“I canti di Inanna”: la prima di tutti gli dei a fare della parola poesia.

In Letteratura

È stata la prima a scendere negli Inferi, la prima ad usare la parola come percorso di conoscenza, la prima a scegliere il proprio amore. E la prima, nella storia dell’umanità, i cui miti sono diventati poesia. Lei è Inanna, la dea del Cielo e della Terra, amatissima e potente nell’antica Sumer e nell’intero tessuto di città-stato che, tra Iran e Iraq, diedero vita alla storia dell’uomo. Ora un libro raccoglie il grande corpus di inni, preghiere, leggende che dalle tavolette in cuneiforme restituisce la statura di una divinità potente e creatrice. Lo pubblica Mimesis.

La sabbia del deserto dove sorgevano le grandi città sumere nasconde e preserva meravigliosi tesori; oltre a vestigia di templi e regge, ogni anno gli archeologi portano alla luce centinaia di tavolette d’argilla incise con caratteri cuneiformi che ci raccontano la vita, le leggende, la storia, la religione delle popolazioni che abitavano la culla della nostra civiltà, e che risalgono a un tempo imprecisato tra i cinquemila e duemila anni prima di Cristo.
È grazie a queste continue scoperte che L’epopea di Gilgamesh, la più famosa di tutte, viene ripetutamente integrata, modificata e diventa sempre più bella, più ricca, più vitale.
Ed è così che Samuel Noah Kramer, studioso della scrittura cuneiforme, e Diane Wolkstein, studiosa di folklore che ha raccolto e registrato i racconti, le leggende e i canti delle moderne società contemporanee, hanno selezionato una serie di frammenti di inni, miti, salmi, canti d’amore, elegie funebri, proverbi, favole, che hanno come tema comune la divinità sumera più amata e venerata: sono I canti di Inanna, regina del cielo e della terra (Mimesis edizioni).


Kramer ha raccolto, decifrato e tradotto i documenti letterari sumeri relativi a Inanna e li ha passati ‘grezzi’ alla Wolkstein, che ha eseguito il suo delicato compito con originalità e sensibilità, eliminando ripetizioni superflue, aggiungendo parole e versi esplicativi, tessendo i testi di numerose poesie imparentate tra loro in uno scritto unico, che riesce a rievocare sia nei ritmi ricorsivi e ridondanti, sia nei temi esoterici e sensuali il mito della dea Inanna.
La storia meravigliosa ci trascina col suo ritmo: vengono replicate le parole, viene ripetuta la struttura della frase e, grazie a questa lenta, studiata, quasi ipnotica iterazione, veniamo trasporti in un’altra dimensione atemporale: quella degli dèi, dell’anima, delle origini della vita.


‘Nei giorni primi, nei primissimi giorni,
Nelle notti prime, nelle primissime notti,
Negli anni primi, nei primissimi anni…’



Si apre così il primo canto, L’albero di huluppu, uno dei primi racconti scritti che vertano sulla genesi.


In quei primissimi palpiti dell’universo,
‘Quando il cielo si fu allontanato dalla terra,
E la terra separata dal cielo…
E il nome dell’uomo fu fissato’.


Enki, il Padre, Dio della Saggezza nel suo aspetto metafisico, e Dio delle Acque nel suo aspetto sessuale, decide di affrontare l’Ignoto, come altri personaggi sciamanici diretti nell’oltretomba. La regina degli inferi, Ereshkigal, gli scatena contro massi e spiriti maligni. Divampa la battaglia tra tra maschio e femmina, tra conscio e inconscio. Enki, Dio delle Acque, invade, penetra Ereshkigal e dal loro vorticoso amplesso nasce un albero, l’huluppu.
La pianta germoglia presso il fiume Eufrate, ma il vento del Sud la sradica e la lancia in mezzo alla corrente. Ed ecco finalmente la nostra eroina comparire: lo raccoglie e lo pianta nel suo giardino.
Dal suo tronco costruirà il suo trono e il suo letto.
Ma l’huluppu viene abitato da tre creature diaboliche che Inanna non riesce a cacciare: il serpente, l’uccello-Anzu e Lilith, che rappresentano una triade di creature senza legge e dominate dal sesso, quelle stesse paure e desideri inespressi cui Inanna sa ora dare un nome.
Per liberarsi dai suoi mostri, la Dea chiede aiuto al suo fratello terreno, Ghilgamesh, eroe di Uruk, che con la sua ascia possente sradica per la terza volto l’huluppu e lo pianta nella città, lo dona alla civiltà, dove produce ‘reciproci doni’ per tutto Sumer.
Finalmente Inanna è regina del paese e, come ogni eroe nei poemi epici, si mette in viaggio per ottenere i doni della Saggezza da Enki, che ubriaco di birra le dona i sacri rituali necessari alla corretta guida del suo regno.
È tempo di trovare un marito per la giovane regina. Sarà il pastore Dumuzi. Il grano è maturo, la lattuga germoglia, i giardini sono in boccio, l’acqua fluisce rapida, e il latte fresco è abbondante. La natura, con la sua gloriosa rinascita, lega gli amanti.


‘O signora, il tuo seno è il tuo campo…
I tuo vasto campo è rigoglioso di piante di piante.
Il tuo vasto campo è rigoglioso di grano…
Fallo sgorgare da me, o Inanna,
Ciò che tu offri, tutto io lo berrò’.


Inanna canta:

‘L’uomo mio di miele, il mio uomo di miele
Mi colma sempre di dolcezza.
Il mio signore, l’uomo di miele degli dei
È quello che la mia vulva ama di più.
La sua mano è di miele, di miele anche il suo piede,
Egli mi colma di dolcezza sempre’.


Regina, sposa e madre, alla dea Inanna manca l’esperienza spirituale del mondo dell’oltretomba. Abbandona tutto per esplorare il Grande Infero, l’inconscio.
Ne emerge più forte della conoscenza del bene e del male, ma Dumuzi preso dalla cupidigia del potere non le va incontro.
Il rancore della Dea è violento, la sua vendetta spietata: anche Dumuzi dovrà affrontare i pericoli dell’oltretomba e solo allora diventerà di nuovo degno della Dea del Cielo e della Terra.

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