Lubo lo Jenisch, da clown a seduttore, in cerca dei figli: una lunga odissea

In Cinema

Svizzera, fine anni ’30: nel nuovo film di Giorgio Diritti un artista di etnia sgradita allo stato è arruolato e inviato a difendere i confini: e un’azione di polizia provoca la morte della moglie che cercava di impedire il rapimento dei figli. Da quel momento è disposto a tutto: ruba, tradisce, ammazza per ritrovarli. La buona partenza solleva grandi temi, però il film diventa poi un melò che si perde in mille rivoli. E nonostante la bravura del protagonista Franz Ragowski, la durata del racconto si fa sentire

Inizia bene Lubo: con uno spettacolo improvvisato nella piazza di un piccolo paese, dove un goffo orso di pezza balla al suono di una piccola banda squinternata. Sul più bello dalla sua pancia di stoffa esce una creatura travestita di stracci che ha lo sguardo intenso di Lubo/Franz Rogowsky. Il protagonista dell’ultimo film di Giorgio Diritti, tratto da un romanzo di Mario Cavatore intitolato Il seminatore, è un saltimbanco di etnia Jenisch, che intrattiene la gente di paese nella Svizzera di fine anni ’30. La sua è una vita serena fatta di poco, la moglie e i tre figlioletti, un carrozzone tirato dai cavalli. Ma con la Seconda Guerra Mondiale alle porte, la neutrale Svizzera richiama gli uomini alle armi e un giorno Lubo viene separato dalla famiglia e portato in montagna a piantonare i confini: cerca di resistere, di confondersi in mezzo agli altri soldati grazie all’uniforme che tutti portano, perché in mezzo alla neve, al freddo e alle montagne solitarie tutti sono in cerca di un proprio posto sicuro, senza tanto clamore, tutti alla ricerca di un fuoco e una zuppa calda.

Ma un giorno questo precario equilibrio viene rovinato dalla notizia che la polizia ha approfittato dell’assenza di Lubo per prendergli i figli e che la moglie è morta cercando d’impedirlo. Coscrivere i nomadi è solo una scusa per sottrarre i bambini Jenisch e affidarli alle strutture di stato o a genitori considerati normali. Da questo momento parte la ricerca affannosa dell’uomo, che non esita ad ammazzare, a tradire e rubare pur di ritrovare i suoi figli. Una ricerca per la prima ora molto coinvolgente, perché il protagonista ha un obiettivo che non gli permette d’aver pietà e Franz Rogowski riesce a intridere di umanità, smarrimento il suo personaggio. Lubo non ha pietà quando incontra un losco individuo, Bruno Reiter, che dalla vicina Austria contrabbanda i gioielli delle ricche famiglie ebree. Si offre di aiutarlo a trasportare la merce dal confine, ma nella foresta di notte uccide Reiter con una violenza disturbante e ingiustificabile per un uomo che all’inizio del film viveva una vita giocosa e quieta. Ma paradossalmente proprio questa violenza rende il personaggio di Lubo tridimensionale; uccide in modo efferato, ma con una sorta di disperazione rassegnata, né buona né cattiva.

Con la stessa spietatezza, assume l’identità dell’uomo che ha ammazzato e arriva a Zurigo con la volontà di cercare le tracce dei suoi bambini ormai persi nelle maglie dell’associazione Pro Juventute, una fondazione che si preoccupa di smistare gli Jenish nel paese. E lo fa usando le donne, la gallerista Klara ed Elsa, sposata a un banchiere, che seduce per ottenere informazioni. Col baffetto impomatato e le giacche doppiopetto, Rogowski passa con disinvoltura nei letti di queste donne, così diverse da sua moglie, pur di ricongiungersi con i figli. E in una sorta di contrappasso le mette anche incinta, con il malcelato intento di infestare il loro puro sangue svizzero con i suoi geni Jenisch. Nonostante tutti i suoi tentativi, l’immenso reticolato costruito negli anni dalla Pro Juventute con il programma Kinder der Landstrasse (per il recupero dei bambini di strada), fa perdere le tracce dei figli di Lubo in mezzo ai nomi di migliaia di altri bambini strappati alle loro famiglie nomadi. La storia è nota da qualche decennio, anche grazie ai racconti di bambini Jenisch diventati adulti come la scrittrice Mariella Mehr e al film di Valentina Pedicini che parla della sua storia, ma non ci si stanca mai di approfondirla, di conoscere più da vicino questa vicenda.

Solo che dopo questa prima parte, il film di Diritti prende una strada che si discosta sempre di più dall’idea originaria, per addentrarsi in una sorta di melò sparso in mille rivoli, tanto che dopo un po’, a ogni grafica in cui si legge la frase “12 anni dopo” o “10 anni dopo”, si viene colti dal panico e si inizia a guardare nervosamente l’orologio nel buio del cinema. Allo scadere della terza ora, gli spettatori esausti hanno seguito Lubo da Zurigo a Bellinzona, dove s’innamora della giovane italiana Margherita (Valentina Bellè) con la quale per un attimo spera di ricreare una famiglia. Ma i misfatti del passato riemergono e lo costringono a scappare sul lago di Varese, per tornare a Bellinzona dove viene preso e messo in carcere.

Non è finita qui e succede ancora molto altro, c’è tanta storia da poterci fare un altro film. Ma lo smalto di Lubo si perde man mano che il tempo passa e la bravura di Rogowski, visto recentemente anche nella grande prova del film Passages e che recita bene anche in italiano, fatica a star dietro ai cambi di storia, senza contare che guardando il film ci si chiede come sia possibile che Lubo passi da un destino da nomade saltimbanco a quelle di ricco e raffinato mercante, a quelle di seduttore, senza che mai nessuno abbia un sospetto, faccia una domanda. Un artista di strada di primissimo livello. E’ un peccato, perché Diritti ha voluto raccontarci una storia importante del passato, che come spesso accade ci parla del presente; di quanto anche nei paesi apparentemente più civili, in nome di un senso onnipotente di perfezione e di normalità, si distruggano mondi e genti diverse.

Intorno c’è una cornice da grande cinema – paesaggi innevati, belle case, grandi alberghi e bellissimi costumi – che però appare fredda e inutile in un film che dopo la prima ora non riesce più ad appassionare perché manca il bersaglio. Alla fine, ci si sente un po’ come Jane Fonda in Non si uccidono così anche i cavalli ?, estenuati dopo una danza insensata che non porta a niente e che ha perso il suo senso e le sue buone intenzioni al secondo giro di fox trot.

Lubo, di Giorgio Diritti, con Franz Rogowski, Christophe Sermet, Valentina Bellè, Noémie Besedes, Cecilia Steiner, Joel Basman, Oliver Ewy

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