Una bella iniziativa condivisa dal Conservatorio e dalla Casa della Memoria: quattro concerti (domani sera il primo) per ricordare i musicisti, e furono tanti, perseguitati dal fascismo e la loro musica espunta dai cataloghi delle biblioteche e mandata al rogo
«È vietato l’esercizio di qualsiasi attività nel campo dello spettacolo a italiani ed a stranieri o ad apolidi appartenenti alla razza ebraica, anche se discriminati […].
È vietato utilizzare in qualsiasi modo per la produzione di film, soggetti, sceneggiature, opere letterarie, drammatiche, musicali, scientifiche ed artistiche, e qualsiasi altro contributo, di cui siano autori persone appartenenti alla razza ebraica, nonché impiegare ed utilizzare comunque nella detta produzione, o in operazione di doppiaggio o di post sincronizzazione, personale artistico, tecnico, amministrativo ed esecutivo appartenente alla razza ebraica».
Così avviene, prima attraverso circolare poi per legge, “l’esclusione degli elementi ebrei dal campo dello spettacolo”, nel 1940 e nel 1942. Attraverso un linguaggio freddo, che non si addice né alle arti né all’umanità, è decretata con formalità burocratiche la persecuzione di persone, e non di atti, per la loro semplice colpa di appartenere a quella che il regime aveva definito “razza”.
Il campo musicale è uno dei tanti ambiti artistici che soffrirono a causa di questa e di tutte le leggi razziste. Musicisti, direttori e compositori si videro costretti ad abbandonare i loro ruoli, a volte cacciati come Vittore Veneziani, direttore del coro del Teatro alla Scala, a volte salpati per l’America come il compositore fiorentino Mario Castelnuovo-Tedesco, emigrato a New York e poi a Hollywood. Oggi, per ricordare un periodo che sempre più facilmente dimentichiamo, la Casa della Memoria di Milano e il Conservatorio Giuseppe Verdi hanno organizzato, a ottant’anni dalla promulgazione delle leggi razziste del 1938, una rassegna dedicata alla “musica perseguitata”, a quella musica espunta dai cataloghi delle biblioteche in epoca fascista, a quegli spartiti mandati al rogo (e raramente salvati da qualche bibliotecario illuminato), e soprattutto a quei musicisti e compositori ebrei perseguitati dallo Stato, legalmente, che si sono trovati solo qualche decennio fa di fronte alla possibilità di morire o di scappare.
È così dunque che il ciclo 1938: Musica Perseguitata propone al pubblico di Milano quattro concerti (il primo è stato il 4 ottobre) alla Casa della Memoria e un ultimo appuntamento di chiusura al Conservatorio, in sala Puccini il 6 novembre, per ripercorrere le composizioni di grandi autori ebrei la cui musica è sopravvissuta nonostante la cieca persecuzione fascista. Molti di loro hanno vissuto nascostamente, a partire da Aldo Finzi e arrivando fino a Leone Sinigaglia, che morì d’infarto proprio davanti ai suoi carnefici nel momento in cui stava per essere deportato, altri sono riusciti a fuggire, come nel caso di Renzo Massarani, rifugiatosi in Brasile, dove morì nel 1975, altri ancora deportati come Kurt Sonnenfeld, che scontò due anni di prigionia fino al 1943, e che al suo rientro non fu mai ammesso al Conservatorio (adesso lo Spazio della Memoria Musicale della Biblioteca del Conservatorio di Milano è depositario del fondo Locatelli Sonnenfeld, contenente tutte le sue composizioni).
Mentre fino al 21 ottobre si può visitare la mostra “Aldo Finzi e la Musica Perseguitata a Milano” all’Auditorium Fondazione Cariplo, i prossimi concerti si possono ascoltare l’11, il 18 e il 25 ottobre alla Casa della Memoria. Verranno eseguite le composizioni per pianoforte di Vittorio Rieti, Finzi, Massarini e Castelnuovo-Tedesco, le sonate di Rieti, Sonnenfeld e Castelnuovo-Tedesco, e ancora le Variazioni su tema di Schubert di Sinigaglia accompagnate dal documentario Dolce usignolo dall’ala ferita di Marco Cavallarin a lui dedicato. Particolare riguardo musicale va poi al concerto del 6 novembre, con la straordinaria chitarra di Emanuele Segre e il piano dell’americano David Witten, che interpretano il maestro di Beverly Hills Mario Castelnuovo-Tedesco.
Che un ciclo come questo trovi spazio nella programmazione milanese è di fondamentale importanza, perché, come scriveva John Locke nel suo Saggio sull’intelletto umano, «dove questa coscienza può essere estesa indietro ad una qualsiasi azione o pensiero del passato, fin lì giunge l’identità di quella persona». Per questo è necessario ricordare, e finché la nostra memoria sarà capace di conoscere il passato allora la nostra identità presente sarà più forte, più consapevole, e saprà, forse, resistere.