La sfida di Nan Goldin artista ribelle arriva al Leone grazie a Poitras

In Cinema

Fotografa di fama mondiale, geniale innovatrice di visioni e comportamenti, militante contro Big Pharma e la dipendenza da medicinali letali. Questo e molto altro rimanda il ritratto di Nan Goldin che Laura Poitras ha realizzato in “Tutta la bellezza e il dolore”, vincitore dell’ultima Mostra di Venezia. In bilico tra provocazione e impegno, eccessi privati e presenza pubblica, un personaggio straordinario per un’opera di grande compattezza, misura e interesse. Lontana da ogni retorica

A cinque mesi dalla vittoria del Leone d’Oro alla Mostra di Venezia, quindi, purtroppo, con scarse possibilità che l’eco di quel premio prestigioso si traduca in spettatori (ma speriamo, non si sa mai), esce finalmente in Italia Tutta la bellezza e il dolore, lo splendido documentario di Laura Poitras su Nan Goldin, artista multimediale di valore mondiale, nome di primissimo piano della controcultura americana in questi ultimi decenni e da qualche anno militante coraggiosa e decisa nella battaglia contro un farmaco responsabile di dipendenza: in questo caso l’ossicodone, calmante dei dolori post-operatori, che in molti casi ha portato negli Stati Uniti a casi di overdose, spesso mortali, oltre 100 mila nel solo 2021.

E’ un altro grande dramma sociale americano quello che porta sullo schermo la Poitras, vincitrice dell’Oscar al miglior documentario nel 2015 grazie a Citizenfour, incentrato sullo scandalo spionistico della NSA e la vicenda di Edward Snowden, protagonista di una lunga intervista, con Julian Assange, soprattutto sulle loro rivelazioni esplosive riguardo al comportamento antidemocratico degli apparati di sicurezza USA. Temi che sono venuti dopo la guerra americana in Iraq (soggetto di My Country, My Country), il terrorismo islamico e la prigione di Guantanamo (plot di The Oath) al centro di altri suoi film.

Qui c’è un caso specifico, ed è l’attività del gruppo P.A.I.N., fondato nel 2017 dalla Goldin per denunciare la ricca famiglia Sackler, benefattrice con laute donazioni dei principali musei del mondo, compresi molti in cui la stessa Goldin espone le sue opere, ma anche proprietaria della società farmaceutica Purdue Pharma accusata di dispensare farmaci responsabili di molte morti. Lo studioso Patrick Radden Keefe, autore di L’impero del dolore, libro inchiesta sulla dinastia Sackler costruita sulla fortuna del Valium, ne è qui testimone. Goldin, dipendente dall’ossitocina dal 2014 al 2016, per lei diventata gradualmente una sorta di ossessione, indice una serie di manifestazioni all’interno di musei (a partire dal Metropolitan di New York) e fondazioni per convincere questi ultimi a togliere dalla lista dei propri finanziatori il nome della famiglia Sackler, responsabile di non aver avvisato i pazienti dei rischi connessi a un uso continuo e massiccio di quel farmaco. E per cercare anche un possibile percorso di uscita dalla dipendenza, con varie altre persone che si sono ritrovate nella sua stessa situazione.

Ma All the Beauty and the Bloodshed (“tutta la bellezza e lo spargimento di sangue” sarebbe la traduzione letterale del titolo originale del film, citazione legata a Cuore di tenebra di Joseph Conrad, il cui senso è svelato nel finale) ha una complessità ancora maggiore, costruita nei ben tre anni di lavoro comune di regista e protagonista che sono stati necessari per realizzarlo. Lo spiega la stessa autrice: “Ho iniziato a lavorare con Nan nel 2019: due anni prima aveva deciso di sfruttare la sua influenza di artista per denunciare la responsabilità penale dei ricchissimi Sackler nell’alimentare la crisi da overdose.  All’inizio sono stata attratta dalla vicenda terrificante di una famiglia miliardaria che ha consapevolmente creato un’epidemia e ha successivamente versato denaro ai musei, ottenendo in cambio detrazioni fiscali e la possibilità di dare il proprio nome a qualche galleria. Ma mentre parlavamo, ho capito che questa era solo una parte della storia che volevo raccontare…” 

E’ infatti l’intera vita di questa battagliera fotografa e videomaker, sperimentatrice di linguaggi visivi e di stili di vita, a riempire un’opera-documento di quasi due ore fatta anche di preziose immagini, dialoghi intimi e filmati finora inediti. Che mettono costantemente in relazione l’aspetto privato e pubblico della vita di Goldin, del resto quasi inscindibili nei suoi quasi 70 anni di vita. Un’artista rivoluzionaria che ha sostenuto la sua fotografia per un periodo facendo la prostituta, rivelatasi al mondo con una serie di scatti realizzati tra fine anni ’70 e anni ’80, alcuni dei quali la rivelano in situazioni intime, spesso di nudo, in interni ordinari quando non squallidi, senza messinscena. Intorno a lei un’umanità di drag queen, dropout, performer, punk, persone amate. Molte delle quali furono decimate dall’Aids, e per questo lei decise di scuotere il mondo dell’arte con una mostra assai cruda su quella tragedia.

Un’esistenza difficile, drammatica, complessa sin dall’infanzia la sua, iniziata con uno dei traumi che la segneranno per sempre, il suicidio della sorella nel 1968, quando lei ha 13 anni, dopo diversi ricoveri in istituti psichiatrici a causa dei suoi atteggiamenti spesso problematici. Evento sempre negato e censurato dei genitori. Questo tragico evento suggerisce in qualche modo all’artista l’idea di scappare di casa, ancora molto giovane, fuggendo dai valori e dai comportamenti familiari per vivere diversamente la sua vita. Da qui inizia la carriera di fotografa che la porterà a diventare figura di riferimento della scena newyorkese e non solo. Il suo stile diretto, realistico, improntato alla descrizione della vita di tutti i giorni colpì fin dagli anni ’70, arrivando alla consacrazione con la raccolta The Ballad of Sexual Dependency nella quale mostra le persone, i luoghi, la quotidianità sua e dei suoi amici in quegli anni, eccessiva in vari campi e costruita su regole ben diverse dal passato. Anzi spesso sull’assenza di regole.

Poitras conferma: “Il nucleo del film è costituito dall’arte, dalla fotografia di Nan e dall’eredità dei suoi amici e della sorella Barbara. Un’eredità di persone in fuga dall’America”. Quindi Goldin grande ribelle che sfida la società, per una regista che ha fatto della lotta contro il potere, anche quando sembra quasi invincibile, uno dei temi preferiti e frequentati nella sua storia di documentarista. Ma non è mai un racconto idealizzato, non vedrete sullo schermo un’eroina quanto una donna del (e nel) mondo reale che crede nelle sue battaglie e con tenacia, nonostante i tanti impedimenti, cerca di raggiungere i suoi obiettivi. Tutta la bellezza e il dolore è un film emozionante, autentico, lontano dalla retorica, e lascia allo spettatore un messaggio civile, pieno di pathos. Come lo sono le fotografie di Nan, e anche le sue testimonianze, spesso concitate raccolte in diretta nelle manifestazioni recenti. Nel film riflette con lucidità sulle proprie immagini, la loro risonanza nel tempo, il loro odore, le esperienze collegate. Perché una cosa è certa: la paura non ha mai fatto parte del suo mondo, né a livello creativo né sul piano personale.

Tutta la bellezza e il dolore, film-documento di Laura Poitras con Nan Goldin

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