Scoprendo l’Africa, al Mudec

In Weekend

Frastornati e ammirati. E’ l’effetto di “Africa. La terra degli spiriti”che inaugura il Mudec, il nuovo museo della Culture. E per capire meglio un buon catalogo

Finalmente anche Milano ha un Museo delle Culture, il Mudec, e i pezzi strepitosi della mostra Africa La Terra degli Spiriti  stanno accogliendo i primi visitatori. Il Mudec peraltro non è solo un museo, ma uno spazio di confronti, di ricerca, di accoglienza, un’Accademia di alta formazione nei settori dell’Arte e dei Beni Culturali, del Design Managment. E il luogo, le ex officine Ansaldo, nonostante le mille critiche e difficoltà, è nel complesso di grande effetto e molto accogliente.

In mostra dunque. Da una luminosa corte interna, dalle geometrie organiche, con volte di cristallo e zinco, si accede a un’immensa sala nera, nero il soffitto, le pareti, il pavimento; dall’alto scendono grandi cilindri di vetro che racchiudono statue e maschere meravigliose. Una specie di invasione di ultracorpi africani.

Si resta frastornati e ammirati. I curatori sono riusciti a mettere insieme quanto di più bello si possa immaginare, tra pezzi provenienti da lasciti e collezioni civiche e prestiti da musei e collezionisti internazionali. Se l’intento è quello di dimostrare che si tratta di vera arte  e non di artigianato primitivo è perfettamente riuscito.

Salta anche un altro luogo comune, cioè che l’arte africana sia un’entità unica, indifferenziata, senza evoluzione, senza influenze reciproche: ci sono opere di un realismo sconcertante, altre cubiste, altre surrealiste, altre lineari o decorate con perline, conchiglie, piume, quasi barocche, altre completamente astratte; legni levigati come pietra, altri rozzi, impastati di farine, colori, sangue; metalli grezzi e lucidati come opere di oreficeria.

Certo le categorie stilistiche utilizzate per l’arte occidentale non hanno alcun senso per l’artista africano: «Eppure è impossibile guardare a queste sculture con occhio ‘innocente’ e la lettura condizionata si traduce in associazione automatica tra codici espressivi occidentali e soluzioni formali adottate dagli artisti africani del tutto autonomamente; con il rischio, non possiamo nasconderlo, di incorrere in errori grossolani di interpretazione e valutazioni», scrive Ezio Bassani nell’introduzione al catalogo, che è fondamentale per orientarci nel tentativo di entrare nel misterioso Cuore di Tenebra ( dal magnifico romanzo di Joseph Conrad), che l’allestimento della mostra non aiuta a decifrare.

Insomma, per tradurlo in qualcosa che ci capita continuamente – politicamente scorretto certo, ma reale – è come considerare belli uomini neri come Barack Obama o Denzel Washington, perché hanno tratti somatici affilati, simili a quelli occidentali; labbroni tumidi, nasone ci sembrano negroidi, brutti.

Un aspetto importante, che ci può orientare, è che le sculture africane non sono rappresentazioni di divinità, di antenati, di spettri, ma sono la loro incarnazione: sono esseri, presenze, cui sacrificare, da invocare, da cui difendersi. Sul loro corpo si spargono farine, essenze, sangue, intorno a loro si eseguono danze, musiche, gli stregoni con le loro maschere cadono in trance e diventano gli spiriti evocati.

L’allestimento della mostra, così scenografico, ma asettico, toglie il senso a queste opere che nascono per essere dentro il rito; dovrebbero essere, se non proprio toccate, almeno esposte senza vetri, per poterci girare attorno, immaginarle in movimento, scoprire le incrostazioni di farine, colori, le spaccature del legno dovute all’umidità, all’uso…

Prendiamo per esempio una Figura magico-religiosa, Yombe del Congo, dell’inizio del XX secolo. E’ alta poco più di un metro, di legno, specchio, ferro, rame e materiale magico, tutta trafitta da chiodi. E’ un feticcio per difendere un guerriero dai colpi dei nemici, o per attirare il malocchio su un avversario. Alcuni studiosi dei secoli passati avevano azzardato l’ipotesi sconcertante di una derivazione dal martirio di San Sebastiano, dovuta all’influenza cristiana a partire dal XVI secolo. Dolcissima, la Maternità, Phemba, dell’inizio dell’800, in legno ancora cosparsa delle polveri vegetali dei sacrifici per la fecondità.

Infine, l’enigmatica Testa commemorativa di Oba, Benin, Nigeria, XVIII secolo, una fusione in bronzo di straordinaria raffinatezza nei lineamenti delicati, nella cotta a rete del copricapo, nelle geometrie del collare. Venivano plasmate in cera, rivestite di argilla e poi colate con una lega metallica. In mostra anche maschere terribili e seducenti, armi da guerre stellari, cucchiai dal design moderno… insomma un universo da scoprire.

(All’inaugurazione  del nuovo museo il sindaco Giuliano Pisapia non c’era, per un motivo importante, con una forte valenza politica. Era in Comune a conferire la cittadinanza italiana ai figli degli stranieri residenti a Milano, un atto che non ha valore legale ma è una dichiarazione di intenti, di riconoscimento della nuova società multietnica).

 

Africa La Terra degli Spiriti Milano, MUDEC, Area ex Ansaldo,  fino al 30 agosto  (Catalogo 24 ORE, € 42)

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