Prada or nada

In Arte

Alla nuova Fondazione va in scena An introduction, curata dalla star Germano Celant. Esplorare una collezione (quella Prada-Bertelli) senza darle un senso

Prendete un po’ di opere da una collezione privata. Mettetele insieme, con un minimo di criterio cronologico, sfilacciato, e avrete una mostra. Magari curata da Germano Celant. Poi magari la collezione in questione è quella di Miuccia Prada e Patrizio Bertelli. E la location, magari, è quella degli spazi rinnovati della Fondazione Prada, alla ex distilleria Società Italiana Spiriti, appena dietro piazzale Lodi, tra le geniali intuizioni architettoniche di Rem Koolhaas.

Purtroppo le opere sembrano raccolte (o almeno esposte) senza alcun criterio stilistico, né tantomeno di gusto. Cosa tiene insieme Walter De Maria, Pino Pascali, Piero Manzoni, Enrico Castellani, Mario Schifano, Yves Klein, Lucio Fontana, Giulio Paolini, Jeff Koons, Salvatore Scarpitta, Giulio Romano (o i fratelli Dossi?), se non l’essere degli ottimi investimenti, in linea con il gusto imperante delle aste Sotheby’s e Christie’s? Molto poco. E la curatela non fa nulla per riannodare i fili, per tenere insieme le tele e le sculture; insomma, se non per ritrovare, almeno per provare a dare un senso. Vero è che la collezione non sembra seguire il rigore di gusto, la consapevolezza di scelte e ideali dimostrate da grandi collezionisti italiani e non, del presente e del passato: non si è tra le stanze di Alessandro Contini-Bonacossi o Isabella Stewart-Gardner, ma nemmeno di Gimmo Etro, di Giulia Maria Crespi, di Alberto Saibene, dei coniugi Boschi-Di Stefano o degli Jucker, per restare a Milano. Però le opere, a volte, sono bellissime. E si sarebbe potuto fare di più per valorizzarle.

Pino Pascali, Solitario, 1968. Courtesy Fondazione Prada
Pino Pascali, Solitario, 1968. Courtesy Fondazione Prada

Certo, rimane “an introduction” alla collezione: forse la volontà era quella di mettere in mostra una sorta di quadreria, un album delle figurine da cui – poi – poter scegliere elettivamente singole opere che diano un senso a dei percorsi. Come accade, di solito, negli altri spazi della Fondazione.  In particolare stupisce in positivo – e chiudeva ieri, purtroppo – In Part a cura di Nicholas Cullinan. La dimostrazione, insomma, che una mostra sbagliata non fa l’inverno di un’istituzione culturale che a Milano ha già dato tanto e siamo sicuri continuerà a riportare cultura nella periferia cittadina, rimanendo al centro d’Europa. Ma non questa volta.

 

“An introduction”, a cura di Germano Celant, Fondazione Prada, fino al 10 gennaio 2016

Immagine di copertina: una sala della mostra

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