Nel Pantheon della vacuità

In Arte

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La mostra Mito e natura a Palazzo Reale dimostra come sia possibile fare una mostra brutta nonostante i capolavori esposti: il segreto è l’allestimento…

Sembra non esserci fine alle brutture che attraversano alcune sale di Palazzo Reale sotto il segno di Expo Milano 2015. Dopo l’infelice remake di Arte Lombarda dai Visconti agli Sforza, al piano terra del medesimo museo va in scena una mostra di archeologia greca e romana che sussurra idee fragili in un allestimento terrificante. Mito e Natura. Dalla Grecia a Pompei, questo il titolo dell’esposizione, ha tutti gli ingredienti necessari per inserirsi nel pantheon delle recenti kermesse milanesi: prodotta e organizzata da Palazzo Reale con il sostegno della casa editrice Electa, promossa dal Comune di Milano e patrocinata dal Mibact, vanta circa 200 opere concepite dal VIII secolo a.C. al II secolo d. C., tra l’antica Grecia e il mondo pompeiano.

Eppure grandi opere non sono sinonimo di grandi mostre, infatti, ancora una volta, il nutrito corpus di reperti raccolti a Palazzo, tra cui molteplici capolavori prestati da importanti musei italiani e internazionali, rimangono profondamente snaturati a una corretta fruizione e gettati senza dibattito di ricerca in un congegno espositivo che sembra non curarsi di loro. L’evento ruota attorno alle diverse forme di rappresentazione della natura nel mondo antico; sei sezioni si snodano in ordine temporale, scandite per micro-concetti che navigano nell’orbita del generico: “Lo spazio della natura”, “La natura come segno. Metafore e personificazioni”, “La natura coltivata dono degli dei”, “Il giardino incantato” e così via.

Tomba del Tuffatore, intorno al 480 a.C. Paestum, Museo Archeologico Nazionale.
Tomba del Tuffatore, intorno al 480 a.C. Paestum, Museo Archeologico Nazionale.

Nelle prime sale l’età arcaica è celebrata da statue, terrecotte votive, vasi a figure nere, ma l’allestimento sembra collaudato per una wunderkammer di Bulgari: ogni singolo pezzo è incastonato su mensole scavate in una ingombrante muratura color amaranto. Reperti che dovrebbero essere letti a tutto tondo, costretti a rivelare solo alcune porzioni perché trincerati in nicchie quasi inaccessibili. Davanti alla lastra tombale del Tuffatore c’è appena il passaggio per tre persone. Ben presto le ardite architetture espositive si divorano le opere: i cartellini (alcuni sbadatamente esistono senza cimelio e viceversa) sono delle patacche di italiano/inglese-inglese/italiano appiccicate alle teche quasi fossero l’oggetto in questione. Una proiezione di alberi spogli che emanano vampate giapponesi e autunni gotici incornicia la sala della “natura come dono degli dei” dove, al centro, polverose vetrine circondano un costosissimo carro con un’altissima piramide di spighe.

In mostra sono presenti oggetti meravigliosi certo, come la statua di Trittolemo da Santa Maria Capua Vetere, l’anforisco (tappo per chiudere anfore) detto Vaso blu con la scena degli Eroti vendemmianti, o il bassorilievo con Eracle e la Cerva proveniente dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, ma il risultato è un accrocchio di reperti stucchevole e confuso. E a nulla sembra valso l’intelligente esercizio museografico che Salvatore Settis andava facendo quest’estate alla Fondazione Prada con Serial Classic: una trattazione rivoluzionaria dell’arte classica.

Anfora con eroti vendemmianti, età claudia, Napoli, Museo Archeologico Nazionale
Anfora con eroti vendemmianti, età claudia,
Napoli, Museo Archeologico Nazionale

Nelle ultime sale, la pittura pompeiana non è assolutamente visibile salvo affacciarsi da balaustre di cartone con delle feritoie dove non passa nemmeno il fucile. Addirittura l’affresco raffigurante Ulisse e i Lestrigoni è in parte nascosto dietro uno di questi séparé. La summa poetica dell’esposizione pop up è la rievocazione del viridario romano, ovvero il giardino della domus caratterizzato da una moltitudine di piante dalle svariate proprietà; ed ecco che nel piccolo spazio retrostante Palazzo Reale, spicca un accostamento anonimo di piante in vaso tra cui sono parcheggiate le biciclette dei custodi. Appena prima del bookshop esiste un’ultima sala “sette”, una sorta di installazione-cadeau dell’architetto, con tre nature morte di De Pisis degli anni Trenta, tutte provenienti dalla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma che stanno lì a significare le corrispondenze nella simbologia della natura, antica e presente.

Mito e Natura. Dalla Grecia a Pompei curata dalla pur riconosciuta studiosa Gemma Sena Chiesa coadiuvata da Angela Pontrandolfo e allestita improvvidamente da Francesco Venezia stabilisce il primato della vacuità museografica nel centro di Milano.

 

Mito e Natura. Dalla Grecia a Pompei, a cura di Gemma Sena Chiesa e Angela Pontrandolfo, fino al 10 gennaio 2016

Immagine di copertina: Affresco da Pompei, Casa del Bracciale d’Oro, età giulio-claudia. Courtesy Palazzo Reale

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