“The Pop Art of The Fugue” è il titolo della composizione che l’eclettico musicista Ruggero Laganà porta al Festival di MITO. Un’originale rielaborazione-riflessione sul tema della fuga. Al pianoforte Pietro De Maria. Inconsueto
Compositore, strumentista (clavicembalo, fortepiano, pianoforte), docente al Conservatorio di Milano, Ruggero Laganà (e ci tiene a dirlo) è stato allievo di Franco Donatoni.
Ma l’eclettico musicista è anche l’artefice dell’originale The Pop Art of the Fugue, fughe scritte su temi di vecchie canzoni (Oh sole mio), melodie d’opera (il valzer di Musetta), nenie popolari (Fra’ Martino campanaro, Happy Birthday to you), classici (l’andante del concerto in la maggiore K. 488 di Mozart), colonne sonore di film famosi (Schindler list) e così via. In occasione di MITO, alcune di queste fughe saranno eseguite il 16 settembre al Conservatorio dal pianista Pietro De Maria. Ne parliamo con l’Autore.
Anna Girardi – Bach è alla base degli studi in Conservatorio, le sue fughe sono da un lato la regola, dall’altro però sono anche molto libere, leggere… Mi sembra che tu abbia con Bach un rapporto molto anticonvenzionale, soprattutto per come è insegnato nei Conservatori, è giusto?
Ruggero Laganà – Verissimo quello che dici. Io scrivevo musica contemporanea già mentre ero allievo di Donatoni ed effettivamente sono incappato nella mia incapacità di avere un approccio didattico. Il contrappunto non sono mai riuscito a studiarlo: iniziavo, facevo il pedante, finivo la prima “specie” ma poi mi distraevo e mi mettevo a scrivere musica diversa.
Il mio libro di studi di allora, infatti, ha le prime 100 pagine completamente consumate perché ogni tre mesi lo ricominciavo: finché c’era da pensare all’esposizione, con regola, risposta tonale ecc., non avevo problemi. Quando però iniziavano i divertimenti, le famose parti più libere, andavo in crisi.
E come sei riuscito a risolvere il problema?
Un bel giorno allora ho preso il Clavicembalo ben temperato e l’ho ricopiato letteralmente, quello che facevano una volta! Senza troppi sforzi sono riuscito a scrivere e ho portato a Donatoni una fuga intera! Voce per voce ricalcavo un linguaggio che avevo fatto mio, ma senza stare a pensare a ogni regola e dettaglio. Alla fine mi veniva tutto facendo e lo sentivo molto una mia espressione, nonostante fosse musica del passato. Ho trovato un aggancio, tra l’altro, con il mio modo di scrivere musica di allora.
Bach ha una forma molto aperta, partendo da lui si possono seguire tantissime strade; poi certo, lui sceglie sempre il meglio e bisogna chinar la testa al suo cospetto, però senza alcun tipo di pretesa, perché non provare?
Un tempo, poi, i compositori avevano anche una gran freschezza perché improvvisavano, noi invece costruiamo molto. Improvvisando era proprio carne della loro carne. Io ho tentato di rendere la materia un po’ più interiorizzata e alla fine mi sono sempre divertito da morire. Le regole sono ovviamente fondamentali però perché poi non aprirsi anche a situazioni divertenti? La fuga è qualcosa di vivo proprio perché scaturisce da un dna unico e irripetibile.
E come è nata quest’idea di scrivere fughe su canzoni di musica d’oggi?
Era circa il 2000 e sono stato invitato a un compleanno; pensando al regalo da fare mi è venuta quest’idea un po’ balorda di regalare al festeggiato, mio caro amico, una fuga. Ho preso la penna di quelle calligrafiche da chiaroscuro color seppia e, siccome era uno di quegli ex sesantottini ancora un po’ nostalgici, ho scritto una fuga su l’Internazionale che doveva essere di una paginetta. Ho comprato un plexiglass per incorniciarla e gliel’ho regalata. La sera l’abbiamo suonata tutti insieme e ha riscosso un gran successo. Quindi è un’idea nata un po’ per gioco.
Per motivi simili mi sono ritrovato a scriverne altre, ad esempio ne ho composta una per una ragazza con cui uscivo: una sera eravamo in giro insieme e c’era Bobby Solo che cantava e le faceva l’occhiolino… Il giorno dopo le ho dedicato una fuga da Una lacrima sul viso in un bel re bemolle maggiore!
Due o tre anni fa dovevo fare una festa di Natale e ho scritto agli amici chiedendo quale fosse la loro canzone preferita, il pezzo che cantavano sotto la doccia o comunque quello più evocativo; mi hanno risposto in tanti e sono venuti fuori i pezzi più eterogenei da Insieme di Mina a un Adagio del concerto di Mozart per pianoforte, a Rachmaninov. Ho iniziato a cimentarmi sempre più. Verso il 20 di dicembre li ho invitati tutti a casa mia e le ho suonate tutte insieme, una quindicina. Hanno riscosso successo quindi le ho messe in bella copia e le ho regalate.
E come hai iniziato a farle conoscere al di fuori della cerchia di amici?
C’è stato un incontro con Oreste Bossini che ha un’associazione di musica d’insieme e mi ha proposto di andare a suonarle lì: ne ho scritte ancora due o tre e lui mi ha spinto a inciderle.
Un’altra occasione sono stati dei concerti al Teatro Verdi dove Giovanna Polacco, direttrice artistica, mi ha detto che c’era una serata per il Conservatorio con le fughe di Mascagni, Rossini scritte dagli ex allievi, e mi ha proposto di portarne qualcuna. Era presente anche Marcello Abbado perciò gliene ho dedicata una. Ridendo e scherzando sono arrivato a 25 fughe e a quel punto è nata la Pop Art of the fugue. Ognuna ha la sua dedica.
Quante ne hai composte?
Oramai ne ho sessanta, e quarantotto sono organizzate in Pop Art; poi alcune le ho trasformate anche in pezzi cameristici…
Qual è stato il commento dei tuoi amici?
È paradossale perché alcuni, che magari non avevano studiato musica, mi hanno detto di aver capito cos’è una fuga dopo aver ascoltato queste. Non voglio assolutamente sembrare arrogante e attribuirmi meriti, però a volte è più facile e immediato capire di che cosa si tratta partendo da melodie più facili e conosciute. A me piacciono tanto perché essendo connotate anche storicamente, c’è l’impostazione bachiana, ma emerge anche il contesto: in Gracias a la vida di Violeta Parra è venuto fuori un cromatismo molto drammatico, certe volte anche speranzoso…
Una molto simpatica mi è uscita sull’Habanera di Carmen, io ne vado orgogliosissimo. L’ho fatta per voce e trio d’archi! Tra le ultime ho fatto l’Inno delle olimpiadi, la canzone di Harry Potter, per la quale uso solo le note dal do centrale in su come se fosse fatta tutta di carillon, c’è Waka Waka di Shakira, tutta dal do centrale in giù, ritmata, con le percussioni… le due sono speculari. Le ha sentite anche Canino e le vuole eseguire.
E continui a scriverne?
Si certo, mi diverto. Siccome ho appena avuto un bambino di nove mesi, Riccardo, ho deciso di comporne una per lui sulla Ninna Nanna di Brahms. Avevo pensato di eseguirla il 16, nel caso ci fossero state richieste di bis, e ho scoperto che anche il figlio di De Maria figlio si chiama Riccardo! Tenendo conto che il tema di MITO è Padri e Figli è perfetta, abbiamo proprio i due padri che suonano per i due figli. L’ho scritta quindi a quattro mani, mi sembrava carino.
E con MITO come è arrivata la proposta?
Si parlava di portare a MITO la Pop Art della fuga già con Restagno; Campogrande lo conoscevo solo di nome, però gli ho mandato la proposta. Mi ha telefonato dicendomi che De Maria suonava le fughe di Bach che aveva appena registrato e allora gli ho inviato le mie. Sono contentissimo che abbia accettato di eseguirle, adesso sono curioso di vedere come le interpreterà.
Avevi già lavorato con Pietro De Maria?
No, in realtà non lo conosco, o meglio, l’ho conosciuto di persona e gli ho parlato per la prima volta quando è venuto qui in Conservatorio a suonare con Dindo. Sono onorato che abbia scelto di eseguire le mie fughe affianco a Bach. Diciamo che questo collegamento è un po’ la mia storia, suono musica antica e scrivo musica contemporanea, mi cimento in entrambe le epoche. Capisco la specializzazione però non ci credo poi così tanto: secondo me non bisogna fossilizzarsi solo sulla musica antica o solo sulla musica contemporanea. Ligeti scriveva pezzi attingendo al popolare, Berio faceva anche trascrizioni, non erano solo contemporanei. Una volta era normale che un compositore fosse anche musicista, che uno non avesse una sola specializzazione, credo molto nell’arricchimento. Purtroppo ultimamente si tende a dare del superficiale a chi si cimenta in più generi/periodi, secondo me non è invece una cosa negativa.
A Palazzo Reale c’è la mostra di Escher… l’hai vista? Mi viene in mente facendo il collegamento con il libro di Escher-Bach-Gödel; l’hai letto? Cosa ne pensi?
Se devo essere sincero non l’ho letto totalmente, però lo conosco. È molto interessante perché queste tre figure riassumono una concezione in cui credo molto: la fusione tra il visionario e l’eclettismo, l’unione di razionalità e irrazionalità, costruzione, ragione e follia, magia e molta espressività!
A. Scarlatti Variazioni sulla Follia di Spagna/ Ruggero Laganà (hpschd) live in Rome
Questo era anche un insegnamento di Donatoni. Quando parlava del materiale da cui si partiva, faceva sempre un riferimento che mi è rimasto impresso: c’è uno scultore che deve modellare del legno o del marmo. Ad un certo punto si accorge che una parte si spezza e deve risistemarla: è il materiale che ti condiziona e ti ritrovi anche a fare cose che non avevi pensato in partenza. Anche quando io scrivo le fughe è così, non so mai dove andrò a finire, la materia prende forma facendo. E c’è tanto di razionalità, irrazionalità, ragione e magia. Sono tutti mondi di perfetto connubio tra razionalità, naturalezza, senso della forma. E mi diverto molto, è forse la cosa più importante.
La (pop) art della fuga, Pietro De Maria (pianoforte), Conservatorio, 16 settembre
Musiche di Johann Sebastian Bach e Ruggero Laganà