Sterminio alla fine del mondo

In Teatro

Testori giudica, nel suo ultimo libro, tuona, emette la sentenza, sconta la pena per tutti, soffre e colpevolizza l’effimero e il virtuale: Gli angeli dello sterminio è oggi uno spettacolo – profetico – diretto da Renzo Martinelli

Camminando insieme a Giovanni Testori sull’orlo del baratro contemporaneo che il grande lombardo aveva da tempo intuito e per cui ci aveva comunicato terrore, il Teatro I prosegue il suo cammino dentro la carne, il sangue e le viscere della drammaturgia testoriana.

Lasciata l’eccezionale Federica Fracassi nell’Erodìas, ecco ora un’operazione più composita e macchinosa, la drammatizzazione dell’ultimo racconto di Testori, Gli angeli dello sterminio, scritto guardando dalla finestra dell’ospedale la nebbia milanese, uscito nel 92 per la Longanesi. Renzo Martinelli, anche regista che manovra benissimo il traffico delle parole, con Francesca Garolla ha ridotto per la scena questo non copione che è un racconto, un diario, qualcosa forse di incompiuto, una serie di appunti che appaiono infatti, quasi in modello brechtiano, sullo schermo parete dietro i tre attori con la firma del suo famoso autore, partito sul Ponte della Ghisolfa e arrivato ai tre Lai della Madonna.

Era difficile teatralizzare la parola testoriana che contiene sempre in sé la duplice natura benedetta e maledetta, soprattutto in questo romanzo breve in cui si predice la fine di Milano e della sua Cattedrale. Cioè la fine del mondo. Chissà se sono affiliati all’Isis i motociclisti che rombano per la metropoli mettendola letteralmente a ferro e fuoco, ma certo l’incubo del centauro e della sua folle velocità era stato comune anche a Fellini che ne aveva fatto un ottimo uso evocativo in “Roma” nel 1972.

Su un contesto di scontro di classe, una società in disfacimento attende la Fine bevendo champagne e l’Apocalisse arriva appunto con i motociclisti in tuta nera (i giochi del destino, Martinelli è stato un campione di moto) che invadono e devastano la città. Testori ancora una volta confessa di non essere riconciliato col suo tempo e questi fogli di diario che ogni tanto si accendono delle sue passioni e del suo linguaggio, ne sono l’ultima testimonianza, un filo di rabbiosa spiritualità mentre intorno a noi il mondo brucia.

Fu un grande profeta, l’autore dell’Arialda e della Maria Brasca, con la sua voce morbida annunciava il peggio, tanto che anche chi ha una visione laica del pulito come il regista del Teatro I non ha alcun problema ad indossare le paure di Testori che conosceva i nomi dei responsabili del crollo, come li conosceva Pasolini: “Il racconto annuncia una Apocalisse – dice Martinelli – che lascerà dietro di sé un apocalittico deserto.

Dio non c’è più, è morto e forse non è mai stato, ma non abbiamo una norma di ricambio”. Scena spoglia, un ring bianco, un rigagnolo di sangue e l’inseguimento dei tre attori nel perimetro circolare della scena e nel suo doppio intravisto dietro lo schermo sipario, dove appaiono tre letti-tombe. La novità è che Testori sceglie di narrare con un modello per lui inedito, l’horror, quasi stile splatter, zombie, con l’anima in fiamme (già da molto).

Lontano dal Ponte della Ghisolfa e dalle sue Gilde del Mac Mahon, Testori giudica nel suo ultimo libro, tuona, emette la sentenza, sconta la pena per tutti, soffre e colpevolizza l’effimero e il virtuale, poi incendia tutto facendosi inondare da quei sacri sguardi eterni dagli affreschi del Monte di Varallo. Pur con qualche rebus non risolto – ma in fondo Martinelli mette in scena la dialettica della scena e una impari lotta tra la prima e la terza persona, lo spettacolo attrae e spaventa nel suo dantesco girovagare in tondo, facendo della distruzione un’occasione teatrale che prescinde quasi dalla Fede dell’autore.

E i tre attori sono straordinariamente bravi nel servire, nell’osservare tutti questi lati del testo e della regìa, ponendosi al servizio di qualcosa in divenire: il “vecchio” è Ruggero Dondi, riservato e pensoso ma davanti a un mostro che non vediamo. I due giovani bravi e bravissimi sono Liliana Benini ed Emanuele Turetta spavaldamente in bilico sulla tragedia, consapevole o no, ex Egisto per gli Atridi di Latella. Ed anche questa è una Santa Estasi.

Gli angeli dello sterminio, al teatro i fino al 29 maggio 

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