“Il nazista & il barbiere”: la parabola scorretta del male che vince sempre.

In Letteratura

Brutto dentro, torvo, camaleontico: Max Schulz costruisce a cavallo della Seconda Guerra Mondiale la sua fortuna. Fa trucidare in fretta l’amico che gli ha dato affetto, insieme a tutta la famiglia che l’ha accolto, diventa torturatore di professione, e alla caduta del nazismo scappa con un sacco pieno di denti strappati alle bocche di uomini e donne ebree: il suo lasciapassare per una nuova vita, nella quale – capito in fretta che da criminale di guerra non si vive granché bene – Max si finge esattamente la sua vittima, si fa passare per ebreo e dribbla senza un pensiero morale qualsiasi senso di colpa.

Perché Edgar Hilsenrath e il suo libro, Il nazista & il barbiere (Marcos y Marcos), siano stati pressoché ignorati è un mistero. Forse hanno subito una sorta di censura del politicamente corretto, e sono di fatto passati decenni prima che la penna caustica di questo scrittore raggiungesse gli scaffali.
La vita di Edgar Hilsenrath è quella di un esule dalla nascita.
Nato a Lipsia nel 1929, ebreo di origine orientale fugge con la famiglia in Romania per sottrarsi ai nazisti. Deportato in Ucraina, ci resta fino all’intervento dei russi nel 1944. Scampato miracolosamente a una nuova deportazione (questa volta in Siberia), aderisce al movimento sionista e riesce ad arrivare in treno in Palestina. Insofferente, deluso, va in Francia, poi nel 1951 parte per gli Stati Uniti. Infine, dopo trentasette anni di continue peregrinazioni, decide di stabilirsi a Berlino.
Muore nel 2018, senza patria né Dio. Riceve moltissimi premi e riconoscimenti, ma i suoi romanzi non circolano, non vendono, pochi ne parlano. Solo nel 1977 verrà finalmente pubblicato in Germania, dove Heinrich Böll gli rende giustizia e lo annovera tra i più grandi scrittori tedeschi del Novecento, accanto a Günter Grass.



Veniamo a Il nazista & il barbiere, narrato in prima persona da Max Schulz, figlio illegittimo, ma ariano purissimo di una grassissima cameriera che concedeva i suoi favori a cinque bellimbusti (il macellaio, il fabbro, il muratore, il maggiordomo e il cocchiere), tutti rigorosamente tedeschi e parimenti suoi padri.
Itzig Finkelstein abita alla porta accanto ed è nato due minuti dopo Max con la stessa levatrice. Itzig è ebreo, biondo, bello e gentile e suo padre ha il più bel salone da parrucchiere della città. Max ha la faccia da rospo, occhi sporgenti e naso a becco. I due quasi gemelli stanno sempre insieme; Max, malmenato in famiglia e abbandonato a se stesso, viene quasi adottato dalla ricca e gentile famiglia di Itzig: partecipa perfino alle feste ebraiche e ne impara le preghiere. A scuola Itzig lo aiuta e se la cava, fino a quando i due non cominciano l’apprendistato da parrucchieri e il padre di Itzig insegna l’arte a entrambi.
Poi arrivano i nazisti, Max diventa un SS, Itzig e famiglia sono trucidati.
Senza il minimo rimorso, con indifferenza, ogni tanto con qualche compiacimento, Max tortura e uccide, per strada, tra i boschi, nei campi di sterminio. Finalmente i nazisti cadono e gli alleati li braccano.
Nella fuga Max si trascina un sacco pieno di denti d’oro strappati agli ebrei: sarà l’assicurazione per l’avvenire. Riesce finalmente a nascondersi in una baracca di un’orrida megera che lo sevizia e violenta, finché le acque si calmano e il ragazzetto la fa fuori.
Finalmente il colpo di genio: si farà passare per ebreo, proprio per il suo amico Itzig Finkelstein; del resto, era stato lui stesso a denunciarlo.
Assistiamo così alla sua metamorfosi in ebreo osservante, alla fuga clandestina in Israele, alla sua partecipazione all’Aganà, ai crudeli attentati, finché soddisfatto riesce ad aprire un fantastico salone da parrucchiere…
La scrittura di Hilsenrath, come la storia che racconta, è dura, impietosa, con sbalzi improvvisi di oscenità, descrizioni liriche della natura, episodi di gentilezza e generosità, pastiche linguistico e disperazione/dispersione di ideali come avviene nei grandi autori del Novecento, da Joyce a Celine, a Beckett a Brecht a Gadda.
A proposito di Il dentista & il barbiere, scrive Heinrich Böll:


“ I primi capitoli fanno male. Più avanti si capisce il perché: non fa malissimo ciò che in effetti è accaduto? poi si assiste al miracolo: il romanzo prende il volo, dispiega una poesia sobria e pacata. E se mai ci si dimenticherà di chi si è arricchito vendendo denti d’oro, non si potrà mai scordare Itzig Finkelstein che passeggia in terra d’Israele, nel ‘bosco dei sei milioni’.

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