Inner Spaces 2018: i nuovi profeti della musica elettronica. E poi c’è anche Kubrick

In Interviste, Musica

Il suono sintetico di Richard Barbieri, l’orchestra di automi musicali di Pierre Bastien, il sound artist inglese Philip Jeck. Ma l’1 ottobre all’Auditorium San Fedele a dare il via alla rassegna, assieme al maestro dell’ambient contemporanea William Basinski, ci sarà il palermitano Valerio Tricoli con un progetto interessante. Dedicato al compositore visionario Giacinto Scelsi

Riparte col botto Inner Spaces, la rassegna di musica elettronica dell’Auditorium San Fedele giunta alla quinta stagione. L’1 ottobre in sala, “circondati” dall’imprescindibile impianto audio Acusmonium Sator,  si presenteranno lo statunitense (classe 1958) William Basinski, maestro della tape music e dell’ambient contemporanea, e Valerio Tricoli, nato a Palermo nel 1977 ed esponente della scena elettroacustica internazionale.

Con Tricoli abbiamo approfondito le coordinate del suo progetto commissionato da San Fedele Musica e incentrato sul compositore visionario Giacinto Scelsi.

Il Progetto Giacinto Scelsi parte dal recupero di materiale d’archivio del compositore ligure: come è avvenuto il tuo processo d’indagine sulle sue registrazioni?
In realtà non ho potuto indagare granché. L’archivio conta più di 500 nastri, consultabili solo alla Fondazione Scelsi, attraverso un server con file in mp3 di cui non è neanche visualizzabile la forma d’onda per farsi un’idea rapida di dove andare a trovare i suoni. Ho speso tre ore in Fondazione, ho ascoltato quanto possibile, e ho scelto uno tra la decina di nastri che ho ascoltato. Un secondo nastro, l’ho fatto scegliere alla Fondazione stessa. Quello scelto da me contiene registrazioni di pianoforte, e improvvisazioni sull’ondiola (uno strumento che può riprodurre i quarti e gli ottavi n.d.r), il secondo per lo più riversamenti a velocità variabile di frammenti di musica orchestrale, feedback, distorsioni di ogni genere, con un approccio, per così dire, molto noise.

Qual è la tua relazione con la musica di Giacinto Scelsi? In che modo ti sei avvicinato al suo lavoro? E come lo hai trasformato nel tuo?
Di Scelsi posso dire che mi piace, molto. Certamente ci sono delle somiglianze, soprattutto nelle atmosfere e nell’uso di scale non convenzionali, tra la mia musica e la sua. Che Scelsi abbia un’influenza diretta sulla mia musica, è probabile, anche se forse la verità è che entrambi siamo influenzati da simili fatti dello spirito che non indagherei in questa sede. L’approccio al lavoro è stato quello di fare un pezzo di musica elettroacustica per quanto possibile fedele a un’estetica scelsiana con i pochissimi suoni che avevo a disposizione. Normalmente per un brano di quindici minuti mi metto a disposizione diverse ore di materiali di base, e quando serve qualcosa di nuovo (e lo  scopro in corso d’opera) realizzo i nuovi suoni che servono. Ovviamente in questo caso non è stato possibile. E, d’altro canto, non volevo “processare” i suoni di Scelsi più di tanto, volevo che la grana di quei suoni, la loro realtà storica, e il gusto di Scelsi non venissero meno.

Ci racconti quali sono gli strumenti che hai utilizzato per la realizzazione? E ci spieghi l’importanza dell’acusmonium per la tua esecuzione?
Ho composto, come sempre, su Protools. Ho usato un delay, l’equalizzazione, il riverbero, un po’ di pitch shifting e purtroppo ho dovuto usare un sacco di riduzione del rumore. Soprattutto il nastro scelto dalla Fondazione era al limite dell’utilizzabile, con un rapporto tra rumore di fondo e segnale diciamo pure drammatico. Ho mixato il pezzo in otto canali in uno studio a Berlino, dunque la diffusione sarà ottofonica. Userò, credo, anche il Revox per qualche manipolazione su nastro in tempo reale. L’acusmonium è importante in questa esecuzione come lo è per qualsiasi diffusione di musica elettroacustica: insomma, se c’è, è sempre molto, molto meglio perché la musica viene valorizzata.

Partendo anche dalla tua produzione personale, quali sono le influenze che senti più presenti nelle tue composizioni e come si differenziano da quelle che invece hanno condizionato questo particolare lavoro?
Questo lavoro è condizionato da Scelsi e dalla mia eventuale capacità di sapere ascoltare questi suoi suoni, e il loro bisogno di rivivere attraverso l’improvvisazione. Nel mio lavoro “normale” sono influenzato anche da tutto il resto, spesso più da quello che leggo che da ciò che ascolto.

L’1 ottobre al san Fedele suonerà anche William Basinski: quali sono forme e idee che vi differenziano o accomunano?
Entrambi usiamo i nastri, ma la forma è completamente diversa. Ciò detto, forse in questo caso i lavori saranno più “vicini”.

Hai una predilezione per l’elettronica analogica? Quali sono gli elementi più importanti della tua ricerca nella manipolazione, nello studio del suono?
Mi piace il suono di un buon registratore a bobine, ma uso anche tantissimi strumenti digitali, e normalmente compongo sul computer. L’elemento più importante della mia ricerca sono io, e quello che voglio fare o cercare, e l’improvvisazione che è alla base non solo dei miei live ma è anche il modo in cui produco i materiali di base per le composizioni.

Quali sono gli oggetti principali delle tue “esplorazioni” nell’improvvisazione?
Il Revox, i microfoni, i suoni, l’impianto, la stanza e il pubblico.

Adesso vivi a Monaco: come percepisci il panorama musicale in Europa? E in Italia?
Vivo per necessità familiari a Monaco di Baviera – dove non c’è niente oltre alla finanza e alla birra. Una città che a definirla monoculturale le si fa un complimento. Ciò detto, Baviera a parte, il panorama musicale in Europa, se parliamo di musica sperimentale, è certamente in grande espansione. Moltissimi festival, molto pubblico, molto interesse, almeno mi sembra. Anche in Italia le cose mi sembrano andare abbastanza bene, anche se alcune città sono rimaste indietro, se non proprio ferme : penso a Roma, ad esempio, dove non c’è più quasi niente. La mia Palermo poi, non parliamone nemmeno.

Valerio Tricoli sarà a Milano per Inner Spaces lunedì 1 ottobre, insieme a William Basinski, ma la stagione proseguirà con Richard Barbieri e il suo suono sintetico: un curriculum che dal rock arriva all’ambient; il teatrale Pierre Bastien, che presenta la sua orchestra di automi musicali in Quiet Motors; il producer austriaco Dorian Concept, che mette insieme funk, hip-hop, jazz e musica da club. Nel 2019  Inner Spaces riprenderà con il sound artist inglese Philip Jeck, il co-fondatore dei Wire Edvard Graham Lewis e ancora lo statunitense Rafael Anton Irisarri, fino ad arrivare alla compositrice ambient Christina Vantzou, che chiuderà la stagione insieme al gruppo audiovisivo olandese Optical Machines.
Un altro appuntamento da tenere d’occhio è quello con Cin’Acusmonium, il ciclo cinematografico proposto da Inner Spaces per una esperienza del suono “spazializzato” di tre grandi film firmati rispettivamente da Stanley Kubrik (2001: Odissea nello spazio) e Andrej Tarkovskij (Lo specchio e Solaris).

Immagine di copertina © Paianos Takoufakis

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