Libri in valigia 2017

In Letteratura

Scelte per voi dalla redazioni di Cultweek le letture per l’estate divise fra Novità e Libri da riscoprire

 

Novità

Future Sex – Emily Witt, trad. C. Durastanti
(Arianna Montanari)
Un’inchiesta-memoir sulla sessualità ai tempi di Tinder e poliamore. Un’inchiesta che l’autrice, Emily Witt (newyorchese, scrive per n+1, The New Yorker, The New York Times), ha condotto, se non a scopo terapeutico, quantomeno per il bisogno di ritrovare una bussola.
Emily Witt comincia a scrivere Future Sex quando è «Single, etero e donna», e ben consapevole di avere accesso a una libertà sessuale pressoché totale, e che una certa lacaniana coazione a godere la dovrebbe spingere a godersela tutta.
La verità però è che mancano ancora le categorie per pensarla, questa libertà sessuale, e si finisce per incanalarla nelle classiche, comode categorie che disciplinano le relazioni sentimentali. Il sesso occasionale non smette di subire gli attacchi del principe azzurro, del “vero amore” e del velo bianco, a partire da un linguaggio che rimane lo stesso.
L’autrice, passo dopo passo, ci disegna una mappa per orientarsi attraverso Chaturbate, la meditazione orgasmica e le relazioni poliamorose. Emily Witt le prova tutte, ci si butta in prima persona, forza i suoi stessi confini e si sperimenta in tante, diversissime, situazioni. Fino al caotico e googliano deserto del Burning Man dove, amara, confessa: «Non mi sentivo ancora libera come volevo. A volte non riuscivo a superare le barriere che trattengono le persone dall’esprimere i propri desideri».

 

Nella Perfida terra di DioOmar di Monopoli
(Orazio Labbate)
Nella perfida terra di Dio (Adelphi, 2017) di Omar Di Monopoli, è un’opera che riesce a rinnovare in modo originale e assai letterario (la lingua descrittiva è infatti curata sotto ogni preziosa minimalità stilistica) quel tipo di southern gothic che fa della violenza, e della ruralità teologica, il suo marchio distintivo. Il libro plasma una Puglia spettrale, arida e brutale ove campeggiano predicatori esasperati, famiglie di criminali con le loro crudeli genealogie, religiose squallide che si servono di una fede ormai infranta per mercanteggiare nel territorio. C’è lo spettro onnipresente del Cormac McCarthy di Non è un paese per vecchi e di Suttree nel talento di Omar Di Monopoli.

 

Il mistero degli antichi astronauti – Marco Ciardi
(Samuele Petrangeli)
Marco Ciardi, studioso di storia della scienza, in questo saggio estremamente godibile e accurato fa un’introduzione esaustiva su cosa consiste la teoria degli antichi astronauti e ne indica il radicamento nell’immaginazione popolare, in particolare nei fumetti. Ma soprattutto mostra come questa teoria sia pseudo-scienza e non scienza. Ciò che interessa Ciardi è, infatti, utilizzando questa teoria e la sua diffusione, analizzare la differenza fra un percorso scientifico e uno che si spaccia solamente per tale.

 

Exit West – Mohsin Hamid, trad. N. Gobetti
(Maria Moratti)
Chi decide di leggere Exit West deve prima fare un patto con la propria razionalità e dirle «promettimi che chiuderai un occhio, fidati, ne varrà la pena». Se desideriamo godere pienamente di questo romanzo, non dobbiamo infatti stupirci davanti a misteriose porte, rintracciabili in varie parti del mondo, che permettono a persone in cerca di un cambiamento di spostarsi da un luogo all’altro. Se riusciremo a superare l’iniziale stupore da cui verremo colti, ne saremo poi ampiamente ripagati. Il surreale sarà infatti soltanto un mezzo attraverso cui comprendere meglio le dinamiche interiori di coloro che fuggono, che sia da un paese devastato dalla guerra, da una relazione o dalle proprie origini. Le porte diventano quindi metafora allo stesso tempo della fuga e della speranza annessa al superamento di un confine.
Saeed e Nadia sono due ragazzi di una innominata città del Medio Oriente segnata da un’impietosa guerra civile. Dal momento in cui decidono di attraversare la prima porta, inizierà per loro l’interminabile ricerca di un posto dove iniziare una nuova vita. Exit West è insieme un romanzo d’amore e politico, in cui l’unica differenza che conta è quella di essere favorevoli o contrari al passaggio attraverso le porte. Mentre decidiamo da che parte stare, Hamid ci ricorda però di compiere una riflessione che può forse aiutarci a ritrovare un’empatia troppo spesso dimenticata: «Tutti emigriamo, non possiamo evitarlo. Siamo tutti migranti attraverso il tempo».

 

L’arminuta Donatella Di Pietrantonio
(Roberto Casalini)
Un’orfana con due madri. Cresciuta da una cugina dei genitori, in una città della costa abruzzese. Abituata ai comfort piccolo-borghesi. E a tredici anni rispedita nel paesino dell’interno, dagli ignoti genitori d’origine. Una famiglia numerosa e poverissima, tanto povera che anche l’affetto è un di più. Perché quella che la ragazzina considerava la madre vera l’ha allontanata da sé? Accolta con diffidenza, cresce isolata e impacciata. Si difende con lo studio e con la complicità della sorella minore Adriana, una ragazzina popolana che qui fa, alla lontana, le veci dell’amica geniale di Elena Ferrante. Non più di un mondo e mai stata dell’altro, ritornerà in città per fare il liceo e rivedrà la madre adottiva, in uno svelamento progressivo che suturerà quella ferita primaria in una consapevolezza dolorosa e disincantata. Come quando, a distanza di tanto tempo, vedi qualcuno che avevi mitizzato e che ti aveva fatto torto, non più meritevole neppure della tua rabbia. Donatella Di Pietrantonio ha scritto un romanzo aspro, potente e ricco di sfumature, esatto nei dettagli (e il diavolo sta nel dettaglio), il migliore che ho letto in questo scorcio d’anno. Sulle irresponsabilità e le viltà degli adulti. Sulla vita come costante attraversamento di confini. Sui legami di sangue che sono vicinanza e separazione. Sui fantasmi che ci portiamo dietro e dentro.

 

Leggenda privata – Michele Mari
(Linda Pedraglio)
Un’autobiografia prende vita come un puzzle: centinaia di tessere in disordine che iniziano magicamente ad incastrarsi. Ma cosa accadrebbe se una forza oscura iniziasse a rimescolare le tessere del puzzle per restituirci un’immagine mostruosa? Se al posto di un classico autoritratto ci ritrovassimo di fronte a un Picasso?
Leggenda privata di Michele Mari è la dimostrazione che questa forza oscura esiste.
Lo scrittore, minacciato dall’Accademia dei Ciechi, tenta di comporre il suo puzzle, ma l’operazione si rivela impossibile: a delinearsi non è l’immagine riflessa dell’autore, quanto una sua deformazione abominevole. Gli accostamenti sono osceni e la visione è disturbante. Menzogna e verità si amalgamano in una sostanza radioattiva, che contamina la superficie dei fatti, per aprire squarci di verità. Un romanzo per chi volesse scrutare, senza pudore e reticenza, ai limiti del voyeurismo, le viscere di uno scrittore e smascherare i mostri di una leggendaria famiglia.

 

Il soprannaturale letterario – Francesco Orlando
(Giovanni Bitetto)
Il soprannaturale letterario è il libro postumo di Francesco Orlando, frutto del suo ultimo corso universitario. Lo studioso palermitano è famoso per aver coniugato la teoria freudiana in chiave letteraria, concependo la letteratura come luogo in cui ritorna il rimosso linguistico, sessuale, ideologico. L’interpretazione di Orlando culmina con Gli oggetti desueti nelle immagini letteratura, saggio in cui – attraverso una titanica opera di analisi comparata – si indaga il rapporto fra tòpoi letterari e impatto nella narrazione. In quest’ultimo pannello teorico Orlando si occupa della nozione di soprannaturale e del significato che assume all’interno dei contesti della tradizione: si passa dal comico iconoclasta di Luciano, all’irridente surrealismo di Voltaire, fino alle fascinazioni gotiche di Henry James. L’acume di Orlando riesce a comparare e schematizzare i testi più disparati, incasellandoli in un discorso univoco senza forzarne l’interpretazione. Si tratta di un libro prezioso che ci dà modo di vedere all’opera l’intelligenza eversiva di un grande critico.

 

Grande nudo Gianni Tetti
(Andrea Zandomeneghi)
Perché avrebbe senza dubbio dovuto vincere il Premio Strega di quest’anno, qualora la competizione avesse adottato parametri di valutazione squisitamente letterari. Una scrittura che ti martella l’anima – tanto semplice, immediata, schietta, quanto penetrante – in uno stillicidio che, scavandoti, inscena sogni infetti e incubi i più immondi con un vigore e una maestria di grande intelligenza narrativa, stilistica e concettuale. Apocalittico, perforante, gravido, lucido, imperfetto e fortemente sardo. Massimalista

 

Memoria di ragazza – Annie Ernaux, trad. L. Flabbi
(Margherita Solaini)
È l’estate del 1958 quando la diciottenne Annie, rigoroso cappotto blu e capelli raccolti in uno chignon strettissimo, parte per la Normandia, dove farà l’educatrice in una colonia di bambini. Per la prima volta lontana dal controllo dei genitori, la ragazza, della quale l’autrice non parla mai in prima persona, durante le sei settimane successive scopre la seduzione, il confronto, l’illusione, la vergogna, la libertà. La Annie che torna a casa in settembre non è più un’adolescente di provincia, brava a scuola e imbarazzata della sua modesta estrazione sociale, ma una donna, e una donna innamorata. Un amore che si chiama H ed è l’affascinante capo educatore della colonia, che diventa per la giovane la misura di tutta la sua vita. È per piacere a lui, reale o idealizzato, che Annie vuole studiare senza sosta, ed è sempre per lui che inizia a dimagrire in modo incontrollato, fino a cadere nel tunnel della bulimia e a lasciare la scuola che la famiglia aveva scelto per lei. Il tempo della ragazza inizia a scorrere soltanto in funzione di quando lo rivedrà, e non accadrà mai. E così tocca all’Annie adulta, affermata scrittrice e senza dubbio una delle penne più straordinarie del momento, liberare la ragazza che è stata più di cinquant’anni fa, farla vivere di nuovo nell’inchiostro e non tenerla imprigionata nel ricordo. In questo meraviglioso romanzo di formazione che interseca vicende personali e storiche, Annie Ernaux ci racconta senza indulgenza né giudizio la Annie Duchesne che è stata, ci mostra la difficoltà e il dolore di crescere, e ci dona uno spaccato del suo passato che è presente e, insieme, già futuro nella memoria di tutti noi.

 

La stanza di ThereseFrancesco D’Isa
(Andrea Zandomeneghi)
Perché abbiamo finalmente un romanzo che guarda in faccia le cose ultime e ci ragiona, senza mascheramento alcuno, nel modo più chiaro e sfacciato: l’infinito, l’assoluto, la metafisica. Questi i problemi che assillano Therese – e lei si fa anacoreta, va a rinchiudersi in un albergo a tempo indefinito, tentando di esperire e comprendere l’assolutamente altro da sé, di attingere all’altamente significativo. Tante le strade che percorre e di cui – è un romanzo epistolare illustrato magnificamente dallo stesso autore – dà conto alla sorella: dalla matematica, alla meditazione, allo scetticismo empirista. Necessario e minimalista.

 

Gli anni della leggerezza – Elizabeth Jane Howard, trad. M. Francesconi
(Giulia Mandrioli)
La saga dei Cazalet è la lettura perfetta per l’estate che comincia. Gli anni della leggerezza è il primo di quattro tomi appassionanti e allo stesso tempo distensivi, ideali per accompagnarci nei pomeriggi sotto l’ombrellone o per cullarci nelle torride notti cittadine. Al centro della scena c’è la dinastia dei Cazalet, una splendida famiglia inglese cresciuta secondo la rigida morale vittoriana, ma ormai pericolosamente affacciata sul baratro della modernità e – prima ancora – della seconda guerra mondiale.

 

La disputa felice Bruno Mastroianni
(Beatrice Cristalli)
Saper comunicare è una competenza. In un’era di «sovraccarico di sovraccarichi», di disinformazione congenita, di parole mal controllate, farsi capire non significa più lavorare sulle asimmetrie sapere/non sapere o complessità/semplicità, bensì su un livello simmetrico, quello della relazione con l’altro. Bruno Mastroianni ne La disputa felice (Franco Cesati Editore, 2017) propone una riflessione sintetica e ricca di esempi su alcuni principi che coinvolgono tanto il media training quanto il public speaking. Dal tono alla punteggiatura, dall’importanza della dimensione non verbale alla complessità dell’argomentare, il breve saggio affronta con puntualità l’apparente semplicità del linguaggio veloce nel web e i suoi rischi nella mancata rielaborazione del pensiero durante i conflitti in sede digitale.

 

In un palmo d’acquaPercival Everett, trad. L. Sacchini
(Anna Pietroboni)
In un palmo d’acqua è un’insieme di racconti scritti nel 2015 da Percival Everett e pubblicati in Italia nel 2016. Protagonista assoluta è la natura incontaminata e selvatica delle Montagne Rocciose e il suo intricato rapporto con l’elemento umano. In una specie di western contemporaneo, Everett ci immerge nelle pieghe misteriose della fatalità delle nostre esistenze, in un insolito gioco di equilibri sospesi. Grazie ad una prosa dura, bella ed essenziale, scopriamo un po’ alla volta che dietro ad ogni storia si nasconde un segreto, un imprevisto o una minaccia. E alla fine, niente è come sembra, eccetto – forse –  la vita.

 

Libri da riscoprire

La cosa marrone chiaro e altre storie dell’orroreFritz Leiber, trad. F. Cenci
(Orazio Labbate)
Una raccolta di novelle indispensabile in cui l’Horror si reinventa storia dopo storia e si frammischia, con splendore, al fantastico è: La cosa marrone chiaro e altre storie dell’orrore (Cliquot, 2017), di Fritz Leiber. Pianeti nascosti dentro le città, demoni nel cofanetto, nani che sono scienziati, esperimenti dentro castelli in un’America dove la soprannaturalità convive con le costruzioni metropolitane; realtà in cui l’ossessione per il nucleare diventa terreno fantascientifico. E poi il romanzo breve che dà il titolo all’antologia, vera dimostrazione magistrale di come si realizzi l’obiettivo del perturbante con la letteratura. Ultima nota, ma non meno importante, la traduzione e la cura del volume sono di Federico Cenci che compie un lavoro di sorprendente attenzione e d’esemplare ricerca.

 

L’uomo di fiducia – Herman Melville, trad. S. Perosa
(Roberto Casalini)
L’America è una nave, anzi è il battello Fidèle che solca il Mississippi alla volta di New Orleans. A bordo una varia umanità pronta a essere abbindolata, a bordo un misterioso imbonitore che si traveste di volta in volta da negro storpio, da muto, da uomo in lutto, da imprenditore e finanziere, da filantropo, da medico inventore di rimedi portentosi, da filosofo brado. Per carpire elemosine, benevolenza, agganci. Nell’ultimo romanzo pubblicato in vita, nel 1857, da Herman Melville, il ritratto antivedente del leader populista, del grande seduttore, del venditore di tappeti, ieri Berlusconi e oggi Trump. Philip Roth, nei giorni immediatamente successivi all’elezione di The Donald, lo indicò come il romanzo perfetto per capire il nuovo inquilino della Casa Bianca. Io ci aggiungerei un romanzo dello stesso Roth sugli umori reazionari dell’America profonda (il fantaromanzo Il complotto contro l’America, Einaudi: è il 1940, alle elezioni perde Roosevelt, vince il trasvolatore filonazista Lindbergh e l’America si allea con Hitler) e l’impietosa biografia Donald Trump (Einaudi), scritta consultando tonnellate di documenti dal premio Pulitzer David Cay Johnston.

 

Gli ultimi giorni dell’umanità – Karl Kraus, a cura di E. Braun e M. Carpitella
(Giovanni Bitetto)
«La messa in scena di questo dramma, la cui mole occuperebbe, secondo misure terrestri, circa dieci serate è concepita per un teatro di Marte» così scrive Karl Kraus a introduzione della sua abnorme pièce teatrale. Impegnato come giornalista a Vienna, Kraus ingloba nella scrittura l’esperienza quotidiana della Prima Guerra Mondiale e ne restituisce un grandioso affresco sotto forma di teatro del mondo. La guerra di Kraus è impastata di discorsi nei caffè viennesi, manifestazioni e rivolte pubbliche, proclami ufficiali, dispacci dal fronte, articoli di giornali clandestini. Il frastuono linguistico si organizza nell’impressionismo di scene fulminee a cui partecipano centinaia di personaggi, un discorso frattale che attraverso la varietà di temi e situazioni vuole restituire la velocità della prima guerra condotta con mezzi moderni. A costituire la spina dorsale dell’opera troviamo le scene di dialogo fra L’Ottimista e Il Criticone (l’alter ego dello scrittore), che ragionano sulle cause del conflitto e sui possibili scenari futuri. Leggere Kraus significa rendersi conto dell’estrema contemporaneità della sua scrittura e riflettere sulle dinamiche universali – politiche ed economiche – che portano alla «prosecuzione della diplomazia con altri mezzi».

 

Una stanza tutta per gli altri – Alicia Giménez Bartlett, trad. M. Nicola
(Margherita Solaini)
Nel 1929, quando Virgina Woolf pubblica il saggio Una stanza tutta per sé, è acclamata come una paladina delle donne e del loro diritto di pensare, di scrivere e di essere ammesse ai circoli culturali dell’epoca. Nel 2003, prendendo ispirazione dai diari della scrittrice e intrecciandoli con quello, immaginario, della sua storica cuoca Nelly, Alicia Giménez Bartlett ci regala un punto di vista inedito sul Bloomsbury Group, sull’Inghilterra del primo dopoguerra e sulle innumerevoli contraddizioni personali e sociali di Virginia. Con uno stile pulito e frequenti cambi di registro, il riuscitissimo espediente letterario del romanzo toglie il velo alle eccentricità degli esponenti del gruppo e ce li mostra da vicino, con le loro paure infantili, i disordini sentimentali e sessuali, e un progressismo pubblico quasi totalmente assente nel privato delle mura domestiche. La malinconia di Virginia, che Nelly prima ama senza riserve e alla quale poi non perdona più niente, è quella di un’intellettuale privilegiata, in tutto distante dai problemi di ogni giorno, che non la toccano e soprattutto non le interessano. Mentre Virginia è chiusa nel suo studio a lavorare, siamo coinvolti nella descrizione delle occupazioni quotidiane di Nelly, che vediamo trasportare il carbone, cucinare il piatto preferito di Leonard Woolf, disfare la valigia piena di biancheria di seta dell’aristocratica Vita Sackville-West, improvvisare una cena per il critico Lytton Strachey o, infine, rifiutare la proposta di matrimonio di un ex soldato per non finire a fare la donna di servizio (anche) in casa sua, il prezzo da pagare per lasciare la residenza dei Woolf e avere, finalmente anche lei, almeno una stanza tutta per sé.

 

Anatomia dell’irrequietezza – Bruce Chatwin
(Maria Moratti)
Bruce Chatwin fu un grande scrittore, esperto d’arte ed archeologo. La sua unicità è stata quella di vivere ognuna di queste professioni con una stessa indomabile passione, che mai abbandonò: quella del viaggiatore. L’irrequietezza di cui ci parla nei brevi articoli, racconti, saggi e appunti di viaggio selezionati in questo volume è quella che naturalmente spinge l’uomo al cambiamento, alla continua ricerca del nuovo.
Se è vero, come sosteneva Pascal, che l’infelicità dell’uomo dipende dalla sua sostanziale incapacità di starsene quieto in una stanza, ecco allora spiegata l’innata tendenza al movimento come antidoto alla fissità mentale e alla monotonia del quotidiano, ovvero all’invariabilità che ottunde i sensi e impigrisce l’animo naturalmente curioso dell’essere umano. Non bisogna essere esperti viaggiatori per godere di questa preziosa raccolta, chiunque potrà infatti rispecchiarsi nella spontaneità e umanità di Bruce Chatwin, severo giudice di se stesso, e nel suo ricorrente desiderio di cambiamento, professionale e personale. In fondo chi di noi non vorrebbe, almeno una volta nella vita, fare le valigie e lasciare soltanto un biglietto con su scritto «Sono andato in Patagonia»?

 

È così che la perdiJunot Díaz, trad. Silvia Pareschi
(Gianluca Catalfamo)
Quanto segue verrà espresso nella forma consiglio-schemino, consiglio-elenco, per ragioni di sintesi, dopo lunga trattativa.
– Junot Díaz è un dominicano naturalizzato US che scrive in un inglese che va verso lo Spanglish →Latinoamericano negli US 2017, sullo sfondo di Donald Trump, dei muri ecc. → C’è un’arietta, ehm, frizzantina lì al centro del mondo→ Considerate le tendenze demografiche e sociali degli US, per farla breve, scrive dal futuro→ Isn’t inherently cool, ‘manos?
È così che la perdi è la miglior introduzione a JD. Nove racconti bellissimi, su un sacco di cose che gravitano attorno all’infedeltà. Di più: l’ultimo, The Cheater’s Guide to Love, è qualche tacca sopra il bellissimo. È sia estremamente struggente sia estremamente divertente. Ma non (soltanto) contemporaneamente. Sono anche momenti isolati, distinti, divisibili. Ti dà l’idea che anche nelle cose più quotidiane, tipo le relazioni, fare esperienza del mondo sia una questione di punti di vista contraddittori e spesso non c’è una sintesi ma si tratta di dover oscillare tra i vari nodi di una rete di cose in qualche modo connesse ma che si escludono. Non c’è sempre un terreno comune possibile: ti devi fare il giro di ogni punto, che ha le sue regole e si trascina un orizzonte di significato implicito dal quale tu puoi guardare. Non c’è una cosa come una visione dall’alto. È tutto semplicemente complesso, e va così.
– JD oscilla da un atteggiamento tipo ¯\_(ツ)_/¯ al suo esatto contrario, ma per intermittenze, come se ci fossero dei flash in cui spuntassero delle virgolette-lacrime in corpo minore e quegli slash si contorcessero nella richiesta di un abbraccio.
– Per questo, JD è quel tipo di scrittore che fa di tutto per avere quel tono di voce che vi dissuade dal seguirne una conferenza, ma vi persuade a smezzarvi con lui una Peroni del bangladino a notte fonda. Ma alla fine ti guardi le conferenze su Youtube, e ovviamente ti divertono.
– Immaginate un crossover tra Master of None e Orange is the new Black. Ecco così, ma meglio.
– JD è uno scrittore politico → Etnia/ Razza/Immigrazione/Femminismo/Maschilismo ecc.→ MA, Su un’asse retorico Abbattoimuri – Bispensiero lo potremmo situare in una specie di punto di intersezione tra bolle che in genere non si incrocerebbero mai → Se parla di white privilege ha la stessa apertura potenziale che ha Zerocalcare quando parla di centri sociali, circa.

 

Casa di foglieM. Z. Danielewsky, trad. F. Anzelmo
(Giuseppe Carrara)
D’estate, dice il luogo comune, si devono consigliare libri leggeri, da ombrellone, per liberare la mente. Non aspettatevi nulla di tutto questo: ora che avete un po’ di tempo libero potete sbattere la testa su uno di quei libri troppo impegnativi per l’anno lavorativo/accademico. E Casa di foglie è davvero impegnativo: è un romanzo scritto in forma di poesia visiva: quattro voci narranti che raccontano contemporaneamente altrettante storie in quattro font diversi. È la storia di un libro che descrive e analizza un documentario su una casa che sfida le leggi della fisica e diventa un labirinto riprodotto anche al livello grafico. Un’altra frase fatta dice che il lettore si perde fra le pagine di un buon libro. Ecco, qui si perde davvero: paragrafi scritti al contrario, dall’alto verso il basso, da destra verso sinistra, cancellati, a vortice, obliqui, parole a caso in mezzo alla pagina. Sì, una roba da matti. Eppure è un libro bellissimo, non un giochetto da quattro soldi da finta avanguardia. Le scelte grafiche sono puntualmente giustificate da quelle tematiche. Si creano così raffinati effetti di lettura che riescono prodigiosamente a mimare le esperienze dei personaggi. Esempio: la descrizione di un corridoio che si restringe gradualmente viene portata avanti con il restringersi del carattere in un riquadro che ospita sempre meno lettere: le parole sono frantumate, la lettura diventa claustrofobica come il corridoio.
Storie di droga, di follia, di terrore, di solitudine, di rapporti fra la realtà testimoniale e le sue rappresentazioni, tutto giocato su un confine labilissimo tra verità e menzogna. Tutto molto meta e tutto molto referenziale. Tutto molto difficile e tutto molto leggibile. Tutto sinceramente sofferto e tutto raccontato in modo assolutamente falso. Effetti collaterali: labirintite. Consigliato per allontanare persone fastidiose in vacanza. Funziona anche come arma impropria.

 

Lo stereoscopio dei solitari – Juan Rodolfo Wilcock
(Michele Farina)
In un paese la cui ristretta cerchia di lettori forti ha incluso nel proprio pantheon più visibile autori ispanoamericani come Bolaño e Cortàzar, per non parlare di quell’argentino cieco, si impone ora alla comune coscienza civico-letteraria il dovere di riscoprire la figura di Juan Rodolfo Wilcock. Scrittore, traduttore e corsivista, fu amico del sopracitato argentino cieco, di Adolfo Bioy Casares e Silvina Ocampo. Si stabilì in Italia negli anni ’50 e adottò l’idioma del Bel Paese per scrivere i propri libri. La recente ristampa de Lo stereoscopio dei solitari (Adelphi, 2017) costituisce un’occasione per avvicinare questo insolito scrittore: sessantasei brevi racconti sbrigliano un’inventiva pirotecnica in una prosa sempre elegante e ritmata, ricca di humour e alimentata da un’inesausta tensione all’im-possibile. Adatto ai caldi estivi, questo libro sgorga da una vena debordante che combina onirismo, surrealtà e precisione scientifica: ho già detto che il nostro studiò da ingegnere?

 

Willard e i suoi trofei di bowling – Richard Brautigan, trad. P. Grossi
(Samuele Petrangeli)
Brautigan, scrittore beat, compone capitoli brevi, istantanee che compongono una nottata qualsiasi, in cui la storia di due coppie si interseca con quella dell’uccello impagliato Willard (e i suoi trofei di bowling) e la disperata ricerca dei fratelli Logan. La scrittura di Brautigan è cruda, diretta e al contempo quasi per bambini. E proprio per questo colpisce e ferisce senza possibilità di difesa. Per rendere l’idea è un po’ come se Bukowski incontrasse Carver, ma il tutto fatto meglio.

 

Storia di Rasselas principe di AbissiniaSamuel Johnson, trad. V. Orsenigo
(Beatrice Cristalli)
Perché si viaggia? Plessner risponderebbe così: perché la primaria caratteristica dell’uomo è la sua eccentricità, l’andare oltre se stesso, de-situarsi e dunque, essere proiettato incessantemente fuori verso l’altro-da-sé. Il racconto filosofico ‒ all’orientale ‒ del 1759 Rasselas principe di Abissinia di Samuel Johnson (a cura di Giuseppe Sertoli, Marsilio, 2005) parte proprio da qui, dal movente di questa tensione che, passando per le analogie dell’Ecclesiaste sulla vanità del nostro girare in tondo senza attingere alla felicità, giunge a un umanismo settecentesco inedito: nessuna scelta di vita assicurerà la felicità perché, come insegnano i densi dialoghi sull’esistenza e la coscienza umana con il poeta Imlac, la vita «non la si sceglie, ma la si subisce».

 

L’arte di amare – Erich Fromm, trad. M. Damiani
(Linda Pedraglio)
In una società dove la parola “amore” è sulla bocca di tutti, abusata al punto da aver perso la sua densità, L’arte di amare di Erich Fromm ci riporta in un luogo calpestato da secoli di riflessioni e rivisitato nel 1956 dal filosofo tedesco nell’ambito della Scuola di Francoforte.
In una prospettiva esistenzialistica, le considerazioni di Fromm toccano diverse regioni: dalla filosofia, alla sociologia, per addentrarsi nella psicanalisi e persino nelle nebbie della religione.
Laddove cerchiamo di renderci appetibili oggetti d’amore, coltivando noi stessi sul confine dell’egotismo, Fromm torna a farci riflettere sull’amore come facoltà di amare, come attitudine da assumere nei rapporti col mondo.
Cercando di superare l’intellettualissima resistenza al bestseller, concediamoci una lettura da ombrellone che sia qualcosa di più di un I love shopping.

 

Villette – Charlotte Brontë, trad. S. Caltabellota
(Giulia Mandrioli)
Villette è il racconto amaro e profondo di una vita piegata dalla sofferenza. Charlotte Brontë scrisse quest’opera (l’ultima) con lentezza, nella fatica del lutto. È quindi la stessa autrice a vivere l’intreccio tra lotta e rassegnazione, tra debolezza e coraggio, che costituisce l’ossatura del romanzo. Lucy Snowe, protagonista e narratrice, è una giovane inglese senza bellezza e senza fortuna: ritrovatasi sola al mondo per una serie di disgraziati eventi, parte in cerca di un impiego onesto con cui mantenersi. Si sistema dunque a Villette, cittadina immaginaria che la Brontë plasma sul modello di Bruxelles, dove trova lavoro come istitutrice.

 

Acqua di mareCharles Simmons, trad. M. Bocchiola
(Anna Pietroboni)
“Le lacrime e il mare hanno lo stesso sapore”, dice Charles Simmons in Acqua di mare, un romanzo breve scritto nel 1998 e ambientato nel1963. È in quell’estate che Michael s’innamora per la prima volta e che perde tragicamente il padre. Con un linguaggio semplice e lineare, Simmons ci racconta un’agrodolce storia di formazione nel più classico degli scenari possibili: il mare. La sua voce è fresca, sincera e i tempi narrativi perfetti. E se dapprincipio crediamo di sprofondare in nostalgiche atmosfere d’infazia, quando chiudiamo il libro ci accorgiamo – nostro malgrado –  di essere diventati adulti.

 

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