; Greta Lee, attrice di serie tv, è una co-protagonista tutt’altro che memorabile; Evan Peters veste i panni del solito boy-genius multimilionario da schiaffi, e infatti un paio di meritati manrovesci finisce per prenderli dalla mamma Gillian Anderson, il cui cachet ci auguriamo sia commisurato all’imbarazzo per il personaggio interpretato.

In definitiva, nonostante l’obiettivo dichiarato da parte di Rønning di “colpire lo spettatore a livello emotivo”, è esattamente questo che manca al suo film (così come mancava al precedente Tron: Legacy), al di là del senso di dejà vu per il solito ritornello del “more human than human” nella riflessione sull’intelligenza artificiale. Nonostante la buona volontà, Tron: Ares è soltanto l’ennesimo tentativo di scomodare inutilmente un grande classico, ancora capace di vincere ogni confronto e mostrare gli esperimenti di ammodernamento forzato per quello che spesso sono davvero: pallide imitazioni senza un’anima, naturale o artificiale che sia.

Tron: Ares di Joachim Rønning, con Jared Leto, Jodie Turner-Smith, Greta Lee, Evan Peters, Gillian Anderson, Jeff Bridges, Arturo Castro

(Visited 1 times, 1 visits today)