Michele De Lucchi e la storia segreta degli edifici

In Arte

Nel suo nuovo libro, pubblicato da Skira, il grande architetto MIchele De Lucchi racconta il “dietro le quinte” delle proprie invenzioni: pensieri, emozioni, rapporti con i committenti, necessità di confrontarsi con la storia dei luoghi. E ad accompagnare il testo, gli schizzi dell’architetto.

“Costruire vuol dire inventare e se non si sanno raccontare le proprie invenzioni le costruzioni non esistono. Non è che sono meno significative o meno uniche e personali. Non esistono, non esistono proprio… Lo insegnano i giapponesi per i quali tutto quello che non può avere un nome non si può utilizzare, è ingombrante e spreca spazio e tempo”, spiega Michele De Lucchi per introdurre il suo nuovo libro Storie di architettura.

 

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E sono proprio racconti su un progetto di restauro, su un ponte, un padiglione, come lui ha visto ciascuno la prima volta: l’ambiente, le case intorno, la strada, i giardini. Poi, nelle associazioni di De Lucchi, si srotola la storia di quel posto: quando era stato costruito, da chi, per quale uso e come potrà il suo progetto confrontarsi con quel passato e proporre una nuova idea, conforme ai nostri sogni, ai nostri bisogni. E poi ancora De Lucchi ci racconta dei committenti, che genere di gente è, che scopo hanno. E, a proposito della destinazione, oltre naturalmente al confronto con l’ambiente e alla funzionalità, affiorano i ricordi personali, le emozioni. Ogni racconto è poi accompagnato da schizzi di De Lucchi che raffigurano il prima e il dopo dell’intervento architettonico, con sezioni o particolari, con associazioni visionarie o fotografie delle costruzioni realizzate.

 

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Un esempio per capirci in concreto.

E’ il dicembre del 1999. De Lucchi viene chiamato per ristrutturare Villa Sclopis, una vecchia villa settecentesca trasformata in scuola, a Salerano, vicino a Torino. E’ la fine del millennio e si conclude con una prospettiva nuova: un guardare avanti, al futuro, invece che rivolgersi indietro, al passato. Un buon auspicio. Appena arrivato, De Lucchi incontra i committenti, “che sarebbero diventati in poco tempo non solo committenti ma anche grandi amici. Il tema che mi hanno proposto, le parole che hanno usato, i concetti che hanno espresso in quel primo incontro erano quanto di più profondo e coinvolgente io potessi mai in quel momento ascoltare”.

 

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Il progetto consisteva nel convertire l’antica ex-scuola di Villa Sclopis in una residenza assistita per malati oncologici terminali e proprio l’anno prima, ricorda De Lucchi: “era morta mia madre dopo una lunga, penosa, dolorosissima agonia e proprio in quei giorni avevo saputo che anche mio padre stava morendo della stessa malattia. Ma non era tanto il fatto personale che mi coinvolgeva, quanto il sincero e semplice parlare della morte. Probabilmente il parlare apertamente di questo mi aiutava a esorcizzare la sofferenza per la morte dei miei genitori”. Accanto al testo vediamo due schizzi della Villa Sclopis prima e dopo: all’antica dimora restaurata è affiancata un’architettura trasparente con struttura in acciaio che si protende e si immerge come un braccio verso il parco secolare che è stato recuperato.

 

Michele de Lucchi, Storie di architettura, Skira, 123 pagine.

Credits: courtesy Skira.

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