Il luogo dove vittima e mostro si mescolano: Mattia Grigolo, “La raggia”

In Letteratura

In un Sud arcaico un meccanismo di colpa ed esilio si ripete tra padre e figlio: “La raggia” è l’esordio di Mattia Grigolo per Pidgin. Un libro ricco e complesso, come l’ambiente all’interno del quale è nato: quello degli scrittori italiani a Berlino.

Che cos’è una vittima? Che cos’è un mostro? Nel suo libro di esordio, La raggia (Pidgin Edizioni, 2022), Mattia Grigolo indaga quel luogo oscuro dove vittima e mostro sono fusi in un’unica persona.

René Girard ha chiamato meccanismo vittimario quel farmaco a disposizione di ogni comunità per superare le crisi che rischiano di distruggerle e ritrovare la concordia: la persecuzione di una vittima rea dei peggiori abomini e la sua espulsione dalla comunità. Secondo Girard il meccanismo è vecchio quanto il genere umano e funziona indipendentemente dalla reale colpevolezza della vittima: è necessario e sufficiente che ne siano unanimemente convinti i carnefici. Ne L’antica via degli empi (Adelphi, 1994) Girard presenta il Libro di Giobbe come l’unica opera letteraria che contenga contemporaneamente il punto di vista dei persecutori e quello della vittima: da una parte ci sono i tre notabili Elifar, Zofar e Bildad, così sicuri della colpevolezza del loro (ex) amico, che vogliono convincerlo a dichiararsi colpevole, e dall’altra Giobbe, che protesta la propria innocenza. Il testo biblico è tanto più singolare perché la vittima designata riesce in qualche maniera a spezzare il meccanismo, mentre nei miti, come nella realtà, la vittima soccombe, spesso credendosi colpevole dei crimini che le si imputano e addirittura collaborando con i propri carnefici (pensiamo a Edipo e alla shoah, come documentato da Hannah Arendt). Anche nella novella di Grigolo assistiamo al meccanismo della persecuzione ed espulsione dal punto di vista della vittima, ma, a differenza di Giobbe, il giovane protagonista de La raggia crede alla propria colpevolezza di fronte alla comunità e finisce per commettere il crimine che sancisce la sua espulsione: il femminicidio.

«È la raggia rabbia che c’ho dentro perché c’ho solo quella e niente di altro. La rabbia che è mia e viene fuori nel momento sbagliato senza che me ne posso accorgere. Che poi è la stessa rabbia che c’ha quella bestia, che me l’ha passata con sangue suo e le bastonate botte.»

La novella ci porta in un Meridione selvaggio ancora più a sud di Eboli. Il protagonista, di cui ignoriamo il nome, vive in un tugurio con il padre nel bosco vicino al paese. Il padre è il doppio del protagonista: come lo sarà il figlio, così il padre è stato vittima di un’espulsione, anche il suo abominio è la raggia (è a causa della raggia che la moglie l’ha abbandonato) ed è così convinto della propria colpevolezza che si esilia dalla comunità, abbandonando il paese e ritirandosi con il figlio nel tugurio. Non è una coincidenza che il femminicidio avvenga presso il fiume dove il padre pesca di frodo: il fiume, come oasi protetta, è un luogo tabù, interdetto agli esseri umani e sacro in senso girardiano, l’altare ideale per il sacrificio.

«Ho lanciato dei fiori nel fiume. Fiori da niente che ho trovato sul sentiero, ma li ho lasciati per ricordo e perché sento la colpa. Me la sento sempre addosso che mi gratta e mi parla.»

Ne La raggia il personaggio del maresciallo dei carabinieri rappresenta il punto di vista dei persecutori. A differenza di Elifar, Zofar e Bildad, che credono nella reale colpevolezza di Giobbe, il maresciallo dei carabinieri crede sì che il protagonista abbia ucciso la sua ragazza, ma non lo considera colpevole dei peggiori abomini di fronte alla comunità, men che meno della raggia: il meccanismo vittimario è spezzato, l’espulsione del protagonista, che finisce in carcere, è inutile, non sana la crisi della comunità. Ecco perché il protagonista non ci appare come un mostro, il suo sacrificio non ci redime, né il suo femminicidio ci è di scandalo (qualcosa di analogo accade ne Lo straniero di Albert Camus, in cui l’aspetto giudiziario dell’omicidio dell’arabo da parte di Mersault viene cannibalizzato da quello morale: sconvolge più che Mersault, dopo il funerale della madre, vada al cinema con un’amica a vedere un film comico che l’omicidio che commette).

«Il maresciallo dice, Qua non gliene fotte niente a nessuno chi scompare, chi muore, chi si prende le cose degli altri e chi le cose non ce l’avute mai.»

La raggia è un testo complesso mascherato da novella scarna e breve. È raccontato in prima persona e con una non comune economia di mezzi. L’autore, che insegna scrittura creativa, è bravissimo a dire tra le righe, a suggerire e, in questo senso, l’inversione dell’ordine cronologico è assolutamente funzionale alla narrazione. La voce dell’io narrante, poi, ti entra dentro, ti scava, ti colpisce in pieno petto.

Nella letteratura italiana c’è un’opera che precede La raggia: è Tempo di uccidere di Ennio Flaiano. Anche qui il protagonista (un ufficiale dell’esercito italiano durante la guerra d’Etiopia) commette un femminicidio, ancorché involontario, e si autoespelle nella boscaglia dalla comunità (l’esercito, l’Italia); l’abominio di cui è colpevole non è la raggia, ma la lebbra (crede che l’abbia contagiato la donna che ha ucciso); c’è il conflitto con un padre, quello della donna, anche lui in qualche maniera autoespulso dalla stessa comunità (da giovane ha combattuto in Libia con l’esercito italiano e poi si è ritirato nella boscaglia) e persino un fiume tabù (in quanto popolato da coccodrilli).

«Mamma mi aveva detto che potevo prendere un pensiero brutto e metterlo dentro il fiume così che poi il fiume magari se lo portava via.»

Per l’intensa attività culturale, Grigolo è una delle figure di riferimento della comunità italiana di Berlino (nel 2014 è stato premiato come Italiano dell’Anno dall’Ambasciata italiana e dall’Istituto Italiano di Cultura): ha creato Le Balene Possono Volare, un progetto di laboratori artistici (è in questo ambito che tiene i corsi di scrittura creativa) ed eventi culturali (come la recente presentazione di Sangue di Giuda di Graziano Gala, Minimum Fax, 2022); ha fondato la rivista letteraria Eterna e, insieme al giornalista Mauro Mondello, è fondatore e direttore della rivista di approfondimento Yanez.

Negli ultimi anni è fiorita a Berlino una generazione di talenti letterari di lingua italiana. Oltre a Grigolo, pensiamo a Marco Desiati, che ha scritto a Berlino Spatriati (Einaudi, 2021), con cui ha vinto quest’anno il Premio Strega, e a Lorenzo Monfregola, autore de Gli Annegati (il Saggiatore, 2021, già recensito su questa rivista). Questi sono solo i nomi più in vista, ma a Berlino ci sono altre autrici e altri autori sbocciati all’ombra della Fernsehturm di Alexander Platz e che meritano di essere conosciuti anche in Italia!

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