Da Bach a Bowie. In mezzo Fresu e il suo jazz

In Musica

Sentito ieri sera ai Bagni Misteriosi. Il grande musicista assieme alla cantante Petra Magoni e ai Virtuosi Italiani ha interpretato un repertorio vastissimo. Come dire che la musica (almeno quella) non ha confini

Da Bach a Bowie il titolo del concerto che si è svolto ieri sera ai Bagni Misteriosi del Teatro Franco Parenti. L’evento ha ben incarnato lo spirito della Festa Europea della Musica così come era stata pensata nel 1982 dal Ministero della cultura francese: una festa aperta a tutte le musiche, senza distinzioni gerarchiche di generi o di pratiche (la locandina del concerto raffigura il ritratto più noto di Johann Sebastian Bach con al volto l’iconico trucco “a saetta” sfoggiato dal Duca Bianco nella copertina di Aladdin Sane). 

Significativa in questa chiave la presenza sul palco di importanti musicisti quali il trombettista Paolo Fresu, la cantante Petra Magoni e l’Orchestra I Virtuosi Italiani, diretta da Paolo Silvestri, tutti accomunati da una grande versatilità e un forte rispetto nei confronti dei mondi sonori più vari. Soddisfazione tra il pubblico che ha potuto godere di una serata piacevole, movimentata da eventi fuori programma (pioggia e strumenti ad arco non vanno molto d’accordo…) e dall’energia portata sul palco, specie dalla Magoni che con il suo stile trascinante è riuscita a strappare qualche nota cantata perfino ai membri dell’orchestra, ma non a far tuffare in piscina gli ascoltatori a fine concerto.

Petra Magoni (foto di Angelo Trani)

Di questa esperienza abbiamo parlato con Paolo Fresu, maestro nel creare connessioni tra diverse musiche e culture.

Un programma molto ampio quello del 21 giugno. Musiche di Bach, Bellini, Bowie…
Il nostro è stato una sorta di esperimento, una sfida nel costruire un percorso senza soluzione di continuità in cui si parte dal periodo barocco e si arriva al pop/rock degli anni ’80. Ha citato gli autori principali intorno a cui ruota il concerto, può capire come mai inizialmente avevo intenzione di intitolarlo “B, B e.. B”!

Da chi è partita l’idea di realizzare questa commistione di generi?
Quando sono stato contattato dalla Società del Quartetto c’era già la volontà da parte loro di celebrare la musica come manifestazione universale, creando ponti fra linguaggi differenti: un pensiero su cui sono sempre stato d’accordo e che avevo già messo in pratica proprio con gli artisti che suoneranno con me. Così abbiamo messo insieme le nostre esperienze passate e organizzato un nuovo spettacolo unitario. 

A quali esperienze si riferisce?
Con i Virtuosi Italiani avevamo realizzato il progetto Back to Bach accostando il repertorio e lo spirito della musica barocca al jazz e all’improvvisazione. Loro lavorano nel campo della musica antica e “colta” contemporanea, ma hanno sempre collaborato anche con grandi artisti di altra provenienza, come Goran Bregović, Chick Corea e Michael Nyman. Con Petra Magoni invece avevamo reinterpretato parte del repertorio di David Bowie, eseguendolo in live e incidendo un disco (Heroes, etichetta Tŭk Music ndr).

E con Paolo Silvestri? 
Anche con lui ho realizzato un disco, incentrato però su Vincenzo Bellini: una rivisitazione e un libero ma rispettoso adattamento delle bellissime arie di Norma secondo i canoni stilistici della musica jazz, con la partecipazione dell’Orchestra Jazz del Mediterraneo. 
Per il concerto del 21 giugno abbiamo ritrovato alcune arie tra cui Casta Diva e Qual cor tradisti, che è anche la nostra preferita. Paolo Silvestri ha fatto davvero un ottimo lavoro realizzando gli arrangiamenti di tutti i brani apposta per questa occasione. Il nostro obiettivo non era solo quello di mescolare i generi ma anche le diverse formazioni orchestrali: quella sinfonica e quella jazz.

Cosa tiene unito questo repertorio?
Oltre a seguire una linea temporale legata alla storia della musica, diciamo che mi ritrovo io stesso ad essere il filo conduttore tra i vari brani presentati, in mezzo ai quali mi muovo grazie a momenti di improvvisazione in cui reinterpreto e invento la musica secondo una mia personale visione. 

Nel suo caso in chiave jazz.
Sì, non solo attraverso la mia interpretazione ma anche secondo quella di altri musicisti e compositori sempre attivi in ambito jazzistico, come Richard Galliano e Uri Caine, qui presentati accanto a Bach poiché hanno scritto dei brani seguendo il loro stile ma calandosi nel linguaggio musicale barocco. 

Quali altri progetti la aspettano dopo questo?
Ho in programma due tournée importanti. Una in formazione di trio con il violoncellista brasiliano Jaques Morelenbaum e la pianista Rita Marcotulli, l’altra con il pianista Dino Rubino, il contrabbassista Marco Bardoscia, poi Daniele Di Bonaventura e Carlo Maver al bandoneon. Con il secondo gruppo è prevista non solo l’esecuzione ma anche l’incisione su disco delle musiche che ho scritto per il docufilm The last beat del regista Ferdinando Vicentini Orgnani, dedicato allo scrittore e poeta statunitense Lawrence Ferlinghetti, leggenda della Beat Generation, scomparso l’anno scorso. Inoltre continuerò a portare avanti il progetto legato a David Bowie.

Non dimentichiamo poi il Festival Time in jazz che si svolge ad agosto in Sardegna, fondato da Lei nel 1988, sempre attivo e importante luogo di ritrovo per artisti italiani e non solo.
Sì, abbiamo sempre invitato anche artisti internazionali e quest’anno saranno presenti musicisti iconici della musica jazz, come il sassofonista statunitense Archie Shepp, insieme ad altri grandi nomi quali il trombettista norvegese Mathias Eick, l’israeliano Avishai Cohen, il sassofonista Stefano Di Battista e Tosca, con la sua splendida voce.
Vorrei aggiungere che quest’anno abbiamo prestato ancora più attenzione al tema dell’inclusività. D’altronde il jazz nasce dall’unione delle diversità, geografiche nonché culturali, sociali, economiche e razziali, sessuali e di genere, di abilità, di gusti e di pensieri. Abbiamo voluto dedicare il nostro festival alle donne, alle persone con disabilità, a tutti coloro che lottano per i propri diritti e abbiamo raffigurato questa dedica con i meravigliosi colori del Rainbow, l’arcobaleno multietnico che rappresenta quella bandiera libertaria dell’identità di gǝnǝrǝ oggi anche simbolo di pace e di fratellanza.

In copertina foto di Roberto Cifarelli

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