“Quando anche le donne si misero a dipingere”. Le Signore dell’Arte a Palazzo Reale

In Arte

Una ricca rassegna per cominciare a scoprire l'”Altra metà” della storia dell’arte, troppo spesso dimenticata o rimossa.

All’inizio degli anni Ottanta Anna Banti, studiosa di arte e letteratura, fondatrice della rivista Paragone con il marito Roberto Longhi, pubblica un librino Quando anche le donne si misero a dipingere, brevi ritratti, quasi dei disincantati elzeviri, su donne pittrici. I primi capitoli sono dedicati a Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Fede Galizia, Elisabetta Sirani. Nel 1947 la Banti aveva pubblicato, con grande successo, il romanzo storico Artemisia, dedicato ad Artemisia Gentileschi, imponendo quella icona ribelle e protofemminista che tuttora resiste e che ne ha fatto una delle artiste più amate negli ultimi decenni.

Con uno spirito diverso, rigorosamente scientifico e supportato da un’importante ricerca durata anni, Anna Maria Bava, Gioia Mori e Alain Tapié, i curatori della mostra Le Signore dell’Arte, che – Covid permettendo – inaugura oggi a Palazzo Reale, hanno raccolto più di 130 opere di 34 artiste che hanno operato tra Cinque e Seicento in Italia. Una mostra bella e sorprendente.

Lavinia Fontana, Galatea e amorini cavalcano le onde della tempesta su un mostro marino, 1590 circa. Olio su rame, 48×36,5 cm. Collezione privata. Crediti fotografici: Carlo Vannini

Certo, accostandosi all’esposizione è inevitabile domandarsi se, al di là della diversità di genere, vi sia una sostanziale differenza tra la sensibilità di un’artista donna rispetto a quella di un artista uomo. Non credo che la mostra voglia rispondere esplicitamente a questa domanda che però la scelta di fondo inevitabilmente suscita.

La mostra documenta il lavoro di alcune artiste di cui ci sono rimaste poche tracce accanto a importanti nuclei di opere delle artiste più note e celebrate.

 La prima cosa che salta agli occhi è che – al di là del talento individuale – era in auge, nell’epoca presa in esame, tra Cinque e Seicento, un’educazione sistematica che, per le donne dei ranghi più alti o per le parenti di artisti, consentiva loro di elevarsi dalla figura stereotipa della donne esclusivamente dedita al lavoro domestico. Ne è esempio la formazione delle sorelle Anguissola che, sollecitate dal padre Amilcare, imparano musica, ricamo, disegno, pittura… e ne è prova la quantità di artiste selezionate e citate.

La mostra è divisa in sezioni seguendo un criterio “vasariano” legato cioè all’approccio e alle occasioni che hanno determinato la loro scelta.

La prima immagine, nella sezione “Le artiste del Vasari”, è lo Stemma della famiglia Grassi scolpito da Properzia de’ Rossi che è l’unica donna citata dal Vasari nella prima edizione delle Vite del 1550. Nell’edizione successiva (1568) parlerà di altre tra cui le cremonesi sorelle Anguissola. Il nucleo delle opere di Sofonisba si apre con una pala d’altare che ora è a Paternò (Catania) ,qui esposto per la prima volta fuori dalla Sicilia. Sofonisba aveva sposato un nobile siciliano, Fabrizio Moncada, e dalla Spagna si trasferirà prima in Sicilia, poi alla morte del marito a Genova dove si risposerà, per fare infine ritorno in Sicilia. In mostra ci sono anche due dipinti delle sorelle Europa e Lucia. In questa sezione vi sono poi due opere di Lucrezia Questelli e una di Claudia del Bufalo e un magnifico telo ricamato di Caterina Cantoni. Il ricamo era considerato “pittura in punta d’ago” ed era uno dei passaggi che spesso conducevano le donne a interessarsi di disegno e pittura.

La seconda sezione “Artiste in convento” si apre con la citazione vasariana della monaca Antonia Doni, figlia di Paolo Uccello. Nella sezione si trovano opere di Plautilla Nelli, priora di un monastero a Firenze, e Caterina Vigri, bolognese poi proclamata santa. Il nucleo più consistente della sezione è dedicato a Orsola Maddalena Caccia, allieva del padre Guglielmo detto il Moncalvo che aveva lavorato anche con Federico Zuccari. La produzione di Orsola spazia dalle pale d’altare alle nature morte in uno stile barocco di Seicento maturo e, nelle più riuscite, luminoso.

Elisabetta Sirani, Porzia che si ferisce alla coscia, 1664. Olio su tela, 101×138 cm. Bologna, Collezione d’arte e di storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna

La terza sezione “Storie di famiglia” che riguarda “le figlie e le sorelle” di artisti più o meno affermati, è la parte più vivace dell’allestimento. Vi si possono ammirare l’elegante Lavinia Fontana, figlia di Prospero, un artista che lavorava per Giulio III, con i suoi bellissimi ritratti e autoritratti, un notevole gruppo di famiglia, e i sensuali dipinti dedicati a Cleopatra, Giuditta e Oloferne, Galatea e Venere. Siamo in atmosfera pienamente manierista, come nel lavoro di Barbara Longhi, figlia del ravennate Luca. Si ritorna in pieno Seicento con una delle artiste più interessanti, Elisabetta Sirani, figlia dell’allievo di Guido Reni Giovanni Andrea (che ebbe come allieva anche Ginevra Cantofoli). Elisabetta, che morì a soli 27 anni, in un decennio espresse una pittura di straordinaria intensità. Porzia che si ferisce alla coscia del 1664 è un capolavoro.

Ci sono poi le figlie di due grandi maestri tra Cinque e Seicento: Marietta Robusti, figlia di Jacopo, anche lei chiamata la Tintoretta, con due bellissimi ritratti, e Rosalia Novelli, figlia del palermitano Pietro di cui emula le qualità in una magnifica pala d’altare oggi a Palermo e per la volta in mostra per l’occasione. Altro momento alto della sezione è il gruppo di opere di Fede Galizia, figlia del miniaturista Nunzio: nature morte in stile caravaggesco e una Giuditta con la testa di Oloferne. La sezione si chiude con i tripudi floreali delle sorelle Volò, figlie del pittore borgognone Vincent Voulot: Margherita, Giovanna e Francesca, detta Francesca Vicenzina, la più talentuosa.

La quarta sezione “Le Accademiche” presenta le artiste che si valsero a partire dal 1607 del cambio di statuto dell’Accademia di San Luca di Roma che consentiva la partecipazione femminile priva però del diritto di presenziare alle sedute esecutive. Ne fecero parte, oltre a Elisabetta Sirani, Anna Maria Vaiani, Maddalena Corvina, Plautilla Bricci, Virginia Vezzi e Giovanna Garzoni con i ritratti di Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I di Savoia e una serie di nature morte davvero notevoli.

Artemisia Gentileschi, Maddalena penitente, 1627-1629. Olio su tela, 100×73 cm. Museo Correale di Terranova, Sorrento

La mostra si chiude con la star designata: Artemisia Gentileschi. Ormai quello nei suoi confronti è un vero culto. La violenza subita dal pittore Agostino Tassi, il tentativo di affrancarsi dalla figura del padre Orazio, il fascino indiscutibile, la capacità imprenditoriale, i suoi viaggi – da Roma a Londra, da Firenze dove divenne accademica del disegno a Venezia, e infine Napoli – ne hanno fatto un personaggio che trascende la storia dell’arte. Oltre a cinque dipinti – tra cui lo splendido Davide con la testa di Golia – sarà presente in mostra (non è ancora giunto per via del lockdown) una Maria Maddalena del 1630-1631, un olio su tela della Sursock Palace Collection di Beirut che sarà esposto prima del restauro. Il quadro è stato danneggiato nell’esplosione al porto libanese dell’estate del 2020.

E quindi, alla fine, c’è una specificità femminile? Nonostante nel bel catalogo Skira si faccia riferimento a una maggiore libertà del dipingere femminile dovuto all’assenza di vincoli accademici e a percorsi alternativi di formazione, direi di no. Le donne volevano essere apprezzate nella loro arte perché brave “come gli uomini”.

Perché una sensibilità diversa emerga occorrono le tensioni che emergeranno nel Novecento in artiste come Nathalia Goncharova, Frida Kahlo, Tamara de Lempicka. E il pensiero va alla stupenda mostra tenutasi negli stessi locali nel 1980: L’altra metà dell’Avanguardia 1919-1940, organizzata da Lea Vergine, vittima del Covid.

Le Signore dell’arte. Storie di donne tra ‘500 e ‘600, a cura di Anna Maria BavaGioia Mori e Alain Tapié, Milano, Palazzo Reale, fino al 25 luglio 2021.

Immagine di copertina: Sofonisba Anguissola, Partita a scacchi, 1555. Olio su tela, 70×94 cm. Poznań, Fondazione Raczyński presso Narodowe Museum di Poznań.