Gli esperimenti orchestrali dei Suede nell’ora blu

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Notte, natura, mistero: le sonorità sublimi e inquietanti nuovo album dei Suede sono tra le più ambiziose che la band britannica abbia mai concepito. Ascoltiamo “The Blue Hour” in attesa di vedere la band domani sera al Fabrique

The Blue Hour, l’ottavo album dei Suede (che si esibiranno domani 4 al Fabrique) e il terzo dopo la loro reunion nel 2010, arriva a concludere un anno di eccitanti uscite per i fan della band: a marzo era infatti arrivato il primo libro di memorie del frontman Brett Anderson, Coal Black Mornings. Vista la concomitanza delle due uscite, ci si potrebbe forse aspettare un album introspettivo e/o nostalgico dalla band inglese. Ma la realtà è un po’ più complessa. 

Ispirate dai paesaggi e atmosfere delle campagne del Somerset, dove Anderson da poco risiede, le sonorità dell’album, inquietanti e sublimi allo stesso tempo, sono tra le più ambiziose e orchestrali che la band abbia mai creato. Come il titolo suggerisce, The Blue Hour sviluppa una narrativa incentrata sulla notte, la natura, e sul mistero che esse creano, ma anche sul rapporto tra padre e figlio. Infatti, Anderson dice di essere ispirato da suo figlio, tanto da aver concepito il disco ‘dalla prospettiva di un bambino’.

La traccia di apertura As One rappresenta perfettamente queste caratteristiche: nei primi secondi gli archi accennano un senso di timore, che poi esplode in vero turbamento nel suono della chitarra di Richard Oakes, e dei cori che sembrano offrire un oscuro presagio. La grandiosità del pezzo è corrisposta dall’intensità drammatica del testo, e della delivery vocale di Anderson, che racconta il legame tra padre e figlio tramite una corsa tra le buie colline e le “ortiche oscillanti”. Anche Wastelands, pur rimanendo più vicino al classico suono indie-glam-rock dei Suede, descrive una fuga tra le “terre desolate”, finendo con uno spoken word femminile che dipinge un’infausta scena di solitudine nel buio della foresta. Particolarmente interessanti sono i brevissimi pezzi spoken word, Roadkill e Dead Bird, che insieme formano una narrativa unica del ritrovamento e seguente sepoltura di un uccello morto trovato per strada. Roadkill finisce in un drammatico e oscuro insieme di archi, mentre Dead Bird riprende una conversazione tra padre e figlio, come se la stessimo origliando, alternando così aspetti teatrali e intimità.

In alcuni casi, per esempio un pezzo come Beyond the Outskirts, gli arrangiamenti ambiziosi rischiano di “pesare” sulla visione sonora, rendendo il pezzo un po’ troppo “carico” nonostante la grandezza del ritornello. Molto più frequentemente, invece, gli arrangiamenti riescono a esaltare la semplicità delle composizioni: l’esempio chiave è Life Is Golden, che anche grazie al potente ritornello che incoraggia il figlio a non sentirsi solo, rimane uno dei pezzi più riusciti del disco. Don’t Be Afraid if Nobody Loves You è un altro esperimento riuscito, che con un riff di chitarra sporco e irresistibile allo stesso tempo, racconta il desiderio di connessione affettiva, o la sua mancanza. Forse il punto più alto del disco è proprio il suo primo singolo estratto, The Invisibles: una sublime miscela di violini, chitarra, e l’inconfondibile voce di Anderson che rimane protagonista assoluta, riesce a dipingere una scena di irrequieto desiderio di affetto, sia da parte di una partner che del padre.

Infine, The Blue Hour può essere visto come una continuazione astratta e impressionista del materiale affrontato in Coal Black Mornings: se uno dei temi principali del libro è il rapporto con il padre, in questo album Anderson sembra in parte elaborare sul rapporto con suo figlio. Da un punto di vista puramente musicale, invece, questo album rappresenta un’interessante svolta sperimentale nella carriera degli Suede, riuscendo a coniugare inquietudine e familiarità, sonorità rock e orchestrali. 

Suede The Blue Hour (Warner)

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