Diario americano: una storia per Natale

In diarioCult, Weekend

Tutti siamo e non siamo quel che sembriamo. Anche Matt, il falegname che passerà in carcere, come tanti altri, questo Natale

Questa storia inizia a giugno. Cristina, una mia amica italiana che abita a Cambridge aveva bisogno di un falegname che le aggiustasse la veranda di casa, e, dopo aver chiesto in giro, ha trovato Matt. Matt si è presentato bene: molto educato, bello come il sole, pieno di tatuaggi, ma che gli stavano benissimo, un accento vagamente francese. Cristina lo ha subito ingaggiato, e da quel giorno hanno cominciato a conoscersi. Matt arrivava la mattina, e prima di cominciare a lavorare, chiacchierava con la mia amica davanti a un caffè e a una sigaretta. A poco a poco e sono diventati amici. Matt era sempre molto stressato, per via di un matrimonio che stava cadendo a pezzi e i due bambini piccoli che aveva a suo carico. Poco dopo, però, Cristina aveva notato che alcune cose che le diceva Matt non quadravano e ha cominciato a pensare che fosse un bugiardo patologico: aveva detto di essere francese, ma non lo parlava; aveva detto di avere due sorelle, ma poi si è scoperto che aveva solo un fratello; che aveva una laurea in architettura, ma poi non era vero.

Ha incominciato a incuriosirsi e dopo una semplice ricerca su Google ha scoperto la verità: Matt era ricercato da due anni dalla polizia della California per ben 22 reati. Era fuggitivo, e forse aveva inventato una seconda personalità per non farsi trovare. Non reati gravi, o violenti: aveva ristrutturato due case in California usando la licenzia edilizia di un’altra persona. Aveva quindi accettato soldi per i lavori sotto falsa identità, quindi per la legge sono considerati soldi rubati. 

Panico. A questo punto la domanda era: gli dice che sa tutto? E se poi questo pensa che Cristina chiami la polizia per dire che sa dov’è e questo, padre di due figli, la minaccia? Fa finta di niente? Come si fa a far finta di niente dopo aver saputo una cosa così? Io e lei abbiamo passato giorni e giorni a discutere quale sarebbe stata la strategia giusta. Poi abbiamo deciso: doveva dirglielo, promettendo ovviamente di non dire nulla alla polizia, ma confrontandolo su tutte le bugie dette. Cosa che fece. Matt si mise immediatamente a piangere a dirotto, imbarazzato di quello che aveva fatto e in un certo senso anche liberato da una cosa così grande che da anni non poteva dire a nessuno. 

Poco dopo, la notizia: qualcuno, non si sa ancora chi, ha chiamato la polizia e ha spifferato tutto, e Matt è stato arrestato una sera di metà agosto, mentre era a casa con la sua nuova compagna. I figli, fortunatamente, erano dalla mamma a Brooklyn. Da allora, di Matt non abbiamo più sentito nulla. Cristina cercava di capire cosa gli fosse successo, con pochissimo successo. A questo punto erano molto uniti e voleva assicurarsi che stesse bene. Poi, qualche mese fa, squilla il telefono di Cristina. È Matt, dal carcere di minima sicurezza della California.

Stanno al telefono per ore, lui le racconta che sta bene, ma che è ovviamente preoccupato, si sente un cane in gabbia, ha bisogno di aiuto per parlare con il suo avvocato, che non risponde mai alle sue telefonate. La mia amica lo conforta, ma rifiuta, all’inizio, di aiutarlo. Era ancora molto scossa da quello che le era successo, si è sentita in qualche modo tradita dalla sua amicizia, anche se capisce il motivo di tutte quelle panzane che le aveva detto. Si è sentita usata, manipolata da una persona con un passato torbido. A Matt però basta solo avere un contatto con un’amica per chiacchierare, per ridere un po’. Gli dà anche il mio numero di telefono. Io lo avevo visto un paio di volte e anche a me era capitato di trovarmi subito a mio agio con lui: è una persona molto affabile e gentile. Oserei dire una brava persona, malgrado tutto quello che so.

Ero in campagna da sola per il fine settimana e ricevo una telefonata. È il carcere, che mi ricorda che qualsiasi cosa che dico potrà essere usata contro Matt. Poi la sua voce: “Scusa se ti chiamo, ma volevo sapere come stai. Non siamo poi riusciti a diventare amici, ma so che ci siamo piaciuti dall’inizio”.  Io, al momento un po’ perplessa, dopo due minuti di chiacchiere ritrovo quella sensazione di agio che avevo provato quando ci eravamo conosciuti. Siamo stati al telefono per due ore: mi ha raccontato che i figli ancora non sanno che è in carcere, e che non riesce a parlare con l’avvocato. Dice che le persone attorno a lui sono tutte molto gentili, che è vestito di arancione (“calze, mutande: tutto arancione!”), e che molti dei suoi amici, quando hanno saputo che era stato arrestato, lo hanno abbandonato. Mi chiede se possiamo scriverci delle email, se può chiamarmi più spesso, se posso aiutarlo a fare delle telefonate ad altri avvocati per avere una seconda opinione. “Mi hanno detto che nel migliore dei casi mi danno tre anni”. dice con una voce affranta.

Insomma, da allora anche io e Matt siamo diventati amici. Ci sentiamo tutte le sere e mi sono presa il ruolo di tirarlo su di morale quando è molto giù, di farlo ridere, di raccontargli dei miei ragazzi, dei cani che ancora pisciano in corridoio. Storielle piccole di una vita vissuta al di fuori delle sbarre. L’altro giorno ha detto che darebbe il piede sinistro per una passeggiata al parco.

Tra poco è Natale. Siamo tutti presi a comprare regali, a passare una giornata insieme alle nostre famiglie senza pensare a troppe cose tristi. E io, questo Natale, penserò anche a quei due bimbi, che aspetteranno la telefonata del papà che “lavora lontano e non può venire”. Penserò al mio nuovo amico Matt, e a tutti quelli che, innocenti o colpevoli, saranno in un carcere, vestiti di arancione, con il magone.

Fotografia © Geoff van der Meer, Carpenter, Window front on High St, Prahran

(Visited 1 times, 1 visits today)