Vecchiaia, sostantivo femminile

In Letteratura, Weekend

Le ragazze degli anni ’70 diventano vecchie: Marina Piazza in ‘La vita lunga delle donne’ intreccia i loro racconti su una stagione della vita che sorprende una generazione che, più di altre, si è pensata sempre giovane e libera e che oggi se la deve vedere con difficoltà reali, imperativi sociali, stereotipi duri a morire. Un racconto corale che indaga un territorio mobile e sfaccettato nel quale trovare nuovi guadagni e nuovi equilibri

Le donne italiane con più di sessantacinque anni sono oltre sette milioni, quasi quattro quelle con più di settantacinque e un milione e duecentomila le ultraottancinquenni. Anche se il gap con gli uomini si va riducendo, la speranza di vita per le donne è più alta e arriva  a 85,2 anni.  Gli e le italiane sono tra i più longevi in Europa – seppur le donne con maggiori problemi di salute – e sono un pilastro del welfare all’italiana, soprattutto per il loro prendersi cura dei nipoti: i gerontologi, proprio in virtù delle mutate e migliori condizioni di vita, sottolineano da tempo come la frontiera della ‘vera’ vecchiaia si vada spostando costantemente più avanti. Le donne sono più numerose e sono spesso sole perché separate, divorziate o vedove: sopra i 65 anni si trova in questa condizione il 46% tra loro. La diseguaglianza  con gli uomini è anche di tipo economico, in virtù di un tragitto di vita assai differente: meno e più discontinuo il lavoro per il mercato, più pesante il lavoro di cura, salari più bassi e dunque pensioni più magre. Secondo l’ultimo Rapporto sul Bilancio del sistema previdenziale italiano, la forbice tra le pensioni maschili e quelle femminili ammonta in media a 8.744 euro l’anno che si assottiglia a 5.908 euro annui se si considerano anche le prestazioni assistenziali, di invalidità e reversibilità. Quello delle italiane anziane appare insomma come un pianeta affollato, ancora in buona parte autonomo, trasformato dalle conquiste della longevità, ma più povero e con alcune fragilità, soprattutto di salute. Se questa è l’istantanea, a largo spettro, della vecchiaia al femminile la sorpresa – se così si vuole chiamarla – arriva nello scrutare dal di dentro tra le vecchie di oggi, chiamiamole così, senza troppo orpello.

La vera novità infatti – e non è sfuggita a Marina Piazza, sociologa, attenta osservatrice delle trasformazioni femminili nelle diverse età della vita – è che a invecchiare oggi (e a meravigliarsene) sono quelle che si sono pensate, forse si pensano ancora eterne ragazze, quelle che hanno vissuto o visto il ’68, attraversato il femminismo e il decennio che più di ogni altro, dal dopoguerra, ha mutato profondamente la trama delle vita delle donne e ne ha registrato le conquiste di libertà: divorzio, aborto, diritto di famiglia, consultori e tanto altro. «È certamente un passaggio lento, sgranato da un infinito stupore. Perché non ce lo aspettavamo. Nessuno, in fondo, si aspetta di arrivare a questa soglia. Felici di invecchiare? La fortuna di invecchiare? Non mi sembrano parole adeguate. Forse “libere” di invecchiare?» si chiede dunque Piazza che firma La vita lunga delle donne ( Solferino 224 pagine, 16 euro), saggio nato dagli incontri con gruppi di donne tenuti alla Liberà università delle donne di Milano e a Lugano.

Libere è forse l’aggettivo maggiormente sotteso a questo racconto corale che ha nel partire da sé la forte spinta iniziale (Piazza aveva già mandato in libreria ‘L’età in più. Narrazione in fogli sparsi‘) e il proprio svolgersi nella colta e meditata condivisione di esperienza con le altre da cui era nato anche Incontrare la vecchiaia. Guadagni e perdite.  Se c’è infatti una passione condivisa alle molte e diverse traiettorie di vita delle donne che intrecciano il loro racconto in questo libro e, più in generale, che appartengono alla stessa generazione, ebbene, quella passione non spenta è propria la libertà. Declinata, per le ragazze che sono state, sul versante privato nello spezzare o aggirare codici di comportamento e scelte ritenute ‘naturali’  – matrimoni, figli, modi di vivere ritenuti femminili  –  e sul versante pubblico, nel voler entrare in mondi del lavoro a misura maschile o nell’affermare una soggettività politica dirompente e ‘imprevista’ per le tante che hanno vissuto la prima stagione del femminismo.

E libere appaiono oggi queste donne, anche se questa libertà può portare con sé, come il libro racconta, nuovi guadagni ma anche un certo smarrimento: complicato opporsi a stereotipi resistenti sulla vecchiaia femminile, difficile confrontarsi con perdite e con desideri ancora vivi – bello il capitolo sulla sessualità, tema sul quale Piazza ha incontrato le maggiori ritrosie – e  anche con i nuovi imperativi su come stare nell’età anziana per una generazione che si è voluta e si vuole forte e autonoma e dunque fatica ad accettarsi  meno veloce, più fragile.

Marina Piazza raccolta di ‘molte vecchiaie possibili’ perché è sicuramente vero che questa età non è più iscritta in un tradizionale e rassicurante  gioco generazionale in cui ‘i vecchi e le vecchie’ avevano un posto riconosciuto nella gerarchia sociale. Eppure queste esperienze singole che si addentrano in un territorio diventato mobile e fluido hanno più di un fil rouge ad unirle: il primo è sicuramente la condivisione di esperienza,  eredità, certo, dei gruppi del femminismo, ma, ancor prima, antica abitudine delle donne che si sono sempre parlate, dentro e fuori le mura domestiche e aldilà di differenze esistenziali anche marcate. Questo guardarsi e parlarsi è anche una grande risorsa e, non per caso, sta sviluppando un interessante corso narrativo ed editoriale intorno alla vecchiaia di cui abbiamo già scritto qui.

L’altro fil rouge è quello che lei stessa indica chiudendo il cerchio della sua narrazione e che  definisce ‘l’aspirazione ad un ricongiungimento del sé a sé’. “Mente nel pieno della vita si accetta la complessità della frammentazione, mi sembra di vedere in questa età la tensione ad una ricomposizione di questi frammenti in un mosaico dotato di senso..” scrive.

E per chiudere: Marina Piazza non dimentica di lanciare uno sguardo da sociologa alle mancate risposte in termini di politiche alle nuove domande poste dalla longevità. E ravvede, anche qui, un vizio molto italiano: non guardare lungo, non prevenire, non tendere allo stare bene delle e degli anziani più a lungo possibile, non immaginare soluzioni – dell’abitare e del condividere – che altrove esistono e di cui qualche raro esempio si fa strada anche da noi. Bisognerebbe, dice, puntare non sui bisogni (quelli posti dalle grandi vecchiaie o dalla malattia, in termini di assistenza e cura) ma sulle scelte delle persone. Anche quelle difficili da prendere, non ce lo nascondiamo, perché approdare ad una vecchiaia che condivide spazi e tempi e sa lasciare andare abitudini, luoghi e modi di stare al mondo è un salto culturale profondo, forse più in Italia che altrove.

  • La vita lunga delle donne viene presentato a Bologna il 5 novembre alle 18 alla Feltrinelli e a Milano l’8 novembre alle 18,30 alla Feltrinelli Duomo.

Immagine di copertina Ruffled © Cristian

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