Officina Malanotte, Arte e vino tra ricerca e tradizione

In Arte

Fino al 29 giugno 2025 è possibile visitare la mostra conclusiva della quarta edizione di Officina Malanotte, la residenza artistica ospitata dalla tenuta Bonotto Delle Tezze a Tezze di Piave, nella campagna della Marca trevigiana, curata da Daniele Capra con la direzione artistica di Nico Covre. I protagonisti del progetto sono Romina Bassu, Andrea Kvas, Matteo Negrie Pierluigi Scandiuzzi, che hanno trascorso tre settimane nella tenuta conducendo liberamente la propria ricerca grazie a un progetto voluto dalla famiglia Bonotto per coniugare il territorio e la cultura del vino con le capacità di sperimentazione e contaminazione proprie del linguaggio artistico contemporaneo.

La casa di mia zia, nella campagna veneta, non ha mattoni: è tenuta insieme dalla paglia e dalla famiglia. Come nel caso del primo dei tre porcellini, l’edilizia rurale si affida a un impasto fragile e affettuoso di paglia, cemento, stucco e intonaco. E anche la residenza artistica ospitata dalla tenuta della famiglia Bonotto sembra trovare il suo equilibrio tra un immaginario bucolico e una pratica artistica genuina, come dimostra l’esposizione conclusiva della quarta edizione di Officina Malanotte, che si è aperta al pubblico sabato 31 maggio nella campagna trevigiana.

Officina Malanotte, 2025, Bonotto Delle Tezze, Vazzola, foto Nico Covre

Gli spazi della tenuta Bonotto Delle Tezze non si offrono come una galleria neutra, ma come un corpo vivo: qui l’arte si insinua come un ospite ben accolto, ma anche come un elemento disturbante, che mette in discussione gli equilibri visivi e i gesti quotidiani. E la mostra finale di Officina Malanotte è il frutto di tre settimane di residenza vissute intensamente da quattro artisti — Romina Bassu, Andrea Kvas, Matteo Negri e Pierluigi Scandiuzzi — che hanno abitato il luogo non come semplici visitatori, ma come temporanei custodi e interpreti.

Romina Bassu a Officina Malanotte, 2025, Bonotto Delle Tezze, Vazzola, foto Nico Covre

Bassu dipinge donne che sembrano uscite da un set, ma senza maschere: presenze teatrali che non recitano, ma resistono. Nella sua narrazione, il frutto/anguria diventa un ventre rigonfio di maternità. I suoi soggetti non esprimono un’emotività immediata, e il lavoro non suggerisce una chiave di lettura univoca. È pittura che fotografa attimi in tensione nella vita privata di donne isolate, costrette a un domicilio forzato. Arte consapevolmente femminile e performativa, che adotta un tono sommesso, interiore, eppure politicamente carico, senza però offrire interpretazioni guidate al pubblico.
Un lavoro, quello di Romina, che prende da tempo in considerazione le dinamiche familiari e che trova non casuale, anche se non voluta collocazione negli spazi abitativi di una casa degli anni ’50.
Le donne di Romina non hanno tempo: vivono in un presente sospeso, e nella sua pittura non vi è alcun dettaglio che tralasci l’erotismo o riconduca chiaramente a un periodo storico preciso.
Bassu porta avanti una ricerca coerente sulla rappresentazione femminile, attraverso una serie di dipinti intensi e delicati, in cui la figura della donna emerge come fragile attrice di un’esistenza sospesa tra malinconia e resistenza.

Andrea Kvas a Officina Malanotte, 2025, Bonotto Delle Tezze, Vazzola, foto Nico Covre

Andrea Kvas, al contrario, lavora per sottrazione narrativa. Costruisce una dimensione astratta fatta di stratificazioni e interazioni chimiche dove il caso e la materia diventano protagonisti.
Dipingendo orizzontalmente, con materiali non convenzionali e tecniche alchemiche, Kvas genera superfici sgargianti, futuristiche, che instaurano una strana danza con le pareti grezze della tenuta.
Le sue tele di piccolo formato, disseminate in diversi angoli della residenza, costringono lo spettatore ad abbandonare la frontalità e a scoprire nuove modalità di visione, relazionandosi con volumi e corpi estranei che affiorano dalle superfici.
Sono immagini in transizione, che si rifiutano di diventare icone e chiedono di essere guardate di lato, in controluce, in silenzio. La pittura, per Kvas, è un laboratorio alchemico in perenne trasformazione.

Matteo Negri a Officina Malanotte, 2025, Bonotto Delle Tezze, Vazzola, foto Nico Covre

Matteo Negri ha una presenza scenica che esula dal suo lavoro: una figura carismatica, che per necessità pratiche si è ritrovata a isolarsi dal resto del gruppo, creandosi un laboratorio il più vicino possibile a una fonte d’acqua. Negri dialoga con il luogo in modo curioso e giocoso: realizza calchi, accosta oggetti, scolpisce forme improbabili — carciofi, asparagi, bottiglie.
Così come nell’opera Man de Toni, con la mano del viticoltore che regge una bottiglia capovolta — una sorta di readymade affettivo, una statua votiva della manualità, dell’artigianato, del gesto ripetuto — anche in altri lavori l’artista traduce oggetti comuni in sculture, trasformandoli in reliquie della vita contadina. La sua boa in gesso si ispira all’antica pratica della pesca con seragia nella laguna di Venezia e, accostata al calco della mano del titolare dell’azienda, diventa un piccolo monumento affettuoso a una ruralità ormai poco tramandata.

Gianluigi Scandiuzzi a Officina Malanotte, 2025, Bonotto Delle Tezze, Vazzola, foto Nico Covre

E infine, ultimo ma non ultimo, l’evidente ironia domestica di Gianluigi Scandiuzzi, le cui nature morte e paesaggi en plein air – con cornici dipinte all’interno della tela – giocano con l’idea dell’arte come arredamento, come “quadro da salotto”. Come le icone amatoriali di Cristo che mio nonno, da che ne ho memoria, dipinge e dissemina nelle case dei parenti. E come Quel maledetto gatto di Scandiuzzi, che è più di una scena dipinta: è una presenza ossessiva e comica, come quei soprammobili, quelle buone cose di pessimo gusto che tutti, prima o poi, incontriamo nelle nostre case.
Nella serie degli Still life, invece, gli oggetti si dispongono sul piano pittorico come tracce di un passato, un ragionamento archeologico che riporta alla luce i reperti di un’Italia non ancora dimenticata, fatta di province e abitudini. Non c’è volontà di ordinare ma di registrare, con la leggerezza e la profondità dei migliori diari visivi.

Da sinistra: Matteo Negri, Andrea Kvas, Pierluigi Scandiuzzi e Romina Bassu davanti all’opera murale collettiva A ray of love lock, Officina Malanotte, 2025, Bonotto Delle Tezze, Vazzola, foto Nico Covre

Romina Bassu, Andrea Kvas, Matteo Negri e Pierluigi Scandiuzzi non si sono limitati a “occupare” un luogo: lo hanno abitato, attraversato, assorbito. Hanno lavorato in spazi non canonici — tra cantine, giardini e vecchie botteghe — trasformando la residenza in un esercizio di ascolto e costruzione collettiva. A ray of love lock, l’opera murale realizzata a più mani, è il segno tangibile — e fragilissimo — di questo equilibrio che, come un affresco in un’abitazione provvisoria, dice qualcosa di eterno con materiali effimeri.

Officina Malanotte 2025, Romina Bassu, Andrea Kvas, Matteo Negri, Pierluigi Scandiuzzi, a cura di Daniele Capra, Bonotto Delle Tezze, Tezze di Piave, Vazzola (Tv), fino al maggio 29 giugno 2025

In copertina: Gianluigi Scandiuzzi a Officina Malanotte, 2025, Bonotto Delle Tezze, Vazzola, foto Nico Covre

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