Oscar -4. Ecco le nostre anti-nomination

In Cinema

Gaffe storiche e memorabili “mises”, vincitori immeritati e incredibili esclusi. Ovvero: tutto ciò che è sempre divertente ricordare della “star night”

Ci risiamo. Come ogni anno, si avvicina a grandi passi la cerimonia per la consegna delle statuette più ambite (e commerciali) del mondo cinematografico, dentro e fuori Hollywood. L’edizione numero 88 degli Academy Awards, per gli amici semplicemente Oscar, si presenterà ufficialmente ai nastri di partenza la notte di domenica 28 Febbraio, a partire dall’immancabile red carpet intorno alle 23 ora italiana. Si può vedere in abbonamento su Sky, canale Cinema Oscar (304), in streaming su Sky on Demand, ma anche in chiaro, su TV8 (ex Mtv, canale 8 del DDT), a partire dalle ore 22.50. Tra i grandi ospiti della notte degli Oscar star musicali come Lady Gaga, Pharrell, John Legend e Sam Smith, e grandi attori e attrici quali Morgan Freeman, Russell Crowe, Reese Witherspoon e Julianne Moore. E il comico britannico Sacha Baron Cohen, noto per i personaggi di Ali G, Borat e Brüno.

Quest’anno abbiamo deciso di giocare anche noi di Cultweek, proponendo le nostre personalissime categorie e nomination. Che forse vi aspetterete. Su il sipario dunque, buio in sala, e cominciamo.

CATEGORIA “AND THE WINNER IS (NOT)”/ PROVACI ANCORA, LEO
Da qualche mese a questa parte, non si può parlare degli Oscar senza pensare (sogghignando) a Leonardo di Caprio. Martoriato da orsi in torrenti gelati, e soprattutto sbeffeggiato da impietose gif e meme sui social network, il povero Leo è uno degli storici grandi perdenti, con ben 5 nomination in carriera e (per ora) nessuna vittoria. Dopo tanti film e delusioni, par essere arrivato finalmente l’anno buono: in The Revenant lo vediamo strisciare e rantolare sopportando con biblica pazienza tutto ciò che il sadico Iñárritu gli scaglia addosso. Eppure la sua carriera trabocca già d’interpretazioni ottime in cui oltre a soffrire e arrancare il buon Leonardo recita proprio bene. Ecco la nostra personale top 5:
Buon Compleanno Mr. Grape: Il primo della lunga serie di Oscar mancati in casa Di Caprio risale al 1993, quando non ha ancora vent’anni e solo qualche esperienza tra serie tv (Genitori in Blue Jeans) e B-movies (Critters 3): nel film di Lasse Hallström mette in mostra un talento precoce e cristallino, interpretando il difficile ruolo di un adolescente ritardato. Poi, in meno di dodici mesi, è a fianco nientemeno che di Robert De Niro in Voglia di Ricominciare. Per pubblico e critica è lui la sorpresa dell’anno, e la nomination da attore non protagonista è l’inizio di una grande carriera.
William Shakespeare’s Romeo+Juliet: Ovvero dove tutto è cominciato. Sì, perché nel 1996, un anno prima del botto (in tutti i sensi) con il Titanic di James Cameron, era già arrivato il tripudio pop culture di Baz Luhrmann a lanciare il ciuffo ribelle di un Di Caprio appena 22enne nell’olimpo delle star per teenager. Ma a parte le dovute concessioni alle fan, dietro gli sguardi languidi da poster, si nasconde uno Shakespeare retto alla perfezione dal giovanissimo Leo: che si guadagna a Berlino un Orso d’Argento e le attenzioni di Cameron per il film che lo consacrerà star mondiale l’anno dopo.

di caprio 1
The Departed: Terzo capitolo di uno tra i più fruttuosi sodalizi della storia del cinema recente, quello tra un Di Caprio sempre più lanciato nello star system e un regista esperto, geniale,  Martin Scorsese. Come in Gangs of New York, che aveva segnato il colpo di fulmine artistico tra i due, anche qui si parla di America e malavita, gangster e legge della strada. Alla voce “partner eccellenti” figura stavolta uno scatenato Jack Nicholson nei panni di un boss della mafia irlandese, ispirato al pluriomicida Whitey Bulger Jr. Quattro Oscar vinti, ma anche stavolta per il buon Leo nemmeno una parola. Se non è ingratitudine questa…
Revolutionary Road: Leo e Kate si sono da poco ringraziati, e mandati messaggi d’affetto dal palco del Golden Globe, e tutti a commuoversi di nuovo, a quasi 20 anni dallo storico abbraccio sul ponte del Titanic. Ma la reunion c’era già stata, nel 2009, in questo film, sotto lo sguardo paterno (e inaspettatamente intimista) di Sam Mendes. Da un romanzo di Richard Yates, storia di coppia tristissima nell’America anni ‘50, e primo Golden Globe per Kate Winslet. Pellicola però pressoché ignorata dalla giuria dell’Academy, e con lei il povero Di Caprio, che pure era l’altra metà del film.
The Wolf Of Wall Street: Paura e delirio nel financial district. Sesso, droga, e un Leo monumentale, per quella che resta a tutt’oggi una svista arbitrale da interrogazione parlamentare: come è potuto andare l’Oscar 2014 al miglior attore al pur notevolissimo Matthew McConaughey di Dallas Buyers Club e non all’one-man show cucito su misura addosso a Di Caprio, ancora una volta dal maestro Scorsese? Un mistero che nessuno potrà mai spiegare. O forse la dice lunga sui ruoli da Oscar, e quelli invece no. Nel dubbio, comunque, il miglior Leonardo recente, e forse di tutta una vita.

Stefano Benedetti

di caprio

CATEGORIA “LEI NON SA CHI SONO IO”/DA HITCHCOCK, “DONNE”, “LEBOWSKI”  
A volte capita, anzi, succede spesso che i selezionatori delle nomination all’Oscar stiano dormendo o si stiano limando intensamente le unghie. Per questo si perdono grandi film che meriterebbero di vincere, o almeno di partecipare al gran finale. Perché insomma, si può selezionare Shakespeare in love e dimenticare di mettere nella cinquina Il Grande Lebowski. Non fosse che al grande Drugo non gliene potrebbe fregare di meno, verrebbe da dire “lei non sa chi sono io!” ai tanti sciocchi posteggiatore di film dell’Academy. Ecco qualche caso di clamorosa “dimenticanza”.
Il Grande Lebowski: Gli Oscar non sono mai stati teneri nei confronti dei Fratelli Coen. Qualche nomination qua e là, un premio per la migliore sceneggiatura di Fargo, due, tra cui la miglior regia, a Non è un Paese per Vecchi. Ma se possiamo comprendere le scelte dei giurati per film come il simpatico ma inutile Prima ti sposo e poi ti ammazzo, sfugge per quanto riguarda Drugo e compagni. Qui si sta parlando di vestaglie e sbronze a base di White Russian, di Jesus alias John Turturro che lecca la sua palla da bowling. Valeva la pena fare uno strike.
Un film a caso di Alfred Hitchcock: Nominato come miglior regista in varie occasioni, Alfred Hitchcock non ha mai vinto. Uno scandalo. E stavolta parliamo di film che neanche sono arrivati in zona Cesarini: fra i tanti del regista inglese, scelgo Notorius, l’amante perduta, che ha preso due nomination, ma avrebbe meritato qualcosa di più. Quell’anno, era il 1947, vinse un film di William Wyler, I migliori anni della nostra vita, pellicola che si sdilinquiva sui reduci della Seconda Guerra Mondiale. Un solido film di mestiere, ma anche una partita noiosamente facile. Mentre il lungo bacio fra Cary Grant e Ingrid Bergman meritava assai di più.

hitchcock
C’era una volta in America: Confesso, non sono una fan di questo film, ma sempre di grande film si tratta e pare impossibile che non abbia avuto una nomination. Evidentemente Sergio Leone non piaceva agli americani, visto che anche Il Buono, Il Brutto e il Cattivo, grandissimo western, non venne nominato in nessuna categoria.
Mean Streets: L’unica scusante è che Martin Scorsese era molto giovane e Mean Streets era il suo primo vero lavoro, ma davvero non ci si spiega come sia stato possibile mancare questo film. E poi sui titoli di testa c’erano le Ronettes che cantavano Be My Baby, ecchecavolo!
Shining: Il mattino ha l’oro in bocca, ma non l’Oscar purtroppo. L’Academy si perse in un labirinto di altre proposte. Per carità, nel 1981 c’erano in lizza Toro Scatenato e The Elephant Man, e per Stanley Kubrick sarebbe stata comunque una lotta durissima. Tuttavia il ghigno satanico del buon Jack Nicholson non avrebbe sfigurato nel parterre della serata.
Donne: Lo so, è del 1939, a chi interessa un film del ’39? Ma Donne di George Cukor è un grande film che avrebbe meritato non solo di venir nominato, ma anche di vincere. Bè, forse vincere no, visto che per quell’anno c’erano Via col vento e Ninotchka, ma è comunque un melò divertente, raffinatissimo, che solo uno come Cukor poteva fare. Si rifece, negli anni successivi, con le sei nomination per Scandalo a Filadelfia (che non vinse niente), con Angoscia con Ingrid Bergman che vinse due statuetta tra cui quella alla protagonista e soprattutto avrà le sue belle soddisfazioni con My Fair Lady, che di Oscar ne porterà a casa ben otto.

Francesca Filiasi

Dal film "Donne"
Dal film “Donne”

CATEGORIA “SALUTI E BACI”/COME SI “ACCETTA” UNA VITTORIA
Qualche anno fa, nel suo monologo d’apertura, la presentatrice Ellen DeGeneres consigliò ai papabili vincitori di inventare qualche bugia accattivante per scongiurare il rischio di ripetere il solito copione: lacrime, ringraziamenti e sorrisi. Per fortuna, nel corso di decine di cerimonie c’è chi ha saputo sparigliare le carte e regalare all’interminabile spettacolo degli Oscar qualche imprevisto che è poi rimasto negli annali. In attesa di scoprire come si comporteranno i vincitori dell’88a edizione, ripercorriamo alcuni dei migliori discorsi pronunciati sul palco più prestigioso di Hollywood.
Greer Garson, Migliore attrice protagonista, 1943: In una delle edizioni più austere e patriottiche, il propagandistico La Signora Miniver conquista ben 6 Oscar, compresa quello per la migliore attrice. Greer Garson agguanta la statuetta, ringrazia commossa e inizia un discorso che durerà ben cinque minuti e mezzo. Più del suo ruolo, diranno le malelingue. Leggenda vuole che da allora l’Academy abbia introdotto il limite di 45 secondi per tutti gli “acceptance speech”.
Ingrid Bergman, Migliore attrice non protagonista, 1975: Spesso i candidati che restano a bocca asciutta sono costretti a esibirsi in sorrisi forzati e sguardi ammirati all’indirizzo del fortunato vincitore. Tutto in favore di telecamera, ben inteso. Nessuno però ha mai raggiunto la genuina spontaneità di Ingrid Bergman che, ritirando il terzo Oscar della sua brillante carriera per Assassinio sull’Orient Express, si è detta sinceramente dispiaciuta per aver scippato il premio a Valentina Cortese, candidata per Effetto Notte di Truffaut. Molto più che semplice fair play.
Joe Pesci, Migliore attore non protagonista, 1991: Chi ha detto che 45 secondi sono pochi per un discorso di ringraziamento degno di questo nome? Joe Pesci ne ha impiegati circa 2 e ha lasciato comunque il segno. Ritirando la statuetta come migliore attore non protagonista per lo scorsesiano Quei Bravi Ragazzi, ha sussurrato pacatamente: “It was my privilege. Thak you”. Sentito, elegante e soprattutto conciso. Più stringata di lui fu solo la giovanissima Patty Duke, che, premiata per la sua interpretazione in Anna dei Miracoli, si limitò a un timido “Thank you”.
Roberto Benigni, Miglior film straniero, 1999: Se Joe Pesci s’è distinto per misura, non si può certo dire altrettanto di Roberto Benigni, premiato per il suo La vita è bella. All’urlo, ormai iconico, di “Robbberto”, il comico toscano ha raggiunto Sophia Loren saltellando sulle spalliere delle poltrone del Dorothy Chandler Pavilion, mentre Steven Spielberg lo aiutava nel suo numero da equilibrista. E, una volta sul palco, si è esibito in una sorta di personalissimo grammelot tra citazioni dantesche, ringraziamenti di rito e fantasiose immagini dal gusto pagano. A fine serata avrà modo di replicare lo spettacolo, ritirando il premio come miglior attore: “My body is in tumult”.
Michael Moore, Miglior documentario, 2003: “Viviamo in tempi fittizi, con elezioni fittizie, che hanno eletto un presidente fittizio, che ci manda in guerra per ragioni fittizie”. È il 2003, l’anno di Bowling For Columbine: l’invasione dell’Iraq è iniziata da poco e il documentarista d’assalto Michael Moore infiamma con queste parole la platea del Kodak Theatre, che si divide tra applausi scroscianti e sonori fischi. Il discorso si conclude con l’anatema “Shame on you, Mr. Bush”, mentre l’orchestra irrompe per cercare di tagliar corto. Reazioni così veementi non si verificavano dal 1978, quando l’attrice Vanessa Redgrave fu duramente contestata per le sue dichiarazioni filo-palestinesi.

Stefano Guerini Rocco

 

CATEGORIA “LA CORAZZATA POTEMKIN”/QUEL FILM ERA UNA …… PAZZESCA
Ecco una nuova categoria: l’occhio dell’uomo comune, dell’anti-Academy che scetticamente, ma convintamente, proclama: “Per me, è una cagata pazzesca”. Non sono i Razzie Awards (che, sarà un caso, ma ci ricordano senatori nostrani), cioè i peggio film dell’anno, ma i “Potemkin Awards” cioè i film incensati ma che ci prendiamo la libertà, dopo attenta riflessione, di schifare.
Crash – Contatto Fisico: Spesso è una questione relativa, quella degli Oscar: quello era meno bello di quell’altro. Ma in questo caso si potrebbero anche dimenticare i concorrenti (tra cui I Segreti di Brokeback Mountain). «When you are moving at the speed of life, we are bound to collide with each other» era lo slogan promozionale del film. Detto tutto.
Shakespeare in Love: L’ennesimo remake shakespeariano ce lo potevamo evitare. Potevamo evitare soprattutto di dargli la statuetta Al miglior film. Perchè anche a pescare ad occhi chiusi c’era Salvate il soldato Ryan. Sarà che, con anche Elizabeth in concorso, l’Academy ha avuto nostalgia del colonizzatore.
Rocky: Il machismo è per tutte le stagioni, ma Rocky va molto oltre, diventa umano. E Adriana (aaaaaaah) rimarrà nei cuori di tutti noi. Ma Taxi Driver era lì, quello stesso anno…
La Calda Notte dell’Ispettore Tibbs: Il film bello, anche molto. Però c’era Il Laureato in concorso. E non ha vinto! Bah. Decisioni discutibili: sarà che era il 1968 e c’era aria di contestazione da reprimere.
Com’era verde la mia valle: Basta vedere la pagina Wiki di questo film dimenticato e metterla al confronto con Quarto Potere, che quello stesso anno non ha vinto, per capire che il destino più prossimo del film è quello di essere citato da Kevin Costner, per la pubblicità del «Comè belo caminare in una valeverde».

Giulio Dalvit

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