Prigionieri della famiglia: un viaggio nei labirinti dell’amore e del disamore

In Cinema, Primo piano Cinema

Set di "Lacci", regia di Daniele Luchetti. Nella foto Luigi Lo Cascio, Giulia De Luca e Joshua Cerciello. Foto di Gianni Fiorito Questa fotografia è solo per uso editoriale, il diritto d'autore è della società cinematografica e del fotografo assegnato dalla società di produzione del film e può essere riprodotto solo da pubblicazioni in concomitanza con la promozione del film. E’ obbligatoria la menzione dell’autore- fotografo: Gianni Fiorito.

Tre coppie di protagonisti (Alba Rohrwacher e Luigi Lo Cascio; Laura Morante e Silvio Orlando; Giovanna Mezzogiorno e Adriano Giannini) per mostrare in “Lacci” di Daniele Luchetti 40 anni di vita da marito, moglie e due figli. Un racconto rabbioso e pensoso tra tradimenti e dolori, veleni e conflitti

È tratto dal romanzo omonimo di Domenico Starnone, Lacci, il nuovo film di Daniele Luchetti, scelto per aprire l’ultima Mostra del Cinema di Venezia e accolto con qualche malumore, forse per un eccesso di severità. A Napoli, agli inizi degli anni 80, una famiglia quasi felice (o passabilmente infelice come tante) va in mille pezzi dopo che il capofamiglia Aldo (Luigi Lo Cascio) si fa venire la malaugurata idea di confessare un tradimento (probabilmente l’ennesimo) con l’aria tranquilla di chi si aspetta un facile perdono. Così non sarà, perché la moglie Vanda (Alba Rohrwacher) lo butta fuori di casa, e subito dopo si butta da una finestra.

Le ferite sono profonde, sia fisiche che psicologiche, e sono destinate a non rimarginarsi mai, ma tutti in qualche modo sopravvivono, chi fuggendo e chi implodendo. E la vita va avanti, portando in sorte ai due protagonisti (che da un certo punto in avanti avranno i volti di Laura Morante e Silvio Orlando) un tardivo riavvicinamento che ha il sapore della trappola e che si chiude senza pietà, sui colpevoli come sugli innocenti. Ammesso che qualcuno sia davvero del tutto privo di colpe.

Intanto i bambini ci guardano, inevitabilmente. Osservano in silenzio il mondo degli adulti, spesso reticente, a volte minaccioso, in gran parte incomprensibile. E crescono, cercando di imparare a stare in piedi anche da soli, a tratti ricucendo pietosamente le vecchie ferite, altre volte spargendo sale e veleni. Ed è sullo sguardo dei figli (che da adulti diventano Adriano Giannini e Giovanna Mezzogiorno) che il film si chiude, sotto il segno della disillusione e della riconciliazione impossibile.

È un racconto pensoso e rabbioso, costruito per punti di vista contrapposti, forse con qualche semplificazione nell’ultima parte, ma in generale con una notevole capacità di mettere in scena il complesso intreccio di inganni e reticenze, affetti, rancori e dolori che colorano (e lacerano) la vita di molte famiglie. Un melodramma raffreddato, che non insegue l’empatia ad ogni costo ma si confronta piuttosto con i labirinti dell’amore e del disamore, con la sgradevolezza dei sentimenti, con l’incapacità tutta umana di vedere quello che spesso abbiamo semplicemente sotto gli occhi.

In un arco di tempo lunghissimo, quarant’anni o giù di lì, il film (e prima ancora il libro di Starnone, che ha collaborato anche alla sceneggiatura insieme a Francesco Piccolo) sintetizza momenti esemplari ed esplora conflitti, bisogni e abitudini, mostrando come i legami famigliari siano indissolubili, nel bene come nel male. Il titolo stesso è una dichiarazione d’intenti: Lacci, come a dire che non c’è scampo. Qualunque cosa decidiamo di fare o non fare, restiamo comunque prigionieri.

Lacci, di Daniele Luchetti, con Luigi Lo Cascio, Alba Rohrwacher, Laura Morante, Silvio Orlando, Adriano Giannini, Giovanna Mezzogiorno, Linda Caridi

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