L’ultimo Tarantino: la realtà, ovvero il cinema che ci salva dalla realtà

In Cinema

Ci sono tutti i big dello schermo, passati e presenti, in “C’era una volta a … Hollywood”, film n. 9 del più talentuoso regista citazionista al mondo: o come attori (Leo Di Caprio, Al Pacino, Brad Pitt, Dakota Fanning, Kurt Russell, Margot Robbie), o come personaggi (Roman Polanski e Sharon Tate, Dean Martin e Bruce Lee, Steve McQueen e perfino Charles Manson). Perché Tarantino sembra chinarsi sul cinema della sua infanzia con lo sguardo incantato di un bambino immerso nel suo più bel sogno

Los Angeles,1969. Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) è una star della tv dal passato quasi glorioso ma dal presente piuttosto deludente. Ormai avviato verso una rapida china discendente, riveste ruoli western sempre più patetici e compensa la frustrazione ingoiando giorno e notte, sul set e fuori, quantità industriali di alcol. Ma a Hollywood (e non solo lì, per la verità) c’è sempre chi sta peggio. Infatti ecco comparire Cliff Booth (Brad Pitt), stuntman di lungo corso e di inesistente successo, controfigura di Rick ma anche e soprattutto suo autista, factotum, confessore e compagno di sbronze. Un poveraccio che vive in una roulotte in compagnia di un cane fin troppo ubbidiente, ma dall’aspetto decisamente feroce.

Fra un’umiliazione e l’altra, Rick e il suo doppio pensano di aver finalmente pescato il biglietto vincente della lotteria nel momento in cui un agente dall’aria luciferina (Al Pacino) li convince a trasferirsi in Italia per girare una manciata di spaghetti-western. Durerà solo sei mesi, ma le soddisfazioni non mancheranno, anche se il ritorno a casa sarà piuttosto malinconico, fra una scazzottata e una bevuta, una moglie italiana nuova di zecca e l’ennesima gaffe dell’inseparabile Cliff, che riesce persino ad attaccare briga con Bruce Lee (Mike Moh). Intanto, tra le colline di Beverly Hills e le stradine tortuose di Bel Air, si aggira una piccola flotta di giovani hippy disperati ed esaltati, guidati da un improbabile guru di nome Charles Manson, mentre una delle coppie più glamour dell’epoca, Sharon Tate (Margot Robbie) e Roman Polanski (Rafal Zawierucha), prende casa proprio a due passi dalla villa di Rick.

La notte dell’8 agosto 1969 (quella in cui Sharon Tate, incinta di otto mesi, e altre quattro persone verranno massacrate dai seguaci di Manson) si avvicina e i destini di tutti i protagonisti sono destinati a intrecciarsi irreversibilmente. Se qualcuno pensa di sapere già tutto su uno dei casi di cronaca nera più famosi della storia, potrebbe avere molto sorprese dalla visione di C’era una volta a …Hollywood, l’ultimo film di Quentin Tarantino. Perché Sharon e Roman sono proprio loro, ricalcati fedelmente a immagine e somiglianza dei personaggi veri che riempivano le prime pagine dei rotocalchi dell’epoca. Proprio come Steve McQueen (Damian Lewis) e i tanti protagonisti del cinema anni Sessanta che vediamo rivivere sullo schermo. Anche Charles Manson, purtroppo, non è un personaggio d’invenzione. Lo sono invece Rick e Cliff, anche se nelle loro vicende è facile intravedere il destino di qualche attore dell’epoca, tra successi e fallimenti, ascese mirabolanti e cadute tanto rovinose quanto annunciate.

I detrattori di Tarantino sostengono che il suo cinema cannibale sia sempre più avulso dalla realtà, autoreferenziale e capace di nutrirsi esclusivamente di altro cinema. Come se il mondo, la storia, gli eventi, le persone, i sentimenti valessero soltanto in quanto incorniciati in un’inquadratura, catturati dentro la pellicola, fatti vivere e rivivere in quella finzione più vera del vero che chiamiamo cinema. I detrattori (sempre loro) dicono che Tarantino in tutta la sua carriera non ha mai inventato nulla, e citano come capi d’imputazione le tantissime sequenze ricalcate fedelmente da altri film (Kill Bill copia carbone del giapponese Lady Snowball, solo per citare uno degli esempi più eclatanti). Ma Tarantino non l’ha mai nascosto, anzi, ne ha sempre menato vanto. E in quest’ultimo film, il nono titolo della sua filmografia, il regista americano sembra voler portare alle estreme conseguenze la capacità mimetica che lo ha sempre contraddistinto, rifacendo non un solo film ma un’intera epoca del cinema. Hollywood com’era… e come non sarà mai più.

Si respira un’immensa nostalgia in questo film, ma si sente anche vibrare l’entusiasmo folle di chi non ha mai smesso di credere nel cinema e nel suo potere. Perché attraverso le immagini si può reinventare la storia, e forse, finalmente, dare un senso al mondo. Tarantino lo aveva già fatto in Bastardi senza gloria e Djiango Unchained, sognando un’Europa senza Hitler e offrendo agli schiavi la possibilità di regolare finalmente i conti con i padroni. In C’era una volta…a Hollywood sembra concentrare l’attenzione su un singolo fatto di cronaca nera, ma in realtà anche qui l’ambizione resta alta. Non si tratta semplicemente di ricostruire una storia, e nemmeno soltanto chiedersi come avrebbero potuto andare le cose se… quanto piuttosto di rinnovare un vero e proprio atto di fede nel potere salvifico del cinema. Niente di meno!

Tarantino sembra chinarsi sul cinema della sua infanzia – quello di Steve McQueen, Bruce Lee e Burt Reynolds, dei telefilm polizieschi degli anni 60, dei film di kung-fu e dei western di serie B – con lo sguardo incantato di un bambino. Lo stesso sguardo che il regista presta a Margot Robbie, che nei panni di Sharon Tate va a vedere sé stessa al cinema nel film che ha girato con Dean Martin (Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm). E noi vediamo la vera Sharon Tate sullo schermo, mentre la finta Sharon Tate la guarda dalla platea e sorride rapita, meravigliata quasi, davanti al miracolo dell’immagine in movimento. È una sequenza magnifica questa, commovente e mirabilmente costruita. Un omaggio tenero ed emozionante a un cinema che proprio in quegli anni stava vivendo la fine di un’epoca, e in generale a un mondo che aveva perso la sua innocenza anche sotto le coltellate dei seguaci di Manson, in un’afosa notte d’estate in una villa di Cielo Drive, a Bel Air.

Proprio per questo, Tarantino vuole (forse deve) immaginare una storia alternativa, una via d’uscita, una possibilità di salvezza. Per i protagonisti della storia, prima di tutto, ma anche e soprattutto per noi. Noi che amiamo Tarantino anche quando ci fa arrabbiare. Perché nel suo cinema a volte la vita si perde, come in un labirinto degli specchi nel più infimo dei luna park, e all’ennesima ricostruzione perfetta di un set, di un manifesto, di una scena di un vecchio film italiano, il dubbio ci viene: ma a che cosa servirà mai tutta questa ridondante manifestazione di esorbitante bravura? Però poi basta poco, un cambio di scena, la malinconia che si riflette in uno sguardo fin troppo consapevole, ed eccola lì tutta intera, sorprendente e meravigliosa, la capacità di Tarantino di reinventare il cinema e trasformarlo in un’arma di riscatto. Dal male, dalla paura, dal dolore, dall’ingiustizia. Riscatto metaforico, immaginario, certo. Ma è davvero così poco?

C’era una volta… a Hollywood di Quentin Tarantino, con Leonardo DiCaprio, Brad Pitt, Margot Robbie, Emile Hirsch, Al Pacino, Timothy Olyphant, Zoe Bell, Dakota Fanning, Kurt Russell, Damian Lewis, Michael Madsen, Luke Perry, Margaret Qualley, Mike Moh, Rafal Zawierucha, Lena Dunham

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