Protagonisti sono i dettagli. Domenico Gnoli in Fondazione Prada

In Arte

A Milano, in Fondazione Prada, è esposto Domenico Gnoli (Roma, 1933 – New York, 1970). Impossibile non andarci.

Domenico Gnoli ha avuto la capacità, in soli 37 anni, di farci entrare dentro alle tasche di una giacca, sprofondare in un decolleté dai colori accesi e decisi, farci sognare in un’estetica squisitamente borghese di un primo Novecento che sa ancora di abiti stirati alla perfezione. Ci ha stupiti, illusi, spiazzati raccontando la solo apparente banalità dell’ordinario.

Protagonisti sono i dettagli, come polsini, bottoni, acconciature, ma anche scorci di interni in case silenziose, in cui la gravità sembra essere pesante, congelata in una atemporalità: così appaiono le coperte sui letti, appiccicate a corpi stesi o le pieghe delle poltrone, che non si capisce se siano appena state liberate o se siano incredibilmente stanche di accogliere per l’ennesima volta, da sempre, pesi di corpi che si abbandonano su di esse.

Domenico Gnoli, Due dormienti, 1966. Acrilico e sabbia su tela. Collezione Privata.
© Domenico Gnoli, by SIAE 2021

La mostra, basata su un progetto di Germano Celant, è esposta nei due piani del Podium, in Fondazione Prada, e colpisce, sin dal primo sguardo, la vastità del corpus di opere esposte. Gli occhi sono catturati da dettagli nei dettagli, che dominano nei close-up: elementi legati alla quotidianità soddisfano e incuriosiscono lo sguardo, tramite un’altissima misura cromatica e spaziale. Non si può fare a meno di perdercisi dentro. Tavoli da pranzo, divani e poltrone, capelli, vestiti e scarpe campeggiano protagonisti dello spazio dei dipinti, in grande formato.

Ogni opera è una natura morta urlante di silenzi quotidiani, assenze e attese di una presenza vitale, che potrebbe risultare quasi invadente, quasi ridondante. Siamo attratti eppure incuriositi da cos’altro non ci è dato di vedere, dalla visione d’insieme, che ci è negata.

“Non voglio aggiungere o sottrarre nulla, non ho neppure mai avuto voglia di deformare: io isolo e rappresento”, affermava Gnoli.

Domenico Gnoli, Coat, 1968. Acrilico e sabbia su tela. Collezione Van Abbemuseum, Eindhoven. © Domenico Gnoli, by SIAE 2021

Se nella prima sala le opere appaiono manifesti, il piano superiore fa entrare il fruitore in un mondo che potrebbe quasi smontare l’arbitraria impressione che Gnoli abbia dipinto dei particolari solo per il gusto di isolarli, nel rappresentarli. Le opere del secondo piano formano per certi versi una seconda mostra, in cui la curiosità trova approfondimento e fa trasparire indirettamente la grande personalità di Gnoli, fino a mettere in dubbio che i dettagli siano davvero, come lui stesso affermava, del tutto esuli da un significato intrinseco.

Si entra nella doppia anima dell’artista, divisa fra pittura e teatro, che rivela un sottilissimo, quasi impercettibile cenno ironico verso una società di colletti inamidati e donne in tailleur e tacco.

Queste figure nelle sue illustrazioni si sfaldano in pose grottesche, tutt’altro che dignitose e borghesi, sgocciolano in figure sghembe, rivelando tutt’altro che compostezza e perfezione.

Veduta della mostra Domenico Gnoli, Fondazione Prada, Milano. Foto: Roberto Marossi
Courtesy: Fondazione Prada

Il vivere nelle illustrazioni di Domenico Gnoli talvolta mostra un uomo in affanno, nel costruire grandi cose, come i razzi Nasa per esplorare lo spazio, ma nel rimanerne suo malgrado rozzamente inadeguato.

In un dittico di quadri piccolissimi, forse, è avvenuto un omicidio? L’ambiente è lo stesso che abbiamo trovato al piano inferiore, dai rassicuranti sofà, colori pastellati e vivi, armoniose forme. Eppure, sul divano c’è una testa di uomo recisa. Le persone non sembrano accorgersene.

Forse è una messa in scena teatrale?

Forse è stato commesso un delitto premeditato, fra le mura borghesi, di una casa borghese?

Non ci è dato saperlo.

Tutto nei dipinti di Domenico Gnoli torna silenzioso e armonico, in una ricerca doviziosa di dettagli ed elementi trascurabili, elevati a protagonisti indiscussi.

E la scomparsa di Celant accentua ancora di più questo silenzio. L’assenza di un suo commento, che sarebbe stato puntuale, rende ancora più misteriosa la mostra, dando piena voce alle oltre 100 opere esposte.

Veduta della mostra Domenico Gnoli, Fondazione Prada, Milano. Foto: Roberto Marossi
Courtesy: Fondazione Prada

La pittura di Domenico Gnoli è poesia visiva, oltremodo attuale, ispirazione di registi famosi, artisti e illustratori. Il suo raccontare il silenzio, la vita attraverso le cose, è quanto più vicino a noi oggi, così amanti delle inquadrature armoniose, del minuzioso particolare immancabile, nell’estetica dei feed, che curiamo nei social network.

La definizione della sua arte è per antonomasia il dettaglio che sfugge, fra i mille dettagli immortalati sapientemente sulle sue tele.

E forse ci piace così tanto per questo: laddove non v’è nulla che rappresentazione, messa in scena e godimento per l’occhio, un enigma, un inganno, una distrazione magari c’è, fra le caratteristiche delle vite umane che abitano quegli oggetti. Ma è tutto troppo bello, tutto troppo perfettamente, poeticamente perfetto, per cercarlo.

Domenico Gnoli, Red Hair on Blue Dress, 1969. Acrilico e sabbia su tela. Collezione Prada, Milano. © Domenico Gnoli, by SIAE 2021


Domenico Gnoli, Milano, Fondazione Prada, fino al 27 febbraio 2022

Immagine di copertina: Veduta della mostra Domenico Gnoli, Fondazione Prada, Milano. Foto: Roberto Marossi. Courtesy: Fondazione Prada

(Visited 1 times, 1 visits today)