Sulla collina di Spoon River

In Letteratura

Torna in edicola, per i tipi del Saggiatore, L’Antologia di Spoon River, con tre inediti mai pubblicati in Italia.

È bene chiarire subito questo punto: l’Antologia di Spoon River non è poesia né prosa. Non ha alcuna caratteristica esteriore né dell’uno né dell’altro genere. Etichettarla sarebbe un grave quanto stupido errore. L’Antologia è il cuore stesso della poesia e della prosa insieme. È vita. Questo è il solo genere al quale appartiene.

Dove risiede quindi la sua importanza? Perché un libro, che a prima vista potreste considerare amorfo, è invece così tanto magnetico? E infine perché prendete quelle stesse parole, quelle stesse storie vecchie cent’anni e vi sembrano essere state scritte mentre le leggete?

A volte le domande sono già delle risposte. Apritela. Parlatele. Ascoltate con attenzione le scarne confessioni delle 248 anime che abitano il cimitero di Spoon River, senza cedere alla tentazione di crederle morte: sono vive quanto voi. Ecco la prima risposta: la grandezza di un testo risiede nella sua vitalità. Io credo, parafrasando Pavese, che ognuno di voi possa trovare tra quelle anime se stesso “tanto” ogni verso “è vasto di esperienze”; che ognuno abbia la sua personale confessione.

Questo libro prezioso fu pubblicato la prima volta da Einaudi nel 1943, nella traduzione di Fernanda Pivano. Una traduzione pulita, fedele, semplice eppure poetica. Tutta la sterminata gamma di sentimenti che umanizza le anime di Spoon River è preservata in questa trasposizione, tanto da renderla, a mio giudizio, una vetta irraggiungibile per chiunque.

Ecco perché, quando mi è stata inviata l’anteprima della nuova edizione dell’Antologia uscita per i tipi del Saggiatore nella traduzione di Antonio Porta, a parte i tre inediti, ho pensato al perché di riproporre un libro che da quel 1943 in Italia ha visto la luce in più di sessantadue edizioni e che per giunta avrebbe dovuto battersi con un invincibile predecessore. Ho letto le prime venti epigrafi confrontandole, contemporaneamente, a quelle tradotte dalla Pivano. E più leggevo, più la mia convinzione si nutriva.

Un ultimo tentativo è stato andare direttamente alle pagine che contengono i versi che considero le mie confessioni. Nell’indice della nuova edizione de Il Saggiatore, quella di William Goode è a pagina 501:

A tutto il paese senza dubbio poteva sembrare
che io andassi di qui e di là senza una direzione. […]
E se […] hai seguito incerto ora una strada ora un’altra
ovunque si vedeva brillare la luce della Via Lattea,
tentando di trovare il sentiero,
dovresti allora capire che io cercavo la via
con ardente zelo, e che tutto il mio peregrinare
era peregrinare nella ricerca.

La traduzione della Pivano è simile, ma differisce in un punto, insignificante ai fini del senso restituito, fondamentale in quello dell’emozione: l’interlocutore. La Pivano rende “you” e “your” con voi e vostro; Antonio Porta con una seconda persona singolare. Nessun errore nella resa. Il senso è preservato in entrambe le trasposizioni. La forza della parola, però, qui è aumentata.
Ognuno di voi viene lasciato solo di fronte a William Goode, senza alcuna compagnia, e da solo deve affrontare le sue parole.

La scelta del “tu” si ripete a pagina 185, quando a parlarci è Griffy il bottaio:

[…] Credi che il tuo sguardo
comprenda un ampio orizzonte, forse;
in verità stai solo girando intorno
all’interno della tua botte.
Non puoi tirarti su fino al bordo
e vedere all’esterno il mondo delle cose,
e nello stesso momento vedere te stesso.
Sei sommerso nella botte di te stesso –
tabù e regole e apparenze
sono queste le doghe della tua botte.
Spezzale e dissolvi la magia
di credere che la tua botte sia la vita!
E di conoscere la vita!

 

Sembra chiaro, a questo punto e almeno a me, che – proprio per la scelta di questa seconda persona singolare nella quale quasi non inciampiamo più, tranne quando Masters la rende ovvia –  queste siano le due confessioni di Porta.

È proprio dopo questa considerazione che ho compreso il perché della grandezza di Spoon River: la sua perfetta incompiutezza. Un non finito michelangiolesco. Potreste prendere una qualsiasi di quelle persone e immaginare, fantasticare sulla sua storia. Potete pensare che stiano parlando a tutti voi o solo a te. Ogni confessione è solo una traccia. Uno scarno canovaccio di pochi versi liberi da seguire; ma al di là c’è un mondo e sta ad ognuno di voi ricostruirlo a suo modo.

La traduzione, come è ovvio, è anch’essa influenzata dallo spirito di Spoon River.

La Pivano nel 1943, nel bel mezzo della dittatura fascista e dell’occupazione nazista, è a una massa di persone da risvegliare che si rivolge. In un momento storico nel quale, nonostante la barbarie delle due guerre, ancora si credeva alla possibilità di una reale, sincera comunione tra persone. Ancora si credeva alla parola collettività. Alla possibilità, speranza, di un mondo diverso da quello. È per questo, io credo, il perché inconscio della lettura di quel “you” come un “voi” e non come un “tu”.

Antonio Porta termina la sua traduzione nel 1987. Le due guerre sono state assorbite. Il genocidio nazista e quello comunista sono stati illuminati. Il Vietnam. Il fallimento del 68. Le BR. Aldo Moro. Gli attentanti in Piazza Fontana, Brescia, Bologna. Le promesse, alla fine degli anni 80, per Antonio Porta come per tutta la letteratura post bellica erano state disilluse. Le speranze erano diventate una realtà differente da quella sperata. Una realtà nella quale adesso era il capitalismo a comandare, gli yuppie, l’individualismo spiccato. Nessun “voi” collettivo ma un “tu” solitario. Antonio Porta si sente solo dinanzi a quelle due confessioni e da solo lui parla con quelle due anime. E da soli vi costringe a parlare.

L’importanza di questo libro sta nel suo essere apolide, atemporale. Un hic et nunc immutabile ma malleabile. Un materiale, e le due traduzioni ne sono la prova ultima, che può essere ricreato di volta in volta secondo gli occhi di chi lo guarda eppure rimanere sempre lo stesso. Un eterno divenire… o, per usare le parole di Cesare Pavese a riguardo, “una ricerca sempre rinnovata”, una “risposta non data mai in definitivo, ma sempre rinnovata per ciascun individuo”. È in questo rinnovamento tutto soggettivo che Porta compie la sua ardua impresa. L’impatto della parola creato da Porta nelle due epigrafi citate – e in molte altre – genera una forza poetica non sempre presente nelle altre edizioni. Questo è ciò che rende la sua traduzione un’altra e differente vetta da scalare.

Infine, una breve nota spetta di certo ai tre inediti presenti, per la prima volta in Italia, in questa nuova edizione del Saggiatore. La genesi, un vademecum alla lettura dell’Antologia dello stesso Masters. Spooniade, breve poema incompiuto nel quale Jonathan Swift Somers (poeta e anima del cimitero) prima di morire si era fatto narrare – come Omero – le gesta degli abitanti di Spoon River dalla Musa. L’Epilogo, pièce teatrale in rima, a chiudere idealmente il cerchio vita/morte aperto dalla domanda iniziale della Collina “Dove sono…?” con queste parole “Vita infinita.”.

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