Donne sull’orlo di una crisi di nervi, a Teheran

In Cinema

In “Acrid” Kiarash Asadizadeh racconta quattro storie di “ordinaria” infelicità coniugale. Tra mariti aridi e infedeli, e fughe mancate per amore dei figli

Premiato all’ultimo Festival di Roma per il miglior cast di attori emergenti, Acrid, opera prima del giovane regista iraniano Kiarash Asadizadeh, che viene dal mondo dei corti e degli spot e ne conserva una certa colorata, levigata perizia formale, è un amaro, quasi disperante affresco non tanto sulla condizione generale della donna nella repubblica islamica, oggi attraversata da qualche positivo ripensamento sulle rigidità confessionali degli ultimi decenni, ma sulla vita concreta di alcune donne, giovani e meno, benestanti e no.

E sulla difficile convivenza con i loro mariti, amanti, giovani fidanzati, accomunati da un’infedeltà cronica, un’aridità di fondo che non sono solo sentimentali, ma segnalano un’indifferenza, una presunzione di superiorità figlia di antichi usi oppressivi. E che oggi si declinano nella modernità di solitudini metropolitane, problematiche di coppia, incomprensioni sedimentate e tradimenti accettati per il bene dei figli o quieto vivere. Tutte tematiche che, con sostanziali aggiustamenti, riproducono la realtà dei rapporti tra i sessi anche di molti paesi del mondo, dall’Asia all’Europa Occidentale, dagli Usa alla Russia.

Acrid ha la struttura di un racconto circolare, protagoniste quattro donne di diverse età i cui destini si intrecciano. Scopriamo da principio la Teheran agiata di Soheila, medico che affronta i drammi continui di una clinica per bambini malati, e la sera a casa ritrova Jalal, il marito ginecologo col vizio di assumere (per ovvi motivi) solo segretarie nubili. L’ultima impiegata, Azar, pur di ottenere il lavoro gli nasconde di essere sposata con Koshro, in un legame infernale che attende solo il vicino divorzio, causato soprattutto dal legame di lui con Simin, professoressa di chimica all’università, già divorziata, che vive con la sorella in crisi col marito, alcolizzato e violento.

Tra gli allievi di Simin c’è l’esile Masha, persa nell’infelice relazione con un altro studente, che alla fine si scopre essere la figlia di Soheila e Jalal, in una sorta di chiusura del cerchio dell’infelicità femminile. A riprova che se le donne di Teheran non si arrendono, e reagiscono in modi di versi alla loro realtà, finiscono poi però tutte per trovare ben più soddisfazioni e affermazioni nella vita pubblica che in quella privata.

Acrid, che già dal titolo si dichiara “aspro”, “duro”, è interpretato dagli affiatatissimi Saber Abar e Shabnam Moghaddami, veterani del cast e da Ehsan Amani, Pantea Panahiha, Nawal Sharifi: esce per Imagica in lingua originale con sottotitoli italiani, scelta coraggiosa da suggerire ad altri distributori. In un cinema iraniano che sempre più si distingue per la vivacità dei temi e le scelte scomode, pagate a caro prezzo (da Asghar Farhadi a Jafar Panahi, di cui si vedrà subito dopo l’estate il bellissimo Taxi Teheran, vincitore dell’ultima Berlinale, 13 anni dopo il Leone veneziano di Il cerchio, altro film sulla condizione femminile), il film di Asadizadeh punta sull’analisi dei dettagli, delle psicologie, e sullo studio dei vizi privati di uomini insensibili all’idea che il loro comportamento possa avvelenare la vita delle loro compagne.

Acrid di Kiarash Asadizadeh, con Saber Abar, Shabnam Moghaddami, Ehsan Amani, Pantea Panahiha, Nawal Sharifi

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