Onibaba: ma quanta paura fa la donna?

In Letteratura

In un libro di Rossella Marangoni, pubblicato da Mimesis, un catalogo di paure ragionate: orchesse che divorano esseri umani nel cuore delle foreste, spettri femminili che terrorizzano in case diroccate, vecchie minacciose dalle orride sembianze, giovani mogli che rivelano la loro natura ferina. Se la “mostruosità” femminile è presente in ogni mito, a tutte le latitudini, nell’immaginario maschile giapponese di ogni epoca acquisisce una connotazione ambigua, che affascina e che respinge. Cosa spaventa della donna, cosa minaccia? Raccolti insieme, un viaggio nel mondo dei miti, delle fiabe e delle tradizioni teatrali giapponesi alla ricerca di qualche risposta, ma soprattutto di personaggi femminili inquietanti, ribelli, marginali. Mostri come noi.

Rossella Marangoni raccoglie e racconta fiabe, miti, leggende, descrive immagini di Onibaba, vecchia strega maligna che può trasformarsi in fanciulla seducente, in moglie devota, in volpe o serpente che coi suoi incantesimi seduce e distrugge l’uomo, ma può anche diventare benefica soprattutto nei confronti di donne maltrattate e indifese.



‘In Giappone un mostro si aggira per le isole, fra i pini, lungo gli argini delle risaie, nelle foreste impenetrabili che ricoprono i versanti delle montagne. E questo mostro è donna’


Perché parlare di mostri femminili giapponesi? La minaccia potenziale del femminile al potere maschile assume nella cultura popolare giapponese il volto di un démone dal ghigno spaventoso, di fantasmi orribili, di vecchie arcigne che si nutrono di carne umana.
Perché tutta questa mostruosità legata proprio alle donne?
In molte culture, alle latitudini e sotto i cieli più vari, emerge una femminilità che è fonte di desiderio, ma insieme di contaminazione e impurità. Oggetto di preoccupazione è anche la sua riproducibilità, che le dà potere. Occorre controllarla e la demonizzazione è un espediente per sottometterla.

Così, nel libro di Rossella Marangoni, pubblicato da Mimesis, Onibaba restituisce un universo di ossessioni, timori, sessismo e maschilismo trasformati in immaginario di sorprendente vicinanza: anche nell’estremo oriente a dettare le coordinate delle categorie del bene e del male è, in buona sostanza, un punto di vista maschile.
Un contesto che definisce anche la religione.

Nella visione del mondo taoista, infatti, quando il principio femminile ha la meglio sul principio maschile è quello il momento in cui i fantasmi e gli spiriti compaiono e provocano disastri. L’universo è allora sbilanciato, perché è il principio maschile, lo ‘yang’, che ha il diritto di avere la meglio in questa concezione misogina dell’universo, che affonda le sue radici nel confucianesimo e che, dal mondo cinese, si fa strada nel mondo giapponese arcaico come portato da una civiltà superiore.

A sancire in maniera definitiva condanna del femminile è l’impostazione dei riferimenti del sistema dei valori fondativi: i due temi fondamentali della spiritualità shintoista sono ‘hare’, la purezza, e ‘kagare’, la contaminazione.

Hare è lo stato ideale in cui sono le divinità, i ‘kami’, che si adirano contro ogni stato di contaminazione che li minacci.
Quali sono gli stati di contaminazione? innanzi tutto la morte e il sangue, ossia le ferite, che possono riguardare uomini e donne e poi il sangue mestruale, così come il sangue versato durante il parto, che si riferiscono solo alle donne.
Con un declinazione inesorabile, l’impurità viene relegata alla sola donna e non più a momenti specifici, come le mestruazioni e il parto, ma alla sua stessa esistenza.
In una civiltà guerriera come quella della fine del periodo Heyan verso il X secolo la donna è esclusa definitivamente.

Ma non scompare, non può scomparire perché esiste. Diventa mostro, un’ossessione che minaccia l’hare, la purezza maschile, il suo potere.

Sentiamo uno delle centinaia di racconti che oltre a essere bellissime, si prestano a molteplici interpretazioni.
Questa risale al XV secolo, ‘la storia di dama Tamamo’. Protagonista è una vera ‘femme fatal’ ante litteram e, naturalmente, mutaforma.

‘un solo battito delle sue palpebre a petalo di loto lanciava cento incantesimi e l’arco a mezzaluna delle sue sopracciglia nero-azzurre conquistava diecimila cuori. Sebbene non si fosse incipriata il viso, il suo viso, la sua carnagione era perfettamente bianca e, sebbene non usasse il rossetto, le sue guance erano naturalmente rosse. Le sue labbra luccicanti erano come un fiore scarlatto e la sua pelle perfetta era come la neve bianca. Le sue braccia sembravano gioielli e i suoi denti sembravano fatti di madreperla’.
La malvagia dama Tamamo, erudita, spiritosa, oltre che incantevole diventa la favorita dell’imperatore Toba e vuole distruggerne il regno. L’astronomo di corte si accorge dell’ inganno e tenta di mettere in guardia l’imperatore, ma invano. Allora con un rito magico la smaschera. Tamamo, tra urla minacciose, rivela la sua vera natura e si trasforma in una volpe a nove code e fugge via, minacciando una sanguinosa vendetta.

Un’altra storia che rivela una mentalità di un maschilismo feroce è quella della ‘moglie ideale’.
Un uomo pensa di prendersi la moglie perfetta, una che non mangi. Miracolosamente compare una bella giovane che dice che non mangia. Lui soddisfatto se la prende in casa. Gli amici sono sospettosi e gli consigliano di spiarla. Alla fine lui scopre che la moglie dietro la nuca ha una spaventosa bocca che ingurgita ogni cosa. Lei si accorge e fugge minacciando.
Certo è una storia davvero spiazzante: la donna ideale è quella che lavora, ubbidisce, ma che non mangia, non consuma.
Si tratta della sposa perfetta perché non è problematica, è acquiescente e incarna l’ideale di moglie che si è andato imponendo nel corso dei secoli in un Giappone sempre più patriarcale.
Anche nella morale buddhista il monito è quello di stare sempre in guardia nei confronti delle donne: state attenti, si possono rivelare pericolose.

Cambiano i meridiani, insomma, ma non cambiano il timore nei confronti del principio femminile e la costante volontà di dominarlo.

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