Ghetto di Varsavia: la lotta di Emanuel Ringelblum per la verità e la memoria

In Cinema, Weekend

‘Chi scriverà la nostra storia è il docufilm di Roberta Grossman che racconta la vita nel Ghetto di Varsavia e l’incredibile lavoro di testimonianza di ciò che, giorno dopo giorno, accadeva agli ebrei reclusi condotto dal gruppo fondato dallo storico Emanuel Ringelblum: 60 mila pagine di un archivio unico che è stato seppellito dai suoi autori prima di essere deportati e ritrovato dopo la guerra

Chi ha studiato a fondo la storia della Shoah, che in questi giorni da molte parti si rievoca, si ricorda e si  dibatte in occasione della Giornata della Memoria del 27 gennaio, conosce certamente quel capitolo importante e unico in cui gli ebrei cercarono di ribellarsi al proprio destino, ovvero la rivolta del Ghetto di Varsavia. Tuttavia, pochi sanno che nello stesso periodo, in quel luogo ci fu chi combatté una battaglia parallela, non attraverso armi o barricate, bensì con la scrittura. È ciò che narra il docufilm Chi scriverà la nostra storia, diretto da Roberta Grossman.

La vicenda inizia nel novembre 1940, quando i nazisti rinchiudono nel ghetto di Varsavia 450mila ebrei, molti dei quali profughi dal resto della Polonia occupata dai nazisti, costretti a vivere in condizioni sempre più disperate. Uno degli internati, lo storico Emanuel Ringelblum (interpretato nel film da Piotr Glowacki), mette insieme un gruppo segreto di intellettuali denominato Oyneg Shabes (La gioia del Sabato in yiddish) per documentare giorno per giorno le atrocità a cui assistono nel ghetto mediante diari, saggi, racconti e testimonianze, e raccontare quei fatti storici dal proprio punto di vista. Prima di andare incontro a un tragico destino, essi riusciranno a mettere insieme un archivio di oltre 60mila pagine di documenti. Raccontando la propria storia insomma, come da domanda del titolo del docufilm.

Innanzitutto occorre capire il contesto nel quale si sono svolti i fatti. Istituito dai nazisti  il 16 ottobre 1940 in seguito all’invasione tedesca della Polonia, quello di Varsavia diventerà il più grande ghetto ebraico d’Europa, in cui la popolazione era costretta a vivere in condizioni sempre più disperate, a meno che non facessero parte della polizia ebraica aiutando  i tedeschi  a perseguitare gli altri ebrei. Molti in quegli anni  morirono di fame e di malattie, finché nell’estate del 1942 iniziarono le deportazioni nei campi di concentramento. Eppure  il 19 aprile 1943, alcuni internati nel ghetto, che si erano procurati armi da fuoco e molotov, decisero di ribellarsi e  iniziarono a colpire i soldati tedeschi dando inizio a una rivolta che durò fino al 16 maggio. Alla fine tedeschi eliminarono gli ultimi ebrei rimasti e il ghetto venne definitivamente raso al suolo.

Gli aspetti peggiori, più degradanti della vita quotidiana cui la popolazione era costretta venivano anche sfruttati cinicamente dai nazisti che divulgavano all’esterno fotografie in cui gli ebrei erano mostrati sporchi e pieni di malattie:pubblicate sui giornali quelle foto accreditavano  la necessità  prima della loro reclusione, poi della deportazione. Questa è una delle ragioni che spinsero l’Oyneg Shabes a fare ciò che fece: occorreva far conoscere a tutti la vita nel ghetto dal punto di vista delle vittime, oltre che da quello dei carnefici. Prima di essere deportati, i membri del gruppo riuscirono anche a far arrivare alcuni resoconti ai media britannici, che poterono così raccontare al mondo cosa stava succedendo e poi a seppellire il loro prezioso lavoro di testimonianza che verrà ritrovato dopo la guerra.

 

Nel docufilm, tratto dall’omonimo libro dello storico Samuel Kassow, questa storia viene raccontata con grande efficacia narrativa in tanti modi diversi, con interviste a importanti studiosi della Shoah, con parti di fiction in cui compaiono i personaggi principali della vicenda, tra cui Ringelblum e la sua assistente Rachel Auerbach (che sarà uno dei soli tre membri del gruppo a sopravvivere alla guerra e che viene interpretata da Jowita Budnick ) e rare immagini d’archivio accompagnate dalle voci narranti di Ringelblum e della Auerbach (doppiati rispettivamente dagli attori hollywoodiani Adrien Brody e Joan Allen). Proprio Adrien Brody è assai noto per la sua interpretazione da Oscar in un altro film sul Ghetto di Varsavia, Il pianista di Roman Polanski, che raccontava la vera storia del pianista sopravvissuto alla Shoah Wladislaw Szpilman e che vinse anche le statuette per la migliore regia e sceneggiatura non originale.

Un altro film uscito di recente sull’argomento, anch’esso ispirato a una storia vera, è La signora dello zoo di Varsavia di Niki Caro, protagonista Jessica Chastain. In ambito letterario un romanzo che descrive  la vita  quotidiana degli ebrei reclusi nei ghetti nazisti è Notte di Edgar Hilsenrath, ispirato all’esperienza dell’autore in un ghetto ucraino, mentre la storia e la resistenza del ghetto di Varsavia sono stati raccontati in diversi libri da Marek Endelman che partecipò all’insurrezione e che fu uno dei pochi a sopravvivere. 

Chi racconterà la nostra storia, prodotto tra gli altri da Nancy Spielberg (sorella di Steven) e dal presidente del Congresso Ebraico Mondiale Ronald Lauder, esce non solo in occasione della Giornata della Memoria, ma anche e soprattutto  a pochi giorni da un recente, e assai inquietante sondaggio, secondo il quale l’89% degli ebrei che vivono in Europa pensa che negli ultimi cinque anni l’antisemitismo sia aumentato. Un motivo in più per ricordare cos’è stata la Shoah, anche attraverso le storie di chi, come Ringelblum, si è battuto fino all’ultimo per difendere e tramandare  la verità di ciò che è stato.

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