Sulle tracce di Francesco, tra oriente e occidente

In Weekend

Un profugo cinese, un fotografo giapponese: quando l’oriente incontra Francesco d’Assisi. Senza dimenticare papa Bergoglio

Tra autobiografia e meditazione, tra oriente e occidente, tra cristianesimo e taoismo, François Cheng scrive Assisi – Un incontro inaspettato.

Già il suo nome propone una contaminazione tra due culture, come aveva fatto il triestino Ettore Schimtz scegliendo lo pseudonimo di Italo Svevo per indicare la sua doppia identità. Chi-hsien Cheng, profugo cinese dal 1949, al momento della sua naturalizzazione in Francia sceglie il nome di Francesco. “Questo, ovviamente, ha il pregio di significare ‘francese’, la mia nuova cittadinanza. Ma la ragione più determinante è stata che, dieci anni prima, nel 1961, avevo incontrato il fratello universale che tutto l’Occidente conosce, e in cui ogni essere, anche venuto da lontano, può riconoscersi: Francesco d’Assisi. A quei tempi ero un giovane in ‘perdizione’…”.

Profugo, senza arte né parte, senza uno scopo, senza un soldo, quando per caso un gruppo di amici gli propone un viaggio in Italia, ad Assisi. Per lui non è che un’occasione per evadere il senso di solitudine, il caldo parigino, ma – appena uscito dalla stazione di Assisi- , racconta, “fui colpito dalla sua apparizione nel chiarore estivo, dalla visione di questa città bianca posata sul fianco della collina, sospesa tra terra e cielo, che tende generosamente le braccia in un gesto di accoglienza… Mi sorpresi a esclamare tra me e me: ‘Ah, ecco il luogo, il mio luogo! E’ qui che il mio esilio avrà fine!’ ”.

La visione dell’armonioso equilibrio del paesaggio gli richiama la reminiscenza del feng shui, la geomanzia cinese, secondo cui un sito eccezionale avrebbe il potere di proiettare l’uomo verso il regno superiore dello spirito. Così gli viene il desiderio di andare sulle tracce di san Francesco, dei suoi luoghi per penetrarne lo spazio interiore.

Nacque al mondo un sole …
Però chi d’esso loco fa parole,
non dica Ascesi, ché direbbe corto,
ma Oriente, se proprio dir vuole

così Dante nel XI canto del Paradiso.

Il luogo primordiale, quello dell’iniziazione di San Francesco è San Damiano. È entrato per caso nella chiesa in rovina, davanti al Crocefisso sente la voce di Cristo ordinargli di riparare la chiesa. A quei tempi Francesco era un giovane viziato e frivolo, aveva combattuto ed era stato fatto prigioniero, poi una grave malattia l’aveva quasi portato alla morte. Capisce che per portare a compimento il messaggio divino è innanzitutto in se stesso che deve edificare un nuovo tempio, capovolgere la sua vita nell’imitazione del suo Maestro. Molti anni più tardi, nel 1225, l’anno prima di morire, sofferente, sfinito, è a San Damiano che torna, dove Chiara ha fondato la prima comunità di clarisse. Di natura gracile, Francesco non si è mai risparmiato, ha curato i lebbrosi e altri storpiati della vita; è stato in Oriente a predicare la pace, dove ha contratto una grave malattia agli occhi che gli causa dolori lancinanti; sulle alture della Verna, isolato dai compagni, “vivendo intensamente nella carne le sofferenze di Cristo sulla croce”, ha ricevuto le stigmate alle mani, ai piedi, alle mani.

Chiara gli ha preparato una capanna di frasche nel piccolo giardino che si affaccia sulla magnifica vallata. È qui che Francesco, sofferente, compone il suo radioso inno alla vita, il Cantico delle creature, che possiamo aver la gioia di rileggere, perché è ripubblicato in fondo al volume.

“È in questo stato di estrema afflizione che, dal buio profondo della sua cecità, si levano esclamazioni inaudite. E non sono affatto grida di lamento o di protesta: è un canto di lodi… Da questo minuscolo tugurio, l’uomo che si è risvegliato sente aprirsi in lui quello che sotto altri cieli si chiama il terzo occhio. Egli vede”.

Vede la Creazione stessa, con lo splendore del cielo stellato e la magnificenza della terra feconda. Sa di essere parte di un’immensa natura in divenire, quella della vita, con gioie e dolori.

Laudato si’, mi Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore
Et sostengono infirmitate et tribulazione.
Beati quelli ke ‘l sosterranno in pace,
ka da te, Altissimo, siranno incoronati.

Oggi fatichiamo a capire l’impatto del Cantico sulla cultura del XIII secolo. La teologia dominante disprezzava il mondo terreno; le calamità, le epidemie contribuivano a generare sospetti e timori nei confronti della natura. A Francesco basta dire frate sole o sor’aqua e il rapporto tra uomo e natura si rivela diverso, fiducioso e fraterno. L’universo assume un altro colore e il suo Cantico diventa il canto universale per eccellenza.

Il suo aspetto popolare non deve però farci dimenticare che Francesco è un trovatore raffinato e consapevole – da lui prende le mosse la lirica occidentale –  ma con la capacità di parlare al cuore della gente, anche alla più modesta, di qui la sufficienza di certa critica sul poverello d’Assisi, considerandolo un po’ un sempliciotto.

Come per miracolo, abbiamo anche un ritratto fisico di quest’uomo vissuto ottocento anni fa, è nell’affresco di Cimabue dedicato alla Vergine nella Basilica inferiore di Assisi, anteriore al ciclo di Giotto. Vediamo un uomo minuto, affaticato, con uno sguardo che ci penetra fin nel profondo, invitandoci a sbarazzarci di orpelli inutili e tornare alla semplicità. E’ il fratello universale, il Grande Vivente che ci parla, ci ascolta.

Ma è forse negli eremi inerpicati sulle rocce, nel silenzio assoluto, che avvertiamo la sua presenza viva. Cheng cita una quartina di Jia Dao:

 Sotto i pini, interrogo
Il giovane discepolo.
Questi mi risponde:
“Il maestro è andato
a cercare i semplici”.
Ecco che le nubi
si sono infittite;
non so più dove…

È quella stessa natura vivente che vediamo nelle foto di Niki Francesco Takehiko del Monte Verna, il luogo dove san Francesco ha ricevuto le stigmate. Il fotografo giapponese ha sorprendenti affinità con Cheng. Proviene da una famiglia shintoista-buddista, come quasi tutti in Giappone; ha studiato in una scuola cristiana non per motivi religiosi, ma solo perché dava una buona preparazione culturale, era più moderna e internazionale. E infatti Niki era rimasto fedele alla sua religione tradizionale. Poi è venuto a lavorare come fotografo in Europa.

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Suggestionato dai libri ‘mistici’ di Shirley MacLaine e di Paulo Choelo, in Spagna percorre per curiosità il cammino di Santiago di Compostela; comincia a riflettere sul messaggio evangelico e poi in Italia, ad Assisi, rimane folgorato dalla figura di San Francesco. Si converte al cattolicesimo e al momento del battesimo scieglie come nome d’elezione Francesco.

Last but not least, rimasta sotto traccia in tutto il discorso, è la coincidenza con papa Bergoglio, che ha scelto il nome di Francesco in omaggio al fraticello d’Assisi e ha improntato il suo apostolato proprio sulla vicinanza ai più umili nelle scelte, nelle proposte, nelle denunce e perfino nella semplicità, colloquialità del linguaggio. Ancora più straordinaria è la coincidenza con l’uscita lo scorso 18 giugno dell’Enciclica Laudato si’, sottotitolo Sulla cura della casa comune. La casa comune, ha detto papa Francesco, è il creato; ma “questa nostra casa si sta rovinando e ciò danneggia tutti, specialmente i più poveri. Il mio è dunque un appello alla responsabilità, in base al compito che Dio ha dato all’essere umano nella creazione: coltivare e custodire il giardino in cui lo ha posto”.

Ne citiamo i primi passi dal testo ufficiale del Vaticano:

  1. Laudato si’,mi’ Signore », cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: « Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba».
  2. Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che « geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora.

François Cheng Un incontro inaspettato Bollati Boringhieri, pp 73, € 9,50

Immagine di copertina: Basilica and Convent of Saint Francis of Assisi di Jeanette

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