Meret Oppenheim: molto più di una musa

In Arte

Al Lac di Lugano, si celebra Meret Oppenheim, compagna di strada di Max Ernst, Man Ray e Andrè Breton: un dovuto risarcimento per una grande artista, la cui opera è stata troppo spesso messa in ombra dai colleghi per cui faceva da modella.

Il nome di Meret Oppenheim non è così familiare al grande pubblico, ma il suo viso, alcune delle sue opere fanno parte dell’immaginario collettivo, impressi nei nostri occhi, nella nostra mente, come l’intensità dello sguardo di Picasso e delle sue Demoseiilles d’Avignon.

E’ Meret Oppenheim, la modella delle foto più intense e inquietanti di Man Ray; ma sua è Le déjeuner en fourrure, la tazza e il cucchiaio impellicciati, uno dei più celebri esempi del movimento surrealista comprato dal Moma di New York nel 1936 e ancora esposto, suo è il Tisch mit Vogelfüssen, il tavolo dorato con zampe d’uccello, presente nei negozi d’arredo e nelle case più chic.

 

Meret Oppenheim, Tisch mit Vogelfüssen (Tavolo con zampe d‘uccello), 1939 / 1982
Meret Oppenheim, Tisch mit Vogelfüssen (Tavolo con zampe d‘uccello), 1939 / 1982

 

Nonostante questi riconoscimenti ufficiali, quando pensiamo a lei, non la vediamo come un’artista, ma come la musa di Man Ray, di Max Ernst, di Marchel Duchamp, di Alberto Giacometti, di Renè Magritte, con cui s’è confrontata e che in qualche modo ha sfidato nelle sue opere.

Facciamo cioè ancora fatica a considerarla un artista, probabilmente condizionati da un retaggio di storica ritrosia nei confronti delle donne-artiste. Lei, Meret Oppenheim coi ruoli tradizionali ha sempre giocato, prendendoli in giro, sovvertendoli. Fin da ragazza.

Nel 1932, appena diciottenne, lascia Basilea, per Parigi. Qui frequenta il gruppo surrealista e l’anno dopo, su proposta di Alberto Giacometti e Hans Arp, espone al Salon de Surindèpendants.

Le sue opere sono irridenti, colorate, disorientanti come quelle dei suoi colleghi, ma quello che buca l’attenzione del pubblico e della critica sono le sue foto scattate da Man Ray.

Emblematica, quasi un manifesto di poetica, è Erotique voileé, Meret Hppenheim à la presse chez Louis Marcoussis ( 1933). Meret è nuda dietro la ruota di una pressa tipografica, il volto inclinato come quello della Melanconia di Dürer, braccio e mano ripiegati sulla fronte e dipinti dell’inchiostro per stampare. Il manico della ruota, come il manico di un coltello, come un pene, è all’altezza del suo sesso.

Man Ray, Erotique voilée, Meret Oppenheim à la presse chez Louis Marcoussis 1933
Man Ray, Erotique voilée, Meret Oppenheim à la presse chez Louis Marcoussis 1933

Nello stesso periodo interpreta e gira con Man Ray un breve filmato quasi inedito, proiettato in mostra, in cui la si vede fumare impassibile mentre lui, disperato, non si decide mai a bere da un bicchierino da liquore; finalmente lui ingoia il liquido e si schianta sul tavolino; lei continua a fumare imperturbabile.

Nella vita, Meret ha appena cominciato una relazione con Max Ernst. Allora lui aveva quarantadue anni, ventidue più di lei. La Oppenheim ne parla nel corso di un’intervista degli anni Ottanta, che possiamo vedere in mostra.

Ha i capelli grigi cortissimi, il viso segnato, ma è di un’intensità e di una bellezza ancora straordinari. Dice di aver lasciato Max Ernst in un bar pieno di gente, così era meno complicato, non ci sarebbero state reazioni. La relazione durava già da un anno, lui era celebre, affermato, al culmine del successo, aveva fatto il suo percorso, lei l’aveva appena intrapreso, doveva dedicarci tutte le sue energie e un legame così le impediva la sua indipendenza.

Il percorso espositivo si sviluppa in sezioni tematiche, ognuna delle quali mette in luce un diverso aspetto e momento del suo processo creativo: dal rapporto di intenso scambio di idee che intrattenne con i colleghi dadaisti e surrealisti, alle composizioni astratte degli anni Settanta. La mostra si apre con le sue opere messe a confronto con gli ingombranti compagni d’arte e di vita.

Il percorso prosegue con oggetti come tazze, boccali, scarpe e guanti che, come fossero entità animate, manifestano i segni di una vita propria, sviluppando pelliccia o coda, vene e capillari o unendosi in baci appassionati, piuttosto che ostentando una mostruosa unione siamese.

Incantevole un acquarello Sandals pour Schiapparelli del 1936 con un sandalo di pelliccia da cui spuntano affusolate dita umane, cui potrebbe essersi ispirato René Magritte per Le modèle rouge del 1947, due stivaletti in pelle che diventano, sfumando, piedi umani.

Meret Oppenheim Sandals pour Schiaparelli (Projekt für Sandalen) 1936
Meret Oppenheim Sandals pour Schiaparelli (Projekt für Sandalen) 1936

Il Guant de femme aussi di Andrè Breton in bronzo dorato del 1928 potrebbe aver ispirato da lontano la Oppenhiem in Hanshuhe (Paar), del 1985: una coppia di guanti di capretto bianco è percorsa da sottili filamenti ricamati di vene rosa intenso. La composta, funebre classicità dei guanti di bronzo di Breton, acquista vita vegetale, animale, umana nei delicati, morbidi guanti viventi della Oppenheim.

Le sale successive mostrano dipinti in cui l’artista si trasfigura prendendo le sembianze di personaggi fiabeschi o legati al mito: la donna serpente, la donna uccello, la donna di pietra, visioni della terra e del cielo primordiali, misteriche.

C’è poi una sezioni di ritratti e autoritratti del suo cerchio magico, che mostrano la loro passione per il travestimento, l’allusione, il sogno. Un’altra sala è dedicata proprio al Carnevale.

Si tratta di maschere, sculture, dipinti, allestimenti creati in occasione dei celebri Carnevali di Berna e Basilea, pensati per rivelare gli aspetti più reconditi della personalità di chi li indossa.

L’esposizione si conclude nella scenografica sala a punta del Lac, con le pareti di vetro che si affaccia sul lago, pronta a tuffarcisi dentro. Al centro si erge – tra cielo e mare – la grande Fontana di Ermete in gesso policromo e metallo, raffigurante un serpente a due teste che si avviluppa intorno a un melo d’oro.

 

 

Meret Oppenheim. Opere in dialogo da Max Ernst a Mona Hatoum, Lugano, Lac, Museo d’Arte della Svizzera Italiana, fino al 28 maggio.

Immagine di copertina: Meret Oppenheim, Handschuhe (Paar) (Guanti – paio), 1985.

 

 

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