Sette libri (belli, ovviamente) da infilare in valigia.

In Letteratura

Puntuale, come da tradizione: l’irrinunciabile lista dei consigli per l’estate. Dunque ecco cosa mettere nel bagaglio delle letture: una proposta di sette – belle – storie.

La storia vista attraverso il romanzo, un noir sceneggiato come un horror, un giallo ambientato in una Milano misteriosa, l’arte come strumento di conoscenza e di salvezza, una parabola fantastica e tragica sulla libertà, il senso profondo di un lutto: sette consigli per leggere tutta l’estate, in diretta dalla più recente stagione letteraria italiana.
Eccolo qui: il catalogo delle storie da portarsi dietro.

   

Emiliano Poddi, Quest’ora sommersa (Feltrinelli)

A cent’anni compiuti, con il corpo tonico e le unghie laccate di un fulgido color corallo, Leni Riefenstahl vive la sua quinta vita: negli abissi, da fotografa subacquea, impegnata a catturare – reflex alla mano – scatti di pesci e rare piante sottomarine. È stata una ballerina di grande ambizione, una attrice determinata a sopravvivere, la regista potente che ha inventato l’immagine del Reich, e infine la sopravvissuta ambigua al processo di denazificazione.
Controversa, algida, inscalfibile: è così che Emiliano Poddi la immagina, mettendola al centro di una storia che richiama dal silenzio un episodio per lungo tempo rimasto lettera morta, ovvero il ruolo che giocò, nella vita di un centinaio di bambini sinti rom e zingari, l’essere stati scelti come figuranti per la lavorazione del suo film Tiefland. Prelevati per volere della Riefenstahl dal campo di internamento di Maxglan, dopo le riprese non gli fu permesso di tornare a casa, ma vennero destinati ad Auschwitz, dove moltissimi trovarono la morte. Più di un decennio dopo, nel montaggio finale della pellicola, le loro scene vennero tagliate e la loro esistenza fu così doppiamente cancellata.
Tra i pochi sopravvissuti, cui il lager consegnò una vita di incubi e oscuri sensi di colpa, c’è anche Anna Krems, la madre di Martha, biologa marina, che del dolore di sua madre e della sua gente vuole vendicare il senso.
È Martha la voce narrante di Quest’ora sommersa: che conduce la storia attraverso un serrato dialogo interiore con la donna cui farà da guida negli abissi delle Maldive, nel corso della sua ultima immersione.

Un libro che si interroga sulla responsabilità del male, sull’incomunicabilità, sul mistero della coscienza, sulla seduzione del potere. E, ancora più a fondo, sulla convivenza tra colpa e responsabilità all’interno di una mente che nulla lascia trapelare.  

Giuseppe Catozzella, Italiana (Mondadori)

All’inizio della sua storia, l’Italia è un mondo senza redenzione. Tre stagioni di moti e due guerre di indipendenza (con una terza in arrivo) sono la premessa a quel fatta l’Italia bisogna fare gli italiani che fa da perimetro alla grande rimozione dentro la quale è finita, per decenni, la memoria di quel momento frettolosamente liquidato con il nome di brigantaggio.
In questo mondo, in un Sud in cui la rivoluzione industriale arriva sghemba e gravida di promesse e miraggi non raggiungibili, Maria Oliverio nasce in una famiglia di sette figli, diventa l’oggetto dell’odio di sua sorella Teresa, e capisce presto la maledizione di essere donna.
Crescere, per una bambina povera con il peccato dell’intelligenza, significa assistere senza potere a una continua lotta di sopraffazione: della città sul bosco, dei cappelli sui braccianti, della sorella Teresa su di lei; perfino il prete, che dovrebbe essere dalla parte dei deboli, risulta guasto.
Ogni innocenza si paga salato, e la moneta è quella della violenza e di una deprivazione sistematica.
Per sopravvivere, dunque, occorre individuare l’interstizio in cui trasformare l’abbandono in rifugio, il rifugio in fuga, la fuga in libertà.
È così che, quando viene infine catturata, a ventidue anni, nei boschi della Sila calabrese che le fanno da casa, Maria è stata bambina, reietta, donna, scolara, tessitrice, ed è diventata Ciccilla: indomita, libera e unica capobrigantessa di una guerra civile atroce che armò cittadini contro esercito, Stato contro contadini.

Con Italiana Giuseppe Catozzella racconta una storia vera, costruita su documenti storici e atti processuali, scritta con coraggio.

Paola Barbato, Vengo a prenderti (Piemme)

L’incubo peggiore che possa capitare a un agente trasformato in eroe? Che il caso più clamoroso della sua carriera, quello chiuso in gloria con tanto di sparatoria, liberazione degli ostaggi, titoli trionfali e onore delle cronache, si riapra da solo.
E cioè che, a distanza di tempo, le vittime comincino ad essere raggiunte da messaggi che parlano una lingua nota solo a chi li ha tenuti in cattività e poi a morire in quella che appare una catena di sfortunati incidenti.
Per Francesco Caparzo la partita, che sembrava conclusa nel capannone degli orrori da cui ha liberato quegli uomini e quelle donne tenuti segregati come animali dentro a carrozzoni da circo, va a questo punto giocata fino all’ultima mano. Sarà così che scoprirà che ognuno, in questa storia, è qualcosa di diverso da quello che appare.

Terzo capitolo della trilogia iniziata con Io so chi sei e proseguita con Zoo, Vengo a prenderti opera un nuovo slittamento di prospettiva per indagare la medesima vicenda, permettendo di capire altro e meglio la quadrimensionalità degli eventi raccontati. Come nasce un mostro? Quanto mostro c’è in ognuno di noi? E, infine, quanto il delirante progetto di riprogrammare le singole coscienze attraverso la segregazione è passato mosso dalla paura?

Un romanzo che si muove sul confine tra noir e horror, con una perfetta gestione della tensione e del ritmo: difficile staccarsi prima dell’ultima pagina.

Domenico Wanderlingh, Il passato non si cancella (Astoria)

Sportiva ma senza più una carriera, giovane ma con una faglia emotiva che la rende mai definitivamente raggiungibile, dimessa per scelta, Anita Landi si muove sulla scena del delitto fotografando con il suo cellulare tutto quello che, in un secondo momento, potrà tornarle utile come traccia per capire perché quello che le appare davanti agli occhi – un uomo seduto in poltrona e una donna adagiata a terra su un cuscino davanti a lui – le suona come una messa in scena ascritta troppo facilmente nella categoria dell’omicidio/suicidio. 
Sullo sfondo una Milano di villini novecenteschi con giardini improvvisi, incroci e vie alberate, interni signorili, strade e traffico, palazzoni e portinaie che tutto sanno e tutto vedono: metropoli che assorbe e inghiotte tra i suoi muri parimenti le ferite profonde, i deliri personali, le aspirazioni troncate, la gentilezza, gli amori e i segreti.
Il debutto sulla scena per l’ispettrice Anita Landi corrisponde a una storia di restituzione e di trasformazione: perché il caso che le viene scippato e che cercherà di sciogliere da una indagine laterale la costringerà a confrontarsi con il fantasma del suo passato, quello di una tragedia che non è mai riuscita a spiegarsi e che non le lascia pace.
Un collega ostracizzato, un amministratore condominiale, una giovane agente che non riesce a tenersi la lingua a freno, un avvocato stimato messo in scacco dal burnout sono le carte che ha in mano.

Un giallo psicologico e urbano, in cui la città torna ad essere il luogo di tutti i possibili.

Nicoletta Verna, Il valore affettivo (Einaudi)

Stella e Bianca sono sorelle, ma.
Ma non basta la devozione della più piccola, non basta l’amore preferenziale della madre, non basta neppure la sua eccezionale bellezza a salvare Stella dall’11 di giugno, il giorno che non la restituirà più.
Il punto di non ritorno scava nelle dinamiche di una piccola comunità (non solo il padre, la sorellina e la madre, ma anche le amiche, il fidanzato) voragini continuamente negate: tutti quelli che restano legati alla memoria dell’incidente ne ricavano materia per alimentare sotterranei impazzimenti.
E poiché sopravvivere a una tragedia è comunque una grande tragedia, il danno maggiore tocca alla più esposta: perché quale può essere, in fondo, il desiderio più feroce di ogni bambino ferito se non quello di rimediare alla colpa con la propria riparazione?
È così che Bianca (la vera Bianca, col suo lutto aperto e tumultuoso) diventa trasparente, e lascia affiorare di sé solo ciò che serve a raggiungere apparenti forme di amore: diventare una lolita starlette della televisione commerciale per raggiungere gli occhi di sua madre, iscriversi a biologia e laurearsi con un atto plateale, stregare l’insegnante più promettente, diventare la moglie perfetta di un uomo perfetto in un appartamento perfetto.
Le pulsioni, le ossessioni inconfessabili, il vero progetto del suo ritorno alla vita sono annegate nel controllo maniacale dell’apparenza. Così, quando il meccanismo si inceppa, Bianca viene sbalzata fuori dalla norma dentro cui si è nascosta, e scoprirà che il passato ha ancora cose da raccontarle, mentre il presente è pronto a rivelarle altro di sé.

Un romanzo magnetico e disturbante.
Il valore affettivo ha ottenuto la menzione speciale della giuria del XXXIII Premio Calvino.

Alessandro Zaccuri, La quercia di Bruegel (Aboca)

A Bruxelles, in uno dei giorni più neri della storia contemporanea, un uomo e una donna si ritrovano chiusi nello stesso albergo. La televisione trasmette senza requie notizie e commenti su quello che sta accadendo di fuori e l’angoscia per l’attacco terroristico contagia ogni istante del presente, costringendo tutto e tutti all’immobilità.
Così, mentre il tempo è interrotto, i due (un romanziere appassionato di storia dell’arte e una neurologa che utilizza le opere dei pittori per indagare nei traumi dei suoi pazienti) scoprono di essere arrivati in quella città esattamente con il medesimo scopo: vedere i quadri di Bruegel – e, in particolare, l’enigmatica Adorazione dei Magi.
Occulto e reticente, il grande protagonista che muove dal passato gli incontri e i destini appare proprio, dal chiuso di un museo irraggiungibile, il vecchio pittore, che dissemina le sue tele di particolari minuti e significati nascosti, inducendo ogni occhio a soffermarsi e a indagare l’oltre.
Quella che poteva essere una improvvisa avventura amorosa si rivela invece come una finestra verso una differente realtà, che afferma quanto inaspettatamente l’arte possa e sappia ancora parlare alle nostre vite – anche chiusa, anche nascosta, anche all’apparenza rimossa.

Un romanzo sull’invenzione, sull’eventualità di uno scarto sempre concepibile, sulla percezione e il suo rapporto con la verità. Sulla possibilità di conoscere.

Laura Pariani, Apriti, mare! (La nave di Teseo)

Tutte le fiabe sono vere, poiché parlano della parte più profonda di noi. Così il Medioevo fantastico, ossessionato dalla parola del Libro (una Bibbia letta col morbo del dato orrorifico e l’ossessione della compiacenza integralista) in cui Laura Pariani ambienta Apriti, mare! ,il suo nuovo romanzo, è un ribaltamento perfetto del nostro presente: un mondo in cui non è richiesta critica ma ripetizione ossessiva, una geografia in cui il passato è abbandonato in rovine da cui mungere lacerti di memoria, un’epoca di lacerazione nella quale il potere schiaccia chi meno può.
In quest’epoca posteriore al disastro che ha riportato al grado zero virgola uno l’umanità, l’Incidente ha cancellato in un solo colpo gli adulti, la tecnologia, la scienza e la cultura: bambini e adolescenti rimasti in vita sono diventati uomini, ma la società cui danno corpo è violenta, superstiziosa e prevaricatrice.
La resistenza, e il sogno, trovano sacche in cui alimentare la possibilità di uno scarto proprio nelle menti di chi, essendo vittima di tutte le vittime, non ha nulla da perdere: le bambine.
È nelle gambe di Aurea (novella Atalanta), nel coraggio di Sulénc, in Pip, Carbunella, Barlanda e nella lunga coda dello Sciame di fuggiasche che decidono di rischiare la vita per autodeterminare il proprio destino che inizierà il viaggio verso la Terra senza Paura, al di là del mare.

In una lingua immaginifica, che mescola elementi tribali arcaici popolari a latinorum e prodi tenerezze dialettali, una parabola dura, tragica e potente sulle atrocità di un mondo diseguale. E sulla necessaria ribellione. 

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