Mumford & Sons: folk nel cuore, rock nelle vene

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La band britannica col terzo album Wilder Mind mixa il nuovo e il vecchio ma dice addio, forse definitivamente, al banjo e al contrabbasso

Il banjo dei Mumford & Sons non suona più almeno dal settembre 2013, quando il bassista Ted Dwane dichiarò che la band si sarebbe presa una lunga pausa per lavorare al nuovo album.

E adesso, dopo tre anni dalla loro ultima fatica discografica, Babel, finalmente l’attesa è finita: i britannici Mumford e “figli” sono tornati. Ma il banjo è rimasto nella custodia.

Proprio così: addio banjo e contrabbasso, avanti chitarre elettriche e batteria. Il terzo album dei paladini del folk-rock, Wilder Mind, si presenta come un deciso cambio di rotta, che ha spiazzato e diviso migliaia di fan. A un primo ascolto dell’album sembra che la band abbia intrapreso la strada dell’arena-rock, seguendo le orme dei loro “cugini” di Nashville, i Kings of Leon.

Le melodie che hanno sempre caratterizzato i Mumford & Sons ci sono ancora. Ma questa volta le chitarre acustiche non sono più le protagoniste indiscusse delle loro canzoni.

La prima traccia dell’album, Tompkins Square Park, sembra prendere in prestito un’attitudine pop-rock tipica dei primi Coldplay. E il primo singolo, Believe, conferma questa sensazione. La canzone parte da un’atmosfera acustica e sognante per poi crescere fino a quando la chitarra elettrica, come se si fosse trattenuta a fatica, libera tutta la sua fresca energia. La voce di Marcus Mumford è sempre lì, ruvida e potente, come ce la ricordavamo nella celebre Hopeless Wanderer.

Con The Wolf, l’album rivela subito la sua “mente più selvaggia”. Senza prenderla tanto alla larga, i Mumford mettono subito in chiaro la situazione: la strada che hanno deciso di intraprendere è del tutto nuova e li porta lontano dai percorsi a loro familiari, ma già in parte esplorati con i primi due dischi. Chitarre imponenti e percussioni robuste sono il nuovo punto di partenza.

A volte, però, anche i viaggiatori più instancabili guardano indietro, verso casa. E il folk è nel Dna della band britannica. Lo si percepisce con chiarezza in Ditmas, dove si ritrova con piacere la chitarra acustica, che rincorre il suono ruvido di quella elettrica, creando una miscela nuova e perfetta in grado di mettere d’accordo il rock e il folk, il nuovo e il vecchio.

Non si sa se questo cambio di direzione verso il rock segnali un nuovo inizio per la band o solo una fase momentanea. Quello che si può dire è che funziona. Ciò che permette ai Mumford & Sons di distinguersi da tutte le altre band che competono nell’arena-rock è proprio il loro approccio atipico a questo genere. La provenienza da un altro mondo conferisce loro un tocco fresco e diverso.

Citando una meravigliosa canzone di Neil Young, My My Hey Hey, alla fine dell’album ci si chiede: “Rock ‘n’ Roll is here to stay?”. Speriamo di sì.

Wilder Mind, Mumford & Sons

Foto: Mumford & Sons

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