Scacco matto agli ideali: “I patrioti” di Sana Krasikov.

In Letteratura

Tre generazioni di sradicamenti, dall’America alla Russia e ritorno. Il romanzo d’esordio di Sana Krasikov, nata in Ucraina e naturalizzata americana, racconta la collisione tra il desiderio di vivere in una società (più) equa e il brutale scontro con la pratica dell’autoritarismo di Stato. In tre generazioni, la storia di una famiglia sovrastata dai meccanismi della macrostoria: una donna che lascia l’America per inseguire in Russia un ideale; l’esperienza del regime; la memoria depurata dal Kgb che suo figlio cerca di ricostruire; la scommessa ulteriore in cui si trova incagliato il nipote, che all’ideale ha sostituito l’interesse economico, e rischia di inciampare nei medesimi abissi di violenza da cui è scaturito più di mezzo secolo di infelicità familiare.

L’Impero del Male.
Per Sana Krasikov l’Unione Sovietica (e la Federazione Russa) è l’Impero del Male. Senza se e senza ma.
Nel suo romanzo d’esordio I patrioti (pubblicato nel 2017 dall’editore americano Spiegel & Grau, vincitore del Prix du premier roman étranger nel 2019 e uscito con Fazi lo scorso novembre nella traduzione di Velia Februari), protagonisti e comprimari finiscono nel tritacarne totalitario che ne spezza la parabola o, nei casi fortunati, la devia dalla sua traiettoria originaria.
Torna alla mente una vecchia battuta che girava nel Paesi del Patto di Varsavia: che cos’è il capitalismo? L’abuso di un essere umano su un altro essere umano. E il socialismo? L’esatto contrario.



Nel romanzo corrono parallele la storia dell’ebrea newyorkese Florence che, infatuata del comunismo e di un cittadino sovietico, all’inizio degli anni Trenta lascia l’America e si trasferisce a Mosca, e quella di suo figlio Julian, nato in Unione Sovietica, che dopo essere emigrato in America negli anni Settanta, torna a Mosca all’inizio del XXI secolo per un viaggio d’affari, in realtà per aprire gli armadi in cui riposano gli scheletri della sua famiglia.
Sia Florence, sia Julian hanno a che fare con i servizi di sicurezza sovietici e russi e la loro fedeltà alla patria, alla famiglia e a loro stessi verrà messa alla prova.

L’autrice descrive un mondo dove non esiste fede o valore che non possano essere traditi e punta il dito contro l’America rooseveltiana, che per il desiderio di avere buone relazioni con la dittatura di Stalin abbandonò al loro destino centinaia di americani comunisti emigrati in Unione Sovietica.

Nel romanzo, dunque, la colpa di Florence era doppia perché, oltre a essere americana, era anche ebrea.
L’unico spiraglio di luce è l’amore tra familiari. È un amore complesso, che può anche essere conflittuale o incompreso, ma è viscerale e indistruttibile e di cui tutti i personaggi di Krasikov sono informati.
L’autrice restituisce sulla pagina uno dei caratteri fondamentali della vita nell’Unione Sovietica: essere a rotazione carnefici e vittime.

In una recente intervista rilasciata a questa testata, Marija Stepanova (tra i maggiori poeti viventi ed edita in Italia da Bompiani) ricorda
che, mentre in Germania il nazismo è durato dodici anni, l’Unione Sovietica ne è durata settanta. «In Germania potevi essere carnefice, vittima o spettatore passivo. Nessun’altra possibilità. Per ogni persona che partecipava, il ruolo era chiaramente definito, ma durante i
settant’anni di Unione Sovietica si passava da un ruolo all’altro: potevi essere carnefice, poi vittima, poi spettatore passivo e poi di nuovo carnefice e di nuovo vittima. Questa giostra di ruoli ha finito per rendere tutte le persone simultaneamente vittime e carnefici.» Non
esistevano valori o condizioni stabili e rifugiarsi nel conformismo e tentare di confondersi nel gregge poteva non essere sufficiente per salvare la vita. Né bastava l’ambiguità, cioè imparare la versione ufficiale di oggi senza dimenticare quella di ieri, che poteva sempre tornare utile.
L’unica salvezza spesso era l’abuso su un altro essere umano.

(Visited 1 times, 1 visits today)