Amore, orgoglio e alienazione, la vita è un valzer tra iper-scaffali

In Cinema

Il 38enne regista tedesco Thomas Stuber torna alla sua Lipsia per raccontare la vita di chi lavora, in giorni sempre uguali, in un grande supermercato. Tra solitudini e nevrosi contemporanee, tipiche di un luogo dove regna un’ordine maniacale, e assurde nostalgie di un comunismo sepolto dalla storia. Ma nel suo racconto si affacciano anche il lampo della fantasia e la luce della solidarietà

È il primo giorno di lavoro per Christian (Franz Rogowski), addetto alla movimentazione merci in un enorme ipermercato alla periferia di Lipsia, in quella che una volta era la Germania dell’Est. La sua prima preoccupazione è quella di nascondere sotto le maniche del camice una serie di tatuaggi dal disegno aggressivo, che sembrano corrispondere ben poco alla sua aria timida e vagamente spaesata. Che nel suo passato ci siano non pochi errori, fra alcol, risse, cattive compagnie e furti, con tanto di breve passaggio in prigione, lo scopriamo abbastanza presto. Così come ci rendiamo conto che il suo tentativo di rimettersi sulla retta via non potrà essere esente da difficoltà, passi falsi e possibili ricadute. Anche se potrà contare sempre sul sostegno dei colleghi, e forse riuscirà persino a fare breccia nel cuore stanco ma sensibile di Marion (Sandra Hüller, la manager nevrotica di Vi presento Toni Erdmann), addetta ai dolciumi maltrattata dalla vita che immediatamente cattura il suo sguardo ed entra a far parte dei suoi sogni.

Il tutto è raccontato in Un valzer tra gli scaffali di Thomas Studer non uscendo quasi mai dalle corsie del supermercato, ed esplorando questo microcosmo con grande attenzione per i dettagli e una profonda capacità empatica. Vediamo così scorrere sullo schermo le immagini di uno spazio perfettamente organizzato e contraddistinto da un ordine maniacale, che non sembra minimamente rispecchiare le esistenze degli uomini e delle donne che in questo luogo lavorano. Esistenze tutte variamente segnate dall’alienazione di un lavoro ripetitivo e banale, ma non per questo rassegnate a soccombere – senza nemmeno lottare – al grigiore del quotidiano. C’è chi gioca ossessivamente a scacchi e chi si è ritagliato la parte del matto del villaggio, chi incarna l’anziano burbero di buon cuore e chi coltiva con sfrontata convinzione la propria eccentricità, per esempio annunciando i turni notturni con gli altoparlanti che diffondono la Suite numero 3 di Johann Sebastian Bach.

Sono tante anime ferite che si aggirano nella notte, nella nebbia, chi rimpiangendo la Germania comunista che si è disintegrata nel 1989, chi muovendosi nel mondo con un’apparente mancanza totale di consapevolezza storica. Tutti difendono – ognuno a modo suo – un’idea di comunità che non passa dalla politica o da qualche ideologia, ma sembra affondare le radici in un bisogno di solidarietà tutto umano, squisitamente umano, capace di trasformarsi in complicità, sostegno, forse addirittura amore. E sullo sfondo c’è il traffico incessante della vicina autostrada, quella che una volta, nel malinconico ricordo di uno dei personaggi, portava lontano, o comunque da qualche parte, e ora sembra soltanto una grande ruota da criceti dove si corre tutti, come tanti animaletti, senza sapere né come né dove, né tanto meno perché.

Non è certo allegro il ritratto che fa il 38enne Thomas Stuber (al suo secondo film dopo Herbert, 2015, in mezzo a short e tv movie) della ex Germania est dove lui stesso è nato, e in generale della condizione umana: eppure fra gli scaffali di questo ipermercato si riesce anche a ridere e sorridere, e persino a sentire il rumore del mare nel fruscio di un carrello elevatore che danza fra gli scaffali alla ricerca di una possibile felicità. Un film molto particolare, realistico e poetico, dal ritmo quasi ipnotico, che mostra l’alienazione di una quotidianità ripetitiva, scandita da giornate sempre uguali che scorrono incessanti appoggiandosi una sull’altra fino a diventare tragicamente indistinte; ma che anche descrive l’orgoglio e la profonda, inesauribile dignità del lavoro. E dell’amore, che Stuber racconta con rapide pennellate in grado di sprigionare tenerezza e malinconia, desiderio e paura.

Una fiaba moderna un po’ triste e un po’ ottimista, capace di sorprendere e commuovere, usando la fantasia e giocando di sottrazione, puntando più sui silenzi che sulle parole, tenendosi felicemente in bilico fra realismo e magia.

Un valzer tra gli scaffali di Thomas Stuber, con Sandra Hüller, Franz Rogowski, Peter Kurth, Matthias Brenner, Andreas Leupold,  Michael Specht, Henning Peker, Gerdy Zint, Ramona Kunze-Libnow, Sascha Nathan, Robert Carlo Ceder