Le Torri Gemelle si potevano evitare, ma il governo bocciò il mio sistema. Parola di 007

In Cinema

William “Bill” Binney, allora direttore tecnico della National Security Agency, racconta in “A Good American” dell’austriaco Friederich Moser come il suo ThinTread, programma informatico in grado di incrociare miliardi di dati da tutto il mondo, avrebbe potuto collegare le informazioni giuste relative agli imminenti attentati. Ma la Nsa gli preferì, per ragioni economiche e politiche, il Trailblazer Project. Per scoprire, poco dopo la strage, che le notizie c’erano già nei database: bastava metterle insieme

1) L’11 settembre 2001 gli attentati progettati da Osama Bin Laden e realizzati da Al Qaeda erano più numerosi di quelli messi a segno alle Torri Gemelle e al Pentagono, e in parte non andarono a buon fine. 2) Tutte queste azioni si sarebbero potute bloccare prima della tragedia, con un uso efficace e coordinato dei dati di intelligence che le agenzie per la sicurezza americana, in particolare la Nsa, avevano già in mano, ma non seppero catalogare, collegare nel modo giusto. Sono queste due ipotesi investigative, due fondamentali filoni di indagine, giornalistica e non solo, che stampa, analisti e ormai anche storici hanno affrontato a più non posso, senza sosta, in questi 15 anni che ci separano da quel terribile giorno. Ora un ottimo documentario distribuito dall’Arch Film, A good American del 47enne austriaco Friedrich Moser, le presenta non più come ipotesi, supposizioni, deduzioni. Ma come notizie. Pure e semplici.

E quasi dimostrate, perché affidate alla testimonianza di un uomo, William “Bill” Binney (e dei suoi più stretti collaboratori, tutti intervistati nel film), che è stato a lungo nella National Security Agency occupando un posto di primo piano, quello di direttore tecnico: e arrivando a ideare il suo “capolavoro” informatico, il sistema ThinTread, sofisticato programma di sorveglianza in grado di incrociare miliardi di dati ricavati tracciando collegamenti telefonici e interazioni digitali in tutto il mondo. Un sistema che la sua agenzia non adottò mai, provocando fra l’altro le sue dimissioni, un mese e mezzo dopo la tragedia.

Quel programma di gestione informatica dell’intelligence avrebbe potuto prevenire la strage l’11 settembre: e non lo dice solo lui, il mite protagonista del film, che parla sempre con grande competenza e pacatezza, amareggiato più che infuriato, tanti anni dopo. La cosa fu dimostrata, l’anno dopo la tragedia, da una simulazione che la stessa Nsa fece discretamente al suo interno, senza mai divulgarne i risultati, per capire “cosa si era persa”, arrivando alla conclusione che con i dati in possesso prima delle operazioni terroristiche, i responsabili e i piani si potevano inquadrare e sventare. Risultato: ThinTread fu distrutto, cancellato dalla memoria della sicurezza nazionale, affinché quei dirigenti incapaci non potessero subire le conseguenze delle loro azioni infauste.

In Italia si sarebbe cercata subito la spiegazione del perché di queste decisioni ipotizzando sostanziose mazzette o pressioni politiche giunte dall’alto per favorire l’altro sistema scelto, il Trailblazer Project, inefficace e anni dopo abbandonato in silenzio dalla stessa Nsa: e qualcosa di simile in realtà accadde anche negli Stati Uniti d’America del 2001, anno primo della sciagurata presidenza di George W. Bush jr. Ma il film non insegue congetture preferendo “attenersi ai fatti”, ovvero alle dichiarazioni ufficiali e ufficiose, tratte dai colloqui privati coi dirigenti del periodo, primo fra tutti il generale Michael V. Hayden, direttore dell’Agency: la scelta era caduta sul programma più costoso, perché avrebbe drenato verso l’organizzazione un finanziamento governativo più elevato. Alla faccia dell’efficacia reale del sistema! È forse superfluo aggiungere che, come sarebbe accaduto in Italia, i responsabili non solo non furono rimossi o puniti da Bush jr. – che, va detto, non era quello che li aveva nominati – ma anzi proseguirono brillanti carriere ai vertici della sicurezza degli States.

Basato su dati, documenti, tracciati informatici, e soprattutto sulle dichiarazioni dei protagonisti di quelle vicende, A Good American si inserisce nel filone assai interessante che il cinema documentario mondiale sta costruendo a proposito di sicurezza, media e privacy (due titoli recenti su tutti: Snowden di Oliver Stone e Everything is Under Control del tedesco Werner Boote): non tralascia infatti di aggiungere che un altro motivo di conflitto interno alla Nsa erano state le preoccupazioni espresse da Binney sulla difesa della privacy dei miliardi di persone intercettate senza alcuna autorizzazione e ovviamente senza saperlo, in tutto il mondo, dall’Intelligence americana. La stragrande maggioranza delle quali nulla aveva a che fare non solo con l’11/9 o il terrorismo, ma con reati di qualsiasi genere. Lui aveva proposto un programma per secretare i dati, l’agenzia dispose altrimenti infischiandosene del popolo americano. E di tutti gli altri paesi del pianeta. Finche Julian Assange e altri hanno rivelato tutto all’opinione pubblica mondiale, facendo infuriare anche qualche potente scopertosi spiato, come Angela Merkel e François Hollande. Ma questo è (relativamente) un altro discorso.

A Good American, film-documento di Friedrich Moser, con William “Bill” Binney