Il West (e il western) salvati dai danesi

In Cinema

“Salvation” di Kristian Levrig, col malinconico Mads Mikkelsen, racconta lo scontro tra nordici immigrati e perfidi “nativi”. Rilanciando un genere immortale

Sono un milione e mezzo, oggi, gli americani di origine danese, più di un quarto degli abitanti di Danimarca, e il loro arrivo nel Nuovo Mondo, da metà 800 in poi, andò in parallelo a quello da Irlanda (ne parla Ken Loach nel suo ultimo Jimmy’s Hall) e dai paesi germanici, tema affacciato in questi mesi dal bellissimo Heimat 4 di Edgar Reitz e dallo spettacolo-testamento di Luca Ronconi Lehman Trilogy, sulla dinasty di banchieri che partì nel 1844 dalla natia Baviera, destinazione New York. A incrementare il cineracconto sull’invasione nordica delle Americhe arriva ora The Salvation, quarto film del 57 enne Kristian Levring in anni recenti (debuttò a metà anni 80, poi un lungo silenzio), di cui si è visto in Italia nel 2002 Quando verrà la pioggia.

Le sue sbiadite, a volte quasi livide, a volte cupamente notturne, visioni di una Monument Valley ricreata in Sudafrica sono certamente uno dei punti di forza del film. Insieme allo script asciutto, filmicamente colto ma mai gratuitamente citazionista, opera di Levring e di Anders Thomas Jensen, guru del cinema danese, sceneggiatore di Susanne Bier (anche per il film Oscar In un mondo migliore) e regista in proprio di Le mele di Adamo, e alla prova del 50enne Mads Mikkelsen, star del cinema post-Lars von Trier, protagonista di capisaldi come Il sospetto di Thomas Winterberg (era nella cinquina dell’oscar al miglior film straniero 2014), Le mele di Adamo e Dopo il matrimonio della Bier) e 007 Casino Royale, come nemico n.1 di 007.

È il 1870 e da sette anni il colono Jon attende che la moglie Marie e il figlio di dieci anni lo raggiungano in America. Per sé e per loro ha lavorato sodo in una terra inospitale, ostile insieme al fratello, e ora i suoi sforzi troveranno un premio. Ma la felicità dura un attimo, quello della sequenza iniziale del film, già inquietante, nella minuscola stazione, e presto lascia il posto alla tragedia, a una lunga teoria di morti e vendette, che non risparmiano donne e bambini. Jon, uomo per bene, protestante e di solidi principi “europei”, diventa così un fuorilegge solitario, vittima dell’odio razzista dei nativi americani (magari immigrati prima di lui), un implacabile giustiziere dell’anima, duro a morire anche se ormai costretto alla sopravvivenza quasi solo dalla logica del western e della vendetta. Lui che, ormai, dalla vita non ha più niente da perdere (o da vincere).

Levrig e Thomas Jensen si divertono col mito del west, costruendo un originale mix che assembla nostalgia del genere, grandi riferimenti (da Leone a Tarantino, ma senza perdere la loro ispirazione), e melanconico esistenzialismo nordico. Facendo leva sull’efficacia dell’ambientazione, su violenza più suggerita e figurata che davvero esibita, e su caratteri archetipici, dal sindaco becchino allo sceriffo sacerdote, che qui però sono più ambigui che nella tradizione hollywoodiana.

E se alla fine si salva solo la “principessa” Eva Green, muta protagonista femminile (gli indiani, che non ci sono, le hanno già tagliato lo lingua), diavolo e angelo del racconto, è perché in qualche modo rappresenta l’essenza del cinema, lei che si esprime soltanto col volto e con gli occhi. 
Mentre il Jon di Mikkelsen, malinconica, maestosa metafora di un destino implacabile che non lascerà un solo colpevole impunito, domina la scena, immortale fin quasi all’inverosimile. Perché, dovendo scegliere tra la realtà e la leggenda, come sapete, si stampa o si proietta, come vera, sempre la seconda.

Resta un’ultima riflessione sul western, genere eternamente abbandonato e ripreso, da Hollywood e altri, in modi sempre diversi. Molti hanno osservato giustamente che soprattutto è risorto nelle mille giungle d’asfalto, europee, americane, asiatiche, nella forma del noir, del thriller, nel gang-movie, con esiti spesso più che riusciti. Ma quanto ancora “fa cinema”, in questo stellare Duemila degli Avengers e dei Men in Black, rivedere un cavallo, un’arida prateria, una pistola e un uomo che diventa sempre più piccolo, in campo lungo, e sparisce tra montagne rocciose e sole al tramonto?

The Salvation, di Kristian Levrig, con Mads Mikkelsen, Eva Green, Jeffrey Dean Morgan, Eric Cantona, Jonathan Pryce

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