Disco boy e la sua guerra “liberatoria”: nel cuore nero dell’Africa

In Cinema

Unico italiano in gara alla Berlinale, al film d’esordio Giacomo Abbruzzese ha vinto l’Orso d’Argento al miglior contributo artistico. Aleksei, bielorusso clandestino in Francia, entra nella Legione Straniera e va a combattere in uno sporco conflitto nel delta del Niger. Un’esperienza che si rivelerà traumatica e rivelatrice. Un film imperfetto e coinvolgente, potente la fotografia, dispersiva la sceneggiatura

Aleksei (Franz Rogowski), il protagonista di Disco Boy, esordio nel lungometraggio di Giacomo Abbruzzese, arriva in Francia dalla Bielorussia rischiando la vita e seppellendo amici. Da clandestino trova una nuova famiglia, l’unica possibile, nella Legione Straniera. In Africa, nel delta del Niger, il giovane Jomo (Morr Ndiaye) combatte contro le multinazionali che sfruttano il territorio, anche a costo di rapire innocenti e uccidere senza pietà. Anche a costo di spezzare il legame simbiotico con la sorella Udoka (Laetitia Ky), il cui unico obiettivo è ormai diventato quello di andare via, trovare un’altra vita altrove. I destini di questi tre personaggi si incroceranno nel modo più drammatico. Provocando scintille di senso, e tanta angosciante oscurità. Perché il tema con cui ci si confronta, in questo film imperfetto eppure coinvolgente, è la guerra come necessità e come trauma, possibilità di fuga e scoperta dell’inconscio, come paesaggio che circonda e stringe ma anche – inspiegabilmente, persino – come orizzonte che libera.

Nel cuore nero di un’Africa fin troppo scopertamente conradiana, un film che sembra un concentrato di idee ed emozioni. Forse troppe, considerato il tempo a disposizione. L’impressione è che in fase di montaggio ampie parti siano state tagliate, come a voler rimpicciolire le ambizioni di un progetto che nella mente nasce invece grande, e capace di raccontare quanto il mondo sia piccolo, interconnesso, infelicemente condannato a scontrarsi con muri, porte e steccati invalicabili.

Abruzzese costruisce un racconto spettrale, popolato di fantasmi che intrecciano incessantemente memorie ma non sembrano capaci di dare un senso compiuto a quei ricordi. Forse condivisi e forse no, anche questo è difficile da dire. Intuizioni visive molto interessanti si scontrano con buchi di sceneggiatura abbastanza lampanti, ma l’elemento chiave della narrazione è uno solo e molto evidente: la guerra è un’ossessione, un vuoto, una voragine che tutto attrae e distrugge.

Era l’unico film italiano in concorso alla 73ma Berlinale e si è portato a casa l’Orso d’Argento per il Miglior Contributo Artistico. Un riconoscimento importante che premia la capacità di costruire immaginario, attraverso una fotografia (di Hélène Louvart) davvero suggestiva e un impasto potente di luci esoteriche, sonorità elettroniche e derive digitali. Ma la narrazione si perde in troppi rivoli di senso, di rimbalzo in rimbalzo, in troppi meandri criptici che procedono a singhiozzo, rincorrendo lo spettatore, sballottandolo fra la giungla nigeriana e la pista da ballo di una discoteca parigina. Fino al termine della notte.

Disco Boy, di Giacomo Abbruzzese, con Franz Rogowski, Morr N’Diaye, Laetitia Ky, Leon Lucev, Matteo Olivetti

                                                                                                 

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