I migliori album del 2020

In Musica

Pochi live ma ugualmene tanta musica nell’anno che, senza rimpianti, ci lasciamo alle spalle. Come di consueto abbiamo stilato la nostra personale classifica degli album che consideriamo più interessanti tra i numerosi usciti nel 2020. Auguri!

Bob Dylan – Rough and rowdy ways
Trentanovesimo album di studio di Bob Dylan, Rough and rowdy ways è uscito alla vigilia dei suoi ottant’anni (li compirà il prossimo 24 maggio). Fra le gemme, i quasi 17 minuti di Murder most foul, il più odioso dei delitti, che rievoca l’assassinio di Kennedy. (R.C.)

Ginevra Di Marco – Quello che conta
Pudico e maestoso, l’omaggio della fiorentina Ginevra Di Marco al grande Luigi Tenco. Quello che conta in 14 brani rilegge con rispetto e adesione i suoi brani più tormentati (Un giorno dopo l’altro), senza dimenticare quelli “contro” (Cara maestra, E se ci diranno). (R.C.)

Jeff Parker & The New Breed – Suite For Max Brown
Il 2020 ha visto la pubblicazione di numerosi album di jazz imperdibili. Tra i tanti segnalo il lavoro che Jeff Parker ha dedicato alla madre Maxine, una serie di tracce sorprendenti per l’originalità e la superba realizzazione. Avanguardia, beat lo-fi, fusion e suoni elettronici si mescolano in modo davvero convincente dando un meraviglioso senso di freschezza. (G.B.B.)

Finnish Radio Symphony Orchestra / Hannu Lintu – Lutosławski: Symphonies Nos.2&3
Sebbene le sinfonie del compositore polacco siano già entrate a far parte del repertorio mainstream della musica classica, con questa uscita abbiamo una delle (se non la) migliori esecuzioni di questi due lavori. La terza sinfonia è spesso considerata il capolavoro del maestro ma in questa registrazione anche la seconda suona meno sperimentale e notevolmente più godibile del solito. Un album prezioso. (G.B.B.)

Muzz – Muzz
L’esordio dei Muzz, gruppo  formato da tre veterani del rock alternativo,
Paul Banks, cantante degli Interpol, Matt Barrick, batterista dei Walkman e dei Fleet Foxes e Josh Kaufmann dei Bonny Light Horseman.
Il disco, dal nome eponimo della band, è frutto di una lunga lavorazione durata 5 anni, porta con sé 12 brani di livello, ed è seguito in questi giorni da un piccolo EP di cover in cui troviamo la splendida versione di “Nobody wants a lonely heart” del grande Arthur Russel. (M.L)

The Strokes – The New Abnormal
The New Abnormal, candidato agli Emmy come miglior disco rock dell’anno e prodotto da Rick Rubin, segna l’ufficiale allontanamento della band dal capolavoro Is This It. L’album è caratterizzato da un processo di scrittura e di produzione un po’ meno mainstream e più sperimentale in cui non mancano echi nostalgici anni 80, brani dichiaratamente politici. Scelta del titolo quasi profetico. (M.L.)

Colapesce e DiMartino – I mortali
Come già segnalato, il disco italiano più bello del 2020, a mio modesto parere. In equilibrio fra ironia, poesia e leggerezza “costretta” dalle cose, un pugno di canzoni perfette per avere uno sguardo diverso, disincantato sul mondo. Andranno a Sanremo 2021, si spera non si perdano e si tifa per loro. (E.B.)

Un album di un pop splendente e colto. Il quinto del cantautore siracusano Colapesce, che supera di nuovo le sue piccole perfezioni precedenti, e ci regala un immaginario mitico del paese Italia, attraverso tòpoi, figure comuni della nostra piccola, provinciale realtà, che è anche tutto il mondo, nella sua “noia mortale”. (C.C.)

Bruce Springsteen Letter to you
E cosa vuoi dirgli ad uno che ti tira fuori un album pieno di energia, phatos, malinconia e rock’n’roll? Non è il suo disco migliore, ma tiene insieme il meglio della sua vita artistica. Lo attendiamo fiduciosi sotto il palco a San Siro nel 2022. (E.B.)

Ravi Shankar – R.S. Edition
Cinque ore di virtuosismi e di meditazioni per celebrare il maestro indiano che ha coltivato l’anima del Mondo, per ricordarlo nei cent’anni da quando nacque, per sentirne ancora il soffio sulla musica dell’Occidente.  (C.M.C.)

Keith Jarrett –  Budapest Concert 
Tre luglio 2016, Sala Béla Bartók: l’ultimo e speriamo non Ultimo nastro del pianoforte che ha segnato la musica senza confini del nostro tempo. Ancora più prezioso ora che la mano di Keith è costretta al silenzio. (C.M.C.)

Lucas Debargue Scarlatti: 52 Sonatas
Si fa presto a dire Sonate. Ma metterne in fila 52  e di un autore non proprio nella Top Ten quotidiana come il grandissimo compositore barocco Domenico Scarlatti non è cosa da poco. Se poi a compiere l’opera ci si mette un giovane pianista come il francese Lucas Debargue vale la pena di porre l’orecchio. E l’incontro, come scrive il nostro Giovanni Battista Boccardo, risulta “memorabile, piacevole, interessante.” (A.M.)

Thelonius Monk Palo Alto 
Natale, tempo di riscoperte, spesso confezionate in ponderosi cofanetti. Nel nostro caso, invece, un gioiello di uno dei musicisti che hanno fatto la Storia del jazz. Palo Alto consta appena di 6 brani e dura 47 minuti, ma vale tanti box blasonati di decine di cd. Si tratta della registrazione di un concerto tenuto nel 68 alla scuola di Palo Alto in California su invito di uno studente sedicenne e registrato dal custode della scuola. A quell’epoca Monk era all’apice del successo e la performance, eseguita con il suo quartetto stabile (Charlie Rouse, sax tenore, Larry Gales, contrabbasso, Ben Riley, batteria), è considerata da molti tra le migliori dal vivo del celebre pianista. (A.M.)

John Eliot Gardiner, English Baroque Soloists (Soli Deo Gloria) – Händel, Semele
Uno degli eventi musicali più entusiasmanti del 2019, l’impertinente, sublime oratorio di Händel tratto da Ovidio, registrato a Londra durante una tournée in cui “sir” Gardiner ha entusiasmato barocchisti e non di mezza Europa. Buono il cast giovane, dove più che la Semele di Louise Alder spiccano il basso Gianluca Buratto e il controtenore Carlo Vistoli. (M. L. P.)

Sabine Devieilhe, Alexandre TharaudChanson d’Amour (Ravel, Debussy, Poulenc and Fauré)
Questa nuova uscita di Devieilhe e Tharaud, dopo il precedente Mirages, sembra la cronaca di un tardo romanticismo che trascolora nell’impressionismo più impalpabile, ogni aria è un bozzetto, uno schizzo sentimentale fugace e prezioso spesso commovente. (M. L. P.)

Shabaka and the Ancestors, We are sent here by history
Secondo album di uno dei numerosi gruppi del sassofonista londinese Shabaka Hutchings. Una grande scoperta, più che una promessa, del jazz internazionale. Shabaka e i suoi risvegliano le sonorità e i ritmi afro-caraibici per immergere anche i messaggi della loro musica nella cultura africana. “Inviati qui dalla storia”, raccontano un’apocalisse futura con ingredienti che facilmente riconosciamo nel presente. (C.C.)

The KillersImploding The Mirage
Sedici anni dopo il loro debutto sulla scena musicale, i Killers continuano a farci cantare grazie a uno dei loro album più belli, che strizza l’occhio al sound delle origini della band, ma senza risultare banale. Imploding The Mirage è una piccola perla synth-rock e va ascoltato dall’inizio alla fine. Ancora. E ancora. (S.B.)

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