I fiori del Simbolismo

In Arte

La vita, la morte. Il mito, la realtà. La purezza angelica, la sensualità diabolica. Palazzo Reale inaugura la stagione artistica 2016 con una “prima” densissima…

La vita, la morte. Il mito, la realtà. La purezza angelica, la sensualità diabolica. Palazzo Reale inaugura la stagione artistica 2016 con una “prima” densissima per contenuti, riferimenti, rimandi. La mostra dedicata al Simbolismo, oltre che proseguire idealmente il percorso di approfondimento storico e figurativo intrapreso con Alfons Mucha, celebra una corrente artistica che dall’esplorazione dell’inconscio e dal superamento del realismo attinge la propria forza espressiva.

Deus ex machina del movimento, nella visione dei curatori, è Charles Baudelaire, il poeta decadentista, il teorico dello spleen, lo scandaloso autore de I Fiori del Male. Le rime del suo libro-manifesto accompagnano le sezioni dell’esposizione: come catapultati in una fumeria d’oppio, i visitatori si lasciano sedurre dall’atmosfera languida, pronti a trascendere il mondo reale per entrare in una dimensione onirica, che nega la semplice percezione intuitiva.

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Gaetano Previati, Il giorno sveglia la notte, 1905. Trieste, Museo Civico Revoltella

Non è un caso che tale scelta sia dichiarata in apertura, con il quadro Una demoniaca: l’opera di Joseph Middeleer mostra una donna con lo sguardo rivolto al cielo, circondata da fiori in movimento e con un libro in mano. Semplici oggetti, ma che l’autore interpreta come strumenti capaci di far entrare l’uomo in connessione con le sue pulsioni interiori.

Istinti spesso intraducibili a parole, ma che si affermano nel mondo del sogno: quello esplorato, ad esempio, da Odilon Redon, artista francese inventore di creature misteriose (come nel caso de Il sonno di Calibano, ispirato al personaggio de La Tempesta shakespeariana), oppure dal belga Fernand Khnopff che, con Acrasia e Britomart, celebra i vizi e le virtù cristiane calate nel contesto della leggenda di Re Artù.

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Franz von Stuck, Lucifero, 1891. Sofia, National Gallery

La donna è sempre protagonista delle suggestioni figurative di questo periodo, nella duplice natura di donna pura angelicata e di femme fatale demoniaca. È il dualismo tra Eros e Thanatos: scorrono, tra le altre, le immagini della Cleopatra di Gaetano Previati, la cui agonia sembra tramutarsi nell’ebrezza dell’estasi, e la plastica sensualità di corpi di Victor Prouvé ne Il secondo cerchio – I lussuriosi, ispirato al quinto canto infernale dantesco.

Altro tema simbolista è il confronto tra Luce e Tenebra, Bene e Male: se, da una parte, si resta affascinati davanti al Lucifero di Franz Von Stuck, l’angelo caduto dallo sguardo tormentato, l’alternanza tra luce e ombra esplode ne Il giorno sveglia la notte, ancora di Previati: una figura femminile, avvolta in un velo nero trapuntato di stelle, si risveglia al sorgere del sole, trasportata su ali di pipistrello.

Particolarmente affascinante è il ciclo di incisioni Il guanto, firmato da Max Klinger: il guanto, lasciato (forse intenzionalmente) cadere da una pattinatrice a rotelle brasiliana di cui l’artista è innamorato, diventa protagonista di un’avvincente storia di perdita e ritrovamento, feticcio di un amore desiderato ma impossibile. La serie di Klinger ha anche ispirato, alcuni anni fa, una bella canzone di Francesco De Gregori.

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Max Klinger, Rapimento, da Un guanto, 1881. Bologna, Collezione Paola Giovanardi Rossi, Palazzo Fava, Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna

Il mito, come negazione del moderno e ritorno alle origini, è oggetto dello studio di Gustave Moreau e Arnold Bӧcklin: Moreau, ne Il silenzio della Foresta, trasfigura il mito dell’unicorno attraverso un equide più somigliante a un asino che a un leggiadro cavallo; ne L’isola dei morti di Bӧcklin, in molti riscontrano un’allegoria del traghettatore Caronte sullo Stige.

Mito che prosegue con l’epopea finale di Orfeo, il cui corpo smembrato dalle donne di Tracia e gettato nell’Ebro insieme alla sua lira è raccontato nei toni del grigio da Gustave Courtois (che raffigura i due elementi arenati su una spiaggia, a testimoniare una gloria perduta) e dell’azzurro da Jean Delville (testa e lira scivolano placide sull’acqua, illuminate da una fredda luce lunare).

Se il gruppo dei Nabis (profeti, in ebraico), ispirandosi a Gauguin, Redon e Moreau, ricercava i significati simbolici che si celavano nella realtà, Giulio Aristide Sartorio e ancora Klinger, tra gli altri, ci raccontano dell’acqua come metafora della vita, dell’amore e della morte. La Sirena di Sartorio contrappone il corpo bruno maschile che dalla sua barca si protende verso quello diafano della sirena, mentre sul fondo marino si intravedono ossa e teschi, a suggerire la fine che attende il giovane. Una plasticità che si mantiene anche in Tritone e Nereide di Klinger, col loro sensuale abbraccio, incapace di sciogliersi anche tra i flutti che ondeggiano.

Jean Delville, Orfeo morto, 1893. Bruxelles, Musées Royaux des Beaux – Arts de Belgique.

Il tema delle creature fantastiche e mostruose ritorna in Khnopff, che in Carezze allude al mito della Sfinge e di Edipo: un giovane androgino, con lo sguardo perso nel vuoto, sembra ricevere le fusa di una sfinge dal corpo di ghepardo, simbolo della lussuria. Una metafora della tentazione a cui l’uomo è sottoposto, quando è chiamato a scegliere tra il controllo di sé e il piacere.

Nel recupero di elementi del passato, c’è anche la passione per la pittura decorativa, sul modello di Mucha. L’Enigma Umano di Giorgio Kienerk ne è un esempio: il trittico raffigura tre diverse interpretazioni dell’animo umano – Il Dolore, Il Silenzio, Il Piacere – avvalendosi di personificazioni femminili. Il volto allucinato e il corpo piegato di una donna sofferente, lo sguardo scuro teso di una figura silenziosa, il sorriso ammaliante di una femmina compiacente.

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Giulio Aristide Sartorio, Le Tenebre (O tu uccidi l’insidia o resti ucciso), 1906, dal ciclo Il poema della vita umana. Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro

Sartorio torna poi assoluto protagonista con una sala a lui dedicata, nella quale si dipana Il Poema della vita umana, un’opera monumentale giocata sulle contrapposizioni tra luce e tenebra e amore e morte. Una tensione che rielabora i grandi temi della nostra esistenza nell’alternanza tra gli opposti. L’esecuzione a monocromo, a richiamare i bassorilievi di epoca romana, stupisce lo spettatore.

Concludono il percorso espositivo il gusto decorativo di Galileo Chini, principale interprete italiano della Secessione viennese guidata da Klimt, i disegni che compongono il ciclo La Parabola dei celibi di Alberto Martini e le suggestioni orientaleggianti di Vittorio Zecchin, i cui pannelli – ispirati alle Mille e una notte – sono oggi conservati a Ca’ Pesaro a Venezia, la porta d’Oriente dei secoli passati.

Ricca, ricchissima mostra quella che Milano dedica al Simbolismo perché ricco, ricchissimo è il terreno in cui affonda le radici questo movimento. Tutto il bagaglio di motivi ispiratori di questa corrente artistica non è altro che la traduzione del bisogno di evasione cui l’uomo moderno tende: un bisogno dovuto all’amara consapevolezza di non essere più al centro dell’universo, di non essere il compimento dell’evoluzione, di non saper dominare i propri istinti.

 

Simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra, a cura di Fernando Mazzocca e Claudia Zevi, Palazzo Reale, fino al 5 giugno 2016.

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