Van Gogh pittore cult

In Arte

Van Gogh fu certamente un grande pittore ma anche un uomo estremamente curioso e colto. Per comprendere la complessità della sua personalità, al di là dei più abusati luoghi comuni, la mostra “Vincent Van Gogh. Pittore colto”, al MUDEC – Museo delle Culture di Milano fino al 28 gennaio, prova a mettere a fuoco anche la ricchezza e la profondità dei suoi interessi culturali con l’intenzione meritoria, dichiarata sin dal titolo, di smentire alcuni pregiudizi. Rischiando però di perpetuarne altri.

“E dov’è in questo delirio il posto dell’io umano? Van Gogh cercò il suo per tutta la vita con un’energia e una determinazione strane, e non si è suicidato in un impeto di pazzia, nel panico di non farcela, ma invece ce l’aveva appena fatta e aveva scoperto cos’era e chi era, quando la coscienza generale della società, per punirlo di essersi strappato ad essa, lo suicidò”.
Così Antonin Artaud in Van Gogh il suicidato della società spiega come la cattiva coscienza collettiva annienti gli individui indesiderabili. Vincent Van Gogh, vittima in vita di questa ferocia, è oggi considerato tra i più grandi artisti mai esistiti, nonchè figura trainante della cosiddetta industria culturale globale.
Un risultato paradossale che sembrerebbe sancire un sincero legame tra la società rinsavita e il pittore un tempo reietto. Ma al consenso unanime e obbediente delle masse nell’acclamarne la grandezza, nel venerarne il culto, non segue purtroppo una relazione profonda con la sua opera, spesso ridotta deterministicamente a dettatura di una mente labile. Un luogo comune mai del tutto sradicato, complice l’irrilevanza formativa di troppe esibizioni superficiali, fuorvianti e a scopo di lucro, costruite sull’attrattiva del genio folle.

Vincent van Gogh, Le portatrici del fardello, 1881. Matita, penna con inchiostro (probabilmente scolorito) e acquerello opaco su carta vergata originariamente azzurra. Kröller-Müller Museum, Otterlo.

La mostra Vincent Van Gogh. Pittore colto, in corso al MUDEC – Museo delle Culture di Milano, si rivolge ad un pubblico generico con l’intenzione meritoria, dichiarata sin dal titolo, di smentire alcuni pregiudizi; rischiando però di perpetuarne altri. Il percorso si snoda lungo le fasi principali della breve e densa attività artistica di Van Gogh. Il periodo olandese, intriso del fango e del carbone della vita rurale e mineraria; quello parigino, illuminato dagli influssi impressionisti e postimpressionisti; quello ardente e maturo di Arles e del soggiorno all’ospedale di Saint-Rèmy. Le tele e i fogli dell’artista, provenienti in blocco dal Kröller-Müller Museum, vengono messi in relazione a pubblicazioni letterarie capitali per la sua formazione e a fonti di ispirazione da interpretarsi come conferme di intuizioni già in atto. Tra gli autori citati troviamo Michelet, Beecher Stowe, Dickens, Balzac, Zola, Hugo, affini per le tematiche sociali e per il valore politico, quasi militante, dei loro scritti. Le acqueforti di Millet raffiguranti la condizione contadina e le xilografie giapponesi ukiyo-e completano un apparato congeniato per dimostrare, in modo un po’ zelante e riabilitativo, l’estensione e la raffinatezza degli interessi del pittore olandese. Ma l’intento pedagogico e la logica causale alla base della mostra non devono indurci al frainteso. L’evidenza dell’erudizione di un autore non basta a spiegare la genesi della sua arte. La certificazione del livello di cultura personale di Vincent Van Gogh resta un dato irrisorio, rispetto all’immensa portata culturale della sua opera.

Jean-François Millet, Il seminatore, 1851 (stampa 1879), litografia su carta.
Kröller-Müller Museum, Otterlo

A partire dal prodromico “Le portatrici del fardello”, un ruolo centrale nell’itinerario è giustamente riservato all’attività fondativa del disegno. Qui si scatena un insieme potente di gesti che scava, rivolta, innerva e semina la superficie del foglio. Un linguaggio assieme rigoroso e furente, affine all’incisione, che scandisce, scuote, rovescia, torce, spacca, ingloba le forze che generano e sfasciano tutto l’esistente. Il ricorso al disegno come mezzo di indagine del mondo avviene attraverso la messa a punto di un segno filosofico, un distillato di senso che astrae e cattura ciò che non si accontenta di descrivere. In questo, Van Gogh somiglia a Hokusai già prima di entrare in contatto col fenomeno del collezionismo di stampe giapponesi diffuso nella Parigi di quei tempi. 

Katsushika Hokusai, Granchi tra le alghe, dalla serie “Hokusai Gafu”, 1849

La volontà di comprensione e di espressione con ogni mezzo a disposizione diventa lampante avvicinandosi all’immenso carteggio intrattenuto col fratello Theo, la cui diffusione ha contribuito alla nascita del mito del tormentato artista. Una fluviale corrispondenza, di immediato valore letterario oltre che biografico, che svela l’approccio intellettuale del processo creativo di Vincent Van Gogh. 
Osservando le pagine e prescindendo dal contenuto, si nota che il testo viene spesso interrotto, spezzato, integrato da disegni che sembrano composti dagli stessi caratteri alfabetici. Punti, virgole, tratti che si riorganizzano in un insieme inedito da cui appaiono immagini di paesaggi, elementi architettonici, planimetrie. Una rappresentazione imparentata alla scrittura, che viene traslata dallo scrittoio al cavalletto e viceversa. Una traduzione stenografica delle cose che si mantiene perfettamente intatta anche nella pittura ad olio. 

Vincent van Gogh, Paesaggio con covoni e luna che sorge, 1889, olio su tela.
Kröller-Müller Museum, Otterlo


Nel “Paesaggio con covoni e luna che sorge” questo sistema inconfondibile di tocchi, movimenti e tasselli, analitico e mentale, si imprime nel ricco impasto cromatico, dando ossatura e direzione alla composizione e suddividendola in sezioni longitudinali. La superficie pittorica è ruvida e convulsa, lavica, come trasportata e rimescolata da oscure correnti sottostanti, che racchiudono travagli universali e conferiscono alla veduta implicazioni umane. I cumuli di grano giallo ocra venerano un sovrastante cerchio incendiario, contemporaneamente lunare e solare, cinto da sciami di meteore.

Vincent van Gogh, Autoritratto, 1887, olio su cartone. Kröller-Müller Museum, Otterlo

Nell’intenso autoritratto parigino, le pennellate disgregate e ispide, dai colori come di campo primaverile, tratteggiano uno sguardo duro di smeraldo e una bocca rossa e mendica, schiusa come a voler cominciare un discorso a lungo negato. “Perché – continua Artaud – un alienato è anche un uomo che la società non ha voluto ascoltare e al quale ha voluto impedire di proferire insopportabili verità”. Superando la nostra cattiva coscienza e i depistaggi di un’imprenditoria dell’arte sempre pronta a promuovere miti previo svilimento del contenuto, si può entrare in comunione con una pittura che demolisce le ovvietà interpretative del mondo, genera cultura e significati e aggiunge senso alla realtà stessa. Al punto che “per capire un girasole in natura, bisogna adesso riferirsi a Van Gogh”.

Vincent van Gogh. Pittore colto, a cura di Francesco Poli in collaborazione con il Museo Kröller-Müller di Otterlo. MUDEC – Museo delle Culture, Milano, fino al 18 gennaio 2024.

In copertina: Vincent van Gogh, Autoritratto (particolare), 1887, olio su cartone. Kröller-Müller Museum, Otterlo

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