Le scarpe di Lucano e un altro racconto della Calabria

In Letteratura, Weekend

Dopo la sentenza che ha condannato Mimmo Lucano e l’esperienza di Riace, nel giorno delle elezioni regionali in Calabria il libro dell’ex sindaco ed altri due di fresca uscita – A sud del sud’ di Giuseppe Smorto e ‘Storia dell’antindrangheta’ di Danilo Chirico restituiscono storie, contesto, complessità. Quella che manca ad una narrazione pigra e stereotipata di quel pezzo di sud

Da ragazzo, prima di uscire per le strade del suo paese che guarda dall’alto lo Jonio calabrese, Mimmo Lucano non voleva allacciarsi le scarpe. A sua madre e a suo fratello che cercavano di convincerlo, e soprattutto di capire perché non si volesse allacciare quelle benedette scarpe senza fare troppe storie, ogni volta rispondeva ‘Non me le allaccio perché lo fanno tutti’.

Troppo facile dire oggi – condannato lui in primo grado a 13 anni e due mesi per aver fatto quello che mezzo mondo giudica un esempio straordinario di accoglienza e di incontro tra nativi e migranti – che questa abnorme sentenza pronunciata dal Tribunale di Locri arriva proprio perché le scarpe Mimmo Lucano non se le è volute allacciare? O meglio, non ha voluto indossare quelle più comode di chi sceglie il realismo e un po’ si adatta, un po’ si arrende. A maggior ragione in Calabria. Ma, nel suo caso, soprattutto vorrebbe dire adattarsi al sistema della cosiddetta ‘accoglienza’, alle sue mancanze, farraginosità e ipocrisie.
D’altra parte non molto si vuole dalla Calabria medesima e da chi la abita, se non che confermi gli stereotipi e le conseguenti narrazioni di terra perduta a se stessa, preda o complice della potentissima ‘ndrangheta, o comunque arresa. Sfasciume pendulo sul mare, mi diceva un bravissimo e altrettanto democratico giornalista citando Giustino Fortunato, e in quel suo dire mascherato da scherzo pesava, sulla Calabria, un qualche giudizio morale. 

L’articolo che state leggendo voleva, nel giorno delle elezioni regionali in Calabria, raccontare di un’estate disperante e struggente – raramente così bello il mare e mai vissuta prima una distruzione del fuoco come quella che ha dolosamente divorato, in Aspromonte e altrove, 14 mila ettari – estate in cui due libri, accompagnati dai loro autori, entrambi giornalisti, entrambi calabresi, hanno girato la regione giungendo, per curiosa ma utile coincidenza, nello stesso giorno di fine agosto alla tappa reggina, sullo Stretto. Libri assai diversi – A sud del sud  di Giuseppe Smorto e Storia dell’antindrangheta di Danilo Chirico – che però rispondono, ognuno a suo modo, a importanti questioni. La prima è la necessità di uscire dalla dialettica che potremmo chiamare accusa-difesa, Calabria arresa e perduta da un lato e dall’altro, detto un po’ sbrigativamente, quel rinserrarsi vittimista e un po’ cieco nell’esaltarne storia e bellezza che chi è meridionale ben conosce. La seconda questione è che entrambi i libri –  sia il reportage di Smorto nella Calabria delle buone e coraggiose storie, sia il racconto lucido delle radici e dell’azione dei movimenti antimafia calabresi firmato da Chririco, restituiscono complessità, chiaroscuri, contraddizioni, piani interpretativi: ci dicono insomma che in Calabria c’è molto di più da scoprire e molto e diversamente da raccontare di quanto abitualmente si legga. E lo fanno in modo partecipe ma senza indulgenze, e fuori dalle retoriche più in voga, esito, soprattutto per il libro di Chirico, tutt’altro che scontato.  

Di questo, qui si voleva parlare. Di narrazioni molteplici, di sguardi meno convenzionali, persino di numeri tristemente eloquenti: non una Calabria, e sempre la stessa, ma le molte in cui tantissimo resta da fare ma tanto si fa, tra mille fatiche non soltanto ascrivibili al peso della criminalità organizzata ma che rimandano a diritti negati, sanità, lavoro, mobilità. Di questo parlano le storie, quella di Riace inclusa, raccolte da Smorto e della colpevole assenza e inadeguatezza della politica, questa è l’opportuna e non acritica conclusione di Chirico: serve un’antimafia popolare, che non divida il mondo tra buoni e cattivi e stia sulle questioni sociali, economiche, politiche dei territori, e non sul sentiero di una astratta legalità o, peggio, sulla scia del populismo penale che da anni imperversa.

Poi, sul finire della settimana, è arrivata la notizia della condanna a Lucano: temuta, dopo che l’accusa aveva sollecitato per lui oltre sette anni di reclusione, ma caduta come una clava sulla tenue speranza che quella che usiamo chiamare giustizia riuscisse invece a interpretare al meglio il proprio ruolo e mandasse con la sua pronuncia il semplice, fondamentale, messaggio di avere capito. Capito chi è Lucano, e per quale motivo ha prima soccorso e poi (non) riempito tutti i moduli necessari, capito cosa è l’esperienza di Riace, o meglio cosa è stata, visto l’accanimento e lo strangolamento subìto, prima che giudiziario, politico e amministrativo. E invece: 13 anni e due mesi di carcere senza attenuanti e un sacco di denari da risarcire a lui che di certo non ne ha e pesantissime condanne anche ai suoi coimputati. E se le spiegazioni ‘tecniche’ ci sono è perché, come spiega qui un giurista del calibro di Luigi Ferrajoli, quelle si possono sempre adattare alla bisogna. I giudici dispongono di una enorme discrezionalità giudiziaria, ha detto, e conviene tenerlo a mente. Cancellato il contesto, rimossa la storia – attenzione, non solo quella di Lucano, e dei suoi coimputati, ma le nude vite di chi a Riace ha trovato rifugio e futuro – cancellate persino le pronunce di altre magistrature, è rimasta la contabilità aggravata e la chiara intenzione punitiva di un modello di accoglienza che risponde alla gigantesca questione delle migrazioni e non si volta dall’altra parte. Messaggio indiretto e amarissimo: nulla si può fare, meglio non provarci. In Calabria poi. Paga chi resta col cerino, dopo che per anni era a lui che si telefonava per chiedere di accogliere altri migranti appena sbarcati…‘sa, Milano ne prende solo venti’. 

E allora: nel 2020 Mimmo Lucano ha scritto per Feltrinelli la propria storia. Il fuorilegge è il titolo e chissà se l’ha scelto lui. Riprenderlo in mano è servito a dare cornice all’amarezza, alla disillusione che in tanti abbiamo provato e condiviso, dopo la sentenza, in molte piazze di tante città e paesi d’Italia. Racconta dell’infanzia, di sua madre ‘amica degli zingari’ e dei santi protettori di Riace Cosma e Damiano, i medici della Cilicia che curavano senza guadagnarci e ai quali è dedicata una gran festa che tutti comprende e accoglie. Xenìa, l’ospitalità, siamo in Magna Grecia, e sì, si chiama così anche l’inchiesta che riguarda l’ex sindaco e i suoi collaboratori. Racconta, il libro, della sua educazione alla politica, della sinistra in Calabria, di Rocco Gatto e dell’antimafia, dell’emigrazione che spopola il paese e di quello sbarco di curdi che  ha cambiato il corso delle cose, gli ha causato incomprensioni e dolorosi problemi, anche in famiglia. Lo fa nel modo semplice che gli è abituale e con generosità di sé, questa sì antica radice calabrese. ‘C’era stato uno sbarco, c’era un paese abbandonato e c’erano l’dea e la necessità del ripopolamento’. Ancora: ‘Abbiamo usato quei famosi 35 euro tanto vituperati dalla propaganda per far rinascere una città. Le ristrutturazioni, l’anfiteatro, il frantoio, le borse lavoro, i laboratori, i festival..”. E gli asini per raccogliere la spazzatura nelle vie del vecchio borgo e l’entusiasmante ricerca di una falda perché Race avesse l’acqua pubblica. Mettete da un lato questa storia e i suoi inciampi – inciampa chi vive e ci prova – e la scommessa di fare dei migranti cittadini tra cittadini di un paese antico e nuovo al tempo stesso, mettete accanto le contraddizioni, le ipocrisie, le mancanze delle politiche di accoglienza del nostro paese e i nomi e i cognomi di chi ha remato contro, combattuto,  ispezionato, o invece sostenuto o cambiato idea e, sull’altro piatto della bilancia, il lungo, pesantissimo elenco dei capi di imputazione per cui è stato condannato:  le conclusioni e l’enormità della distanza le tiri chi legge. 

Oggi e domani si vota in Calabria per il rinnovo del governo regionale, Mimmo Lucano è candidato consigliere. In queste ore molti sui social si augurano abbia una valanga di voti.  I ragazzi dello Statale jonico fulminano: ‘Elezioni calabresi. Non mi aspetto niente ma sono già deluso’. 

In Calabria, rubo a Smorto, vivevano 2 milioni e seimila persone nel 2001, nel 2009 un milione e 894 mila persone, nel 20018 sono partiti in 15 mila, il tasso migratorio è il più alto d’Italia. Partono i giovani e non solo: partono i genitori al momento della pensione per raggiungerli, parte ancora e sempre chi non trova lavoro.

I Lea sono i livelli essenziali di assistenza sanitaria: il punteggio del Veneto è 222, quello della Calabria 161, il minimo è 160. A Milano io usufruisco dello screening pubblico per il tumore al seno, le mie sorelle, le mie amiche in Calabria me lo invidiano e pagano le mammografie. Poi, se le cose vanno male, partono e gli aerei sono pieni di calabresi che vanno e tornano per curarsi.

Il 46% delle famiglie calabresi non ha un pc: la media in Italia è del 38,8. 

Si potrebbe continuare: un dato fondamentale riguarda le donne e senza di loro non c’è futuro. In Italia lavora il 49% di donne, ma in quel numero c’è il tasso di Milano che sfiora il 70 e quello calabrese fermo al 29, certifica l’Eurostat. Alla presentazione di A sud del sud a fine agosto sulla terrazza di quello straordinario museo che ospita i bronzi di Riace e non solo, un medico ostinato e bravo ha segnalato che la provincia di Reggio Calabria ha anche un altro record negativo: nel gran gelo della natalità in Italia, è lì che nascono ancora meno bambini. E non perché non li si desideri. C’è la burocrazia del declino da combattere, diceva giustamente Smorto, accanto c’è questo materialissimo declino, conseguenza di chi decide di non mettere al mondo perché non trova attorno a sé le condizioni minime per farlo. Però era una bella sera di fine agosto, lo Stretto, dalla terrazza del museo archeologico, lasciava senza fiato, e per il gelato di Cesare si faceva volentieri la fila.

Mimmo Lucano, Il fuorilegge, Feltrinelli 2020
Giuseppe Smorto, A sud del sud. Viaggio dentro la Calabria tra diavoli e resistenti, Zolfo editore 2021
Danilo Chirico, Storia dell’antindrangheta, Rubbettino 2021

In apertura, borgo calabrese, 2019.

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