Battagliare con la verità: Gitta Sereny racconta Speer, l’architetto di Hitler

In Letteratura, Saggistica

Una inchiesta, la storia di una vita, l’interrogazione di una coscienza, la ricostruzione di un contesto attraverso le voci di chi l’ha attraversato. Ma, soprattutto, una enorme questione: cosa succede quando un grande talento si esprime sostenendo – acriticamente? – il male? Il monumentale lavoro di Gitta Sereny, giornalista e storica, restituisce nella storia di un uomo tutto ciò che di più contraddittorio e spaventoso esiste nella nostra natura.

La prima volta che ho incontrato Albert Speer è stato guardando una fotografia di una sua opera: ‘La cattedrale di luce’, progettata per il Congresso del partito Nazionalsocialista del 1934 a Norimberga; intorno all’arena in cui si sarebbe svolto il congresso, Speer posiziona tutti i riflettori della difesa antiaerea disponibili. L’effetto è meraviglioso: fasci di luce partono dalla base dell’arena e la avvolgono in un cerchio magico che la proietta verso il cielo. È sconvolgente e modernissima, un’architettura di luce.
Speer spiegò poi, con la sua solita ironia, che quel tipo di illuminazione aveva lo scopo di nascondere le pance prominenti dei nazisti in marcia.

C’è già qui tutto il senso della lotta ingaggiata dall’architetto nei confronti del vero per una intera vita, da potente e da condannato; e questo è anche il fulcro sul quale poggia Albert Speer. La sua battaglia con la verità, pubblicato da Adelphi.
“Alla fine, se mai verrò ricordato per qualcosa, sarà solo per questi… beh, effetti teatrali”, disse a Gitta Sereny, l’autrice di questa monumentale inchiesta (1029 pagine), durante uno delle decine di incontri che ebbe con lei dopo che aveva scontato la sua lunga detenzione nel carcere di Spandau.


Albert Speer è ‘l’architetto di Hitler’, che nel 1937 lo nomina ispettore generale per la ricostruzione di Berlino, che sarebbe diventata, nelle intenzioni del cancelliere nazista, la città più monumentale, superba è grandiosa del mondo; l’incarico era qualcosa di inimmaginabile fino ad allora nel campo dell’urbanistica. Speer aveva solo trentadue anni, era uno stimato architetto, con un’eccellente preparazione accademica, un’estetica orientata alla purezza e alla natura, ed era dotato di un infallibile istinto per l’organizzazione e la pianificazione, cosa che rendeva tutto semplice; per di più, possedeva la capacità di mediare con incredibile distacco ed eleganza. Per questi aspetti era l’uomo giusto per Hitler: il suo uomo, creato da lui.

Il rapporto tra il dittatore e il suo dignitoso cortigiano si consolida in fretta grazie alla crescente passione di Hitler per le grandi opere architettoniche con le quali intende perpetuare il suo regno e diventa sempre più intenso, agli incarichi artistici si aggiungono quelli politici e militari.
Nonostante Speer avesse rapporti quotidiani col dittatore, sembra non essersi mai reso conto di quel che succedeva intorno.
Nel 1938 erano iniziati i preparativi per l’annessione dell’Austria, seguiti, nel giro di cinque mesi, dall’occupazione della Cecoslovacchia, ma leggendo il centinaio di pagine dedicato a questo periodo all’interno del copioso manoscritto che Speer produsse durante la prigionia a Spandau, si rimane sbalorditi dalla sua cecità di fronte ad avvenimenti reali che erano indicatori del carattere di Hitler e chiari presagi delle sue intenzioni. Eppure già dal 1934 i segni erano inequivocabili: il 30 giugno i nazisti, guidati da Hitler in persona, che di solito demandava, giustiziarono i leader delle SA, compreso il loro capo di Stato maggiore, Ernst Röhm.
In Memorie del Terzo Reich, Speer – su consiglio del suo editore – dedicò tre pagine al contesto politico:

“non ne sapevo nulla… Quando diventai il suo architetto, forse non ero un dilettante, perché avevo studiato, ma di certo ero un principiante. Più tardi quando mi affidò l’incarico, probabilmente il più difficile in quel momento nominandomi ministro degli Armamenti e poi anche della Produzione bellica, per l’amor del cielo, lì ero un dilettante assoluto. Ma l’aspetto sul quale volevo portare l’attenzione – e che ritengo non sia mai stato compreso appieno – è l’atmosfera carica di emotività che regnava intorno a Hitler, alla quale, mi creda – era estremamente difficile sfuggire… probabilmente pensai che, se Hitler lo stava facendo, doveva essere giusto, oppure non pensai fatto”.


Ci aiuta a provare a capire meglio questa cecità una lettera del 1953, scritta mentre Speer scontava il suo settimo anno a Spandau: la figlia Hilde, una brillante studentessa che studiava in America, gli scrisse chiedendogli di spiegarle la sua colpa. Lui rispose:



‘Mi chiedi… dei nazisti… Vuoi saper come una persona intelligente abbia potuto farsi coinvolgere in una cosa del genere. Te lo mostro portandoti proprio il mio esempio. Comincio dicendoti la cosa più difficile: a meno che, da codardi, non si voglia evitare di affrontare la verità, bisogna ammettere che non ci sono scuse; non esiste giustificazione. È per questo motivo che sono convinto della mia colpa’.


Speer conosceva i suoi sei figli a malapena; il suo tempo, la sua attenzione erano stati tutti per il suo Capo prima di finire in carcere per vent’anni, ed era certo di essere giustiziato dopo il processo, perché si riteneva colpevole. Dal carcere cominciò una fitta, profonda corrispondenza con tutta la sua famiglia, soprattutto con Hilde. È proprio la figlia che mostrò il carteggio e ne parlò a lungo con Gitta Sereny, che nella prefazione ci spiega l’impostazione, il senso del suo monumentale lavoro.



‘Lo scopo principale di questo libro, in ogni sua parte, era imparare a comprendere Speer. Sarebbe stato impossibile farlo se mi fossi limitata a studiarlo come caso isolato, fuori contesto rispetto all’ambiente in cui viveva. Era dunque necessario scoprire come e perché altre persone perbene, spesso talentuose, si erano lasciate soggiogare da Hitler e dalle sue idee al punto da non nutrire mai alcun dubbio su di lui. E durante le interviste, benché fosse fondamentale non fingermi mai d’accordo con quanto resta inaccettabile, sapevo che l’indignazione morale fosse un lusso che non potevo permettermi… Ho dedicato gran parte della mia vita a questa impotenza morale nella Germania di Hitler’.


Hitler era ossessionato dagli ebrei, e trai suoi eccidi – milioni di persone, tra i cristiani di ogni confessione, zingari ed ebrei – proprio lo sterminio degli ebrei nelle camere a gas della Polonia occupata ha lasciato il segno più profondo nelle coscienze ed è rimasto nella memoria collettiva mondiale. E su questo ha molto riflettuto Speer, ancora senza riuscire a darsene una spiegazione, per lo più negando di saperne qualcosa. Tra le decine di interviste e ritratti fatti da Gitta Sereny a collaboratori, artisti, politici, avversari, un mondo tra seguaci e oppositori del Reich, che costituirono la sostanza intellettuale della Germania intera fino al suo crollo, viene in mente, per una certa affinità con l’architetto di Hitler, la fotografa e regista di Hitler, Leni Riefenstahl.

Ebbene proprio Leni Riefenstahl, durante il processo di Norimberga, testimoniò più volte a favore di Speer e quando venne scarcerato mosse tutte le sue conoscenze, tra cui il presidente per le autorità di occupazione americane del comitato berlinese per la denazificazione, affinché l’architetto venisse reinserito nel suo lavoro.
In un colloquio con Ghitta Sereny, Riefenstahl confida:


‘Ma nella cerchia ristretta di Hitler, della quale facevano parte civili e membri del governo, Speer si distingueva. Era diverso, distinto, tranquillo, in un certo senso anche ritroso, ma non timido: modesto. Era… come dire? Pulito. Si capiva che non avrebbe mai fatto qualcosa di losco… Non ho mai dubitato, nemmeno un secondo della sua totale integrità e della sua devozione assoluta a Hitler’.


Per noi i termini ‘totale integrità‘ e ‘devozione assoluta a Hitler’ sono inconciliabili: come Speer poteva non vedere o tollerare eccidi, violenze, stermini? Si dichiara colpevole, ma riconosce di essere stato completamente soggiogato dalla volontà del suo mecenate, signore e padrone.

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