Enzo Mari, il significato profondo delle cose

In Arte

Una virata in corsa ci costringe a trasformare quella che doveva essere la recensione alle mostre “Falce e martello. Tre dei modi con cui un artista può contribuire alla lotta di classe” alla Galleria Milano ed “Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist” alla Triennale di Milano in un altro, penoso addio, dopo i molti già subiti in quest’anno nefando. Ricordiamo allora la figura maestosa di Enzo Mari, designer fondamentale, artista visivo e filosofo creativo, psicologo della forma e sociologo della funzione dell’oggetto. Una figura di intellettuale radicale e pragmatico che lascia un grandissimo vuoto nella cultura, nel design e nell’arte del nostro tempo.

L’etica è l’obiettivo di ogni progetto. Suona come un monito questa frase di Enzo Mari, il grande designer, artista e teorico morto ieri all’età di 88 anni. Un monito per le nuove generazioni, per quei giovani a lui tanto cari e che tanto ha influenzato con il suo lavoro progettuale, critico e didattico.

Designer tra i più noti, vincitore di ben cinque Compasso d’oro di cui uno alla carriera, artista visivo nel movimento dell’Arte Programmata e precursore dell’Opera aperta (ispirata a Umberto Eco da un suo Oggetto a composizione autocondotta), filosofo creativo, attivista politico, psicologo della forma e sociologo della funzione dell’oggetto. Impossibile definire Enzo Mari con un’etichetta, troppo complesso il suo mondo fatto di azioni, progetti e pensieri.

Enzo Mari, Autoprogettazione, 1974

Instancabile ricercatore del significato all’origine della forma, la potenza di Mari, come scrisse Massimo Vignelli, non sta nell’aver inventato uno stile o nell’aver avuto schiere di imitatori ma nell’eleganza intellettuale illuminista e poetica, nella ricerca della sintesi, dell’essenza, del significato, della funzione di ogni oggetto, di ogni materiale.

Una ricerca situata nel mondo reale, nella società, nei meccanismi di produzione, contro l’appiattimento del consumismo, del “prodotto” e del mercato, in opposizione allo sfruttamento mercificato dell’oggetto d’arte, di qualunque matrice esso sia.

A cominciare da una delle sue opere più celebri, l’Autoprogettazione, che  permette all’utilizzatore finale, grazie a una serie di disegni tecnici perfettamente comprensibili, di costruirsi gli oggetti progettati, siano essi tavoli, sedie o letti. Il tutto con materiali economici e di facilissimo reperimento, come assi in formati standard e chiodi – quegli stessi chiodi a cui dedicò un intero libro per descrivere 25 modi per piantarli – creando così un atto etico, politico, anticapitalistico e democratico che precede di decenni, e surclassa inesorabilmente, i famigerati libretti di istruzioni dei mobili Ikea.

Enzo Mari, Serie della natura, serigrafie, 1963, Danese, Milano

Con il suo approccio sempre radicale Enzo Mari ha rifiutato, polemicamente ma costruttivamente, l’epoca del marketing che ha afflitto le generazioni successive al periodo d’oro del design italiano, quello suo e di Castiglioni, Sapper, Zanuso e gli altri, per capirci, e del suo amico Bruno Munari, con cui tanto ebbero a influenzarsi reciprocamente, soprattutto per i progetti legati all’infanzia come il gioco dei 16 animali o il libro sull’uovo e la gallina. E lo fa aggrappandosi a una ricerca pura d’artista che si affianca, incrociandosi, alla realizzazione di oggetti per i marchi più prestigiosi.

È sempre straordinario, il lavoro di Enzo Mari, anche quando semplicemente se ne parla, perchè – va ribadito – pensiero, progetto, azione politica e ricerca artistica sono parte del medesimo flusso umano, intellettuale e creativo che era la sua persona.

Enzo Mari, Formosa, 1963; Timor, 1966

Oggi due mostre, entrambe inaugurate da pochi giorni, fanno da cornice alla sua scomparsa. Falce e martello. Tre dei modi con cui un artista può contribuire alla lotta di classe ripropone l’omonima mostra del 1973 con cui inaugurò la Galleria Milano.

Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist alla Triennale di Milano ne celebra la carriera – dagli esordi artistici con le incredibili opere cinetiche agli oggetti più iconici come i calendari da tavolo e le serigrafie della Serie della natura, fino alla sublime provocazione della raccolta di falci da tutto il mondo, monumento al lavoro e al genio anonimo – introdotta dall’omaggio di Nanda Vigo allo zoo dell’amico Enzo, realizzato poco prima della sua scomparsa, anche lei, in quest’anno nefando.

Enzo Mari, Falci, courtesy Triennale di Milano, foto di Gianluca Di Ioia

Era malato da tempo, Enzo Mari, e da tempo in tanti annunciavano la sua imminente scomparsa. Lui, testardamente, ha resistito, dandoci l’illusione di poterci prepararare all’inevitabile. Nel 2016 ha donato tutte le sue opere e il suo archivio alla città di Milano, ma per sua volontà saranno accessibili solo tra quarant’anni, “quando – diceva – una nuova generazione, non degradata come quella odierna, potrà farne un uso consapevole, nella speranza che ci sia, nel futuro prossimo, una generazione di giovani che reagiscano e che riprendano in mano il significato profondo delle cose”. Speriamo. Per ora, a noi, non resta che l’enorme vuoto della sua assenza.

Enzo Mari. Falce e martello. Tre dei modi con cui un artista può contribuire alla lotta di classe, Galleria Milano, fino al 16 gennaio 2021

Enzo Mari curated by Hans Ulrich Obrist with Francesca Giacomelli, Triennale di Milano, fino al 18 aprile 2021

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