L’infanzia e la Shoah: Polanski, Horowitz e l’incubo di Cracovia

In Cinema

La giornata della memoria offre al cinema “Hometown-La strada dei ricordi” un documentario di Mateusz Kudla e Anna Kokoszka-Romer che ha per protagonisti il grande regista Roman Polanski e il celebre fotografo Ryszard Horowitz. Amici d’infanzia, entrambi coinvolti nello sterminio nazista degli ebrei polacchi, tornano dopo 60 anni insieme a Cracovia per ricordare e raccontare le loro tragiche infanzie. E qualche motivo e momento di attrito di quei tempi che appaiono, forse a torto, lontani

E’ il documentario Hometown-La strada dei ricordi, diretto da Mateusz Kudla e Anna Kokoszka-Romer, il pezzo più pregiato e particolare che il cinema regala quest’anno (in verità il film è del 2021, ma esce solo ora sui nostri schermi) in occasione della giornata della memoria della Shoah. Di questa storia eccezionalmente drammatica, sono eccezionali anche i due protagonisti: il regista Roman Polanski, che l’oscar l’ha vinto nel 2003 proprio per un film sull’Olocausto ebraico, Il pianista, e il grande reporter Ryszard Horowitz, pioniere della fotografia con effetti speciali che ha preceduto l’imaging digitale. Amici d’infanzia, cresciuti al tempo tragico delle persecuzioni naziste in Polonia (Horowitz è anche sopravvissuto al lager), tornano ai luoghi amati della Cracovia dove hanno vissuto le prime esperienze di un’infanzia e una prima giovinezza segnate dai tanti familiari morti e dai dolori causati a due bambini ebrei dalla crudeltà dei nazisti occupanti.

Hometown è un film di luoghi, oltre che di persone e avvenimenti storici. Prima di tutto di case, palazzi, da quelli che delimitano la grande piazza centrale della bellissima città alla porticina d’accesso al ghetto, nell’ultima versione, di fatto già concentrazionaria, allestita dagli occupanti tedeschi in previsione della deportazione di uomini, donne e bambini. Scorrono, commentate da Polanski con un misto di mesta rabbia e ironia che non lo abbandona mai, neanche in una narrazione terribile come questa, le molte case in cui ha vissuto giovanissimo (è del 1933), abbandonato molto piccolo dal padre, e soprattutto dopo l’internamento della madre nel lager dove poi morirà. E si arriva, in questo viaggio al tempo stesso reale e interiore, alla fattoria fuori Cracovia che l’ha ospitato fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

L’infanzia del più piccolo Horowitz (nato nel 1939) fu brutalizzata subito dall’internamento in ben cinque campi di concentramento, cui è sopravvissuto grazie all’intervento del celebre industriale tedesco Schindler, salvatore di molti ebrei e familiari reclusi, da lui reclutati come suoi operai, la cui storia è stata raccontata nel premiatissimo film di Steven Spielberg. Le vite dei due si sono intrecciate anche nella nuova Polonia – nel dopoguerra, a casa del più giovane amico, Polanski rincontrò brevemente il padre – da entrambi abbastanza presto abbandonata. Per il loro viaggio nella memoria, a 60 anni dall’ultima volta a Cracovia, sono arrivati uno da Parigi, l’altro da New York, e le immagini che vediamo, tutte girate (tranne un brevissimo epilogo finale) prima del covid, in qualche modo mettono un’ulteriore barriera temporale e culturale tra noi e quei ricordi. Che nel film diventano necessariamente anche una sorta di bando contro l’orrore, di chiamata alle armi in difesa dell’umanità per i migliori figli di quegli anni, cui la vita ha riservato prima l’angoscia della persecuzione familiare, poi però il successo e la fama internazionali.

Hometown è un film aspro, non riconciliato, e non solo nella terribile sostanza di ciò che racconta e mostra con preziose immagini e filmati dell’epoca. Non c’è solo il giudizio nettamente negativo anche del periodo comunista, da entrambi i protagonisti sostanzialmente ripudiato: è sul piano personale che affiora più di una tossina. Affettuosi e quasi sempre concordi nel film, nonostante qualche frecciata reciproca che a tratti mette un po’ in allarme, Polanski e Horowitz non si risparmiano nei commenti voice over, tutti comunque in prima persona quindi di inequivoca attribuzione, con giudizi non sempre reciprocamente benevoli, e aperti dissensi sulla rievocazione di alcuni fatti, e perfino sul percorso della loro stessa relazione. Un passato così tragico non può garantire, forse in nessun rapporto, anche tra amici, una pacificazione del ricordo che tanti decenni dopo si potrebbe dare per scontata. E l’onestà nel riferirlo è probabilmente uno dei meriti di un film che certamente merita la visione, per le sue qualità storiche, psicologiche e cinematografiche.

Hometown, documentario di Mateusz Kudla, Anna Kokoszka-Romer, con Roman Polanski, Ryszard Horowitz