INNER_SPACES, alla ricerca dell’identità sonora

In Musica

È iniziata la rassegna di musica elettronica all’Auditorium San Fedele e promette di farcene vedere delle belle. E anche sentire. L’antipasto, succoso, ieri sera con le performance sonore di Vladislav Delay e Chra. Seguiranno le sperimentazioni dei più interessanti fuoriclasse del genere: dal noise alla techno, al mélange di elettronica e musica barocca. Fino a maggio

Non è facile spiegare in due parole in cosa consista la musica elettronica contemporanea. E non parlo di quella che si sente in discoteca o alla radio tutti i giorni, ma quella d’arte, per così dire. Del concerto di inaugurazione della rassegna 2019/20 di INNER SPACES che si è tenuto lunedì 30 settembre all’Auditorium San Fedele di Milano potrei rispondere che hanno suonato Vladislav Delay e Chra, ma difficilmente sarei capito più che se rispondessi con due nomi inventati.

Eppure, giunta al sesto anno la prestigiosa rassegna di elettronica è già un’istituzione per gli amanti di questo genere di musica. E certifica che nella vasta “giungla” milanese di appassionati di suoni, si trovano anche esemplari appartenenti a questa apparentemente curiosa categoria: gli amanti della musica elettronica sperimentale di cui faccio ormai parte anch’io. E non solo esistono, ma abbondano perfino e provengono dai più diversi ambienti culturali: in sala coesistono felicemente i maestri di conservatorio meno ortodossi con giovani clubber tatuati, abiti eleganti da sera di fianco a eccentrici giubbotti di pelle.

Come in ogni cosa poi, più si conosce e meno si ha l’impressione di sapere: quella che potrebbe sembrare una “piccola stanza” nella grande casa della musica si scopre essere soltanto uno spazio su cui affacciano numerose altre porte che conducono a sottogeneri interessanti da esplorare. INNER_SPACES nella sua lunga stagione che si concluderà a maggio 2020 apre le porte di queste diversità che vanno dal mélange di elettronica e musica barocca di Murcof (se non l’avete mai fatto ascoltate il brano qui sotto e rimarrete stupefatti) fino all’uso dei field recordings della giovane Klara Lewis, dal noise alla techno, insomma da un estremo all’altro delle sperimentazioni possibili. In questo ampio ventaglio di proposte saranno anche eseguite musiche delle generazioni poste agli estremi della linea temporale: dai brani degli storici maestri (Stokhausen, Reich, Takemitsu e Bayle) ai giovanissimi vincitori del Premio San Fedele.

Sfruttando l’eccezionalità dell’Auditorium San Fedele (unica sala in Italia ad essere dotata di acusmonium, un complesso di cinquanta altoparlanti che amplificano la spazializzazione del suono), inoltre, riprenderà l’apprezzato ciclo Cin’Acusmonium. Da Andrei Tarkovskij (il grande regista russo che ha dato prova di un uso raffinato del sonoro) con L’infanzia di Ivan e Sacrificio a Godfrey Reggio che per i due documentari Koyaanisqatsi e Naqoyqatsi si è avvalso delle musiche di Philip Glass.

In questa carrellata di eventi non va sottaciuta un’interessante iniziativa già sperimentata nella scorsa edizione: ogni concerto verrà preceduto da un incontro-lezione, con l’obiettivo di dare continuità alla rassegna.

E proprio lunedì 30 a inaugurare è stato chiamato il pianista Alfonso Alberti che ha illustrato le origini della musica elettroacustica cercando, secondo le sue parole, di darne una luce diversa dal solito, quella di un esperto pianista ed esecutore. A seguire, come dicevamo all’inizio, il concerto. Christina Nemec in arte Chra è attiva come musicista sia nell’area metal/noise sia nella scena elettronica sperimentale; Sasu Ripatti noto come Vladislav Delay (anche se ha registrato con molti altri pseudonimi) ha esplorato diversi ambiti musicali: minimal techno, ambient, glitch e house.

La bellezza dell’esibizione sta nella sostanziale differenza tra i due artisti i quali, come ha spiegato il maestro Giovanni Cospito (che ne cura la regia acusmatica), hanno scelto due vie opposte nel rendere la propria musica nella sala dell’auditorium. Dopo il live di Chra, costruito a partire da numerosi livelli e sorgenti sonore, è seguito infatti quello del finlandese impostato su un unico, compatto muro sonoro.

Praticamente la migliore lezione sulla spazializzazione nella musica possibile: la gestione dello ambiente sonoro virtuale, o, per meglio dire, della percezione dello ambiente sonoro virtuale. Al giorno d’oggi abbiamo tutti in mente l’immagine della nostra galassia vista dallo spazio, un’unica spirale compatta e massiccia. Allo stesso modo sappiamo altrettanto bene che avvicinandoci sempre più noteremmo via via che questa non è compatta come sembrava all’inizio ma è composta da miliardi di stelle e pianeti. In effetti quella che potrebbe essere considerata un’ovvietà illustra bene il processo della spazializzazione in musica che potrebbe definirsi proprio come il punto d’ascolto di un suono: dalla percezione del suono come un tutt’uno, un oggetto unico e ben definito siamo passati a quello composto da tante fonti diverse, frammentato.

Prossimo appuntamento il 21 ottobre con Oktophonie di Stockhausen, “una vera chicca” per dirla con le parole dello stesso Giovanni Cospito.

 

Immagine di copertina: Vladislav Delay © Jan Albert Vroegop

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