Wasted, nella terra desolata di Kate Tempest e Giorgina Pi

In Teatro

Giorgina Pi e la compagnia Bluemotion, a Modena, alle prese con un testo di Kate Tempest

Avere trent’anni e sentirli. Tutti.

In una sera umida nel modenese, sul palco del Teatro delle Passioni di Modena ci sono tre attori, tre personaggi che non sanno cosa stanno facendo. Per loro stessa ammissione, sono lì ma non sono eroi: non hanno verità da rivelare, destini da compiere. Questa sera a teatro non va in scena un racconto sicuro e teleologico, ma la descrizione nuda di uno stato di incertezza costante, di una vita tradita. Forse il punto di vista di una generazione intera.

La scena è una sala prove sapientemente illuminata dai gobos dei sagomatori. La luce ha un corpo così denso che sembra di poterla toccare. Una luce bucherellata e fumosa che si infrange sul pavimento. Il controluce rende le figure imponenti e oscure, come sagome senza volto, perse in una indefinizione quantomai interiore. Altri tagli arrivano a contrasto, sono netti e freddi, illuminano i volti dei tre. Le parole cominciano a fluire.

Le parole di questo spettacolo, Wasted, sono della poeta, rapper e drammaturga britannica Kate Tempest, nella traduzione di Riccardo Duranti, “vissuto” dalla compagnia Bluemotion (FOTO).

Tempest è una rivoluzionaria per la scena culturale inglese: appena trentenne ha aperto la strada a una commistione tutta metropolitana tra poesia e rap. Nei suoi testi la musica della strada incontra parole alte e di rottura. Ha fatto della rabbia una strategia di sfondamento, ma una volta dentro decide di seminare speranza. Una scelta – oggi – ancora più atipica e coraggiosa. Lo sfondo del dire è sempre Londra, la capitale, la spietata, l’incasinata città mondo, dove non sembra si possa esistere al di fuori di lei.

Nella messa in scena di Georgina Pi l’ambientazione viene in qualche modo tradita. La città prende contorni più sfumati: siamo immersi in un interno che potrebbe essere trapiantato in ogni luogo, ma Londra è uno dei personaggi e ci mancherà un po’ nel corso dello spettacolo.

Dall’alba al tramonto i figli trentenni della working class si sentono incastrati in lavori che non somigliano alle aspettative che avevano dieci anni prima. Sembra una società immobile la loro, non una terra di opportunità. Predestinati e maledetti hanno bisogno di cambiare. Ma come? E con cosa? Un nuovo lavoro, sistemarsi e fare famiglia, partire: sono i palliativi del capitalismo. E i protagonisti, epicamente, sentono di dover manifestare la loro estraneità, la loro superiorità, diventando immobili come la società che criticano, bloccati nei circoli viziosi della monotonia, della droga e dell’irresolutezza.

L’occasione drammatica è il decimo anniversario della scomparsa dell’amico più caro. Lui, nel pieno cliché, morendo si è salvato. Santificato, ora sta in una dimensione altra e non si deve sporcare con il fallimento o il rimorso. In questo clima, si ritrovano i tre amici di sempre, protagonisti di Wasted, interpretati da Sylvia De Fanti, Xhulio Petushi e Gabriele Portoghese – bravissimo e intenso oltre ogni aspettativa.

Parlare di chi non c’è più è l’occasione per riflettere su chi è rimasto. Un funerale per la vita di questi tre viventi che più di ogni altra cosa al mondo vorrebbero vivere, sentire la vita come quando erano giovani, come quando – dicono – avevano il mondo in mano e niente in tasca. Le parti al microfono sono le più forti.

Rockstar senza protezioni, i personaggi parlano al pubblico. Non hanno barriere, solo ricordi mai all’altezza del presente. Le parti dialogate risentono del diaframma linguistico che ci separa dalla spontaneità dell’inglese. Si canta e si suona perché in scena vediamo le prove per un concerto che nessuno avrà mai il coraggio di fare, un altro pretesto per ricordare l’età dell’oro.

Nel nuovo lavoro della compagnia Bluemotion, il coro della tragedia greca incontra la Waste Land di Eliot, il messaggio è alto: che il primo giorno del resto della nostra vita cominci, che nessuna vita, proprio nessuna, venga sprecata.

FOTO © BLUEMOTION

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