“Gli annegati”: la vita seconda degli espatriati.

In Letteratura

Un tuffo in un fiume putrido: così Arthur Cipriani cambia sguardo sulla sua vita di giovane emigrato alla ricerca di affermazione a Berlino. Lorenzo Monfregola racconta in punta di penna incanti, follie e disincanti di una generazione espiantata, sul crinale del rischio più concreto e dannoso: finire per non ricordarsi di sé. “Gli annegati”, pubblicato da Il Saggiatore, è un romanzo che rivela la lotta quotidiana di una generazione in bilico tra sopravvivenza ed esistenza.

Il fiume puzza del mondo intero e io ci sto affogando dentro. L’acqua è scura, è verde, è viola, sta bruciando, è cattiva. Sento i rumori, sento le voci, sento le risate della città che se ne sta là fuori a vivere. Mentre io sto per crepare, qui, adesso.

Arthur Cipriani è caduto nella Sprea, il fiume che attraversa Berlino. In qualche maniera raggiunge la riva e si mette in salvo.
Cominciano così Gli annegati di Lorenzo Monfregola (Il Saggiatore, 2021) e la seconda vita dell’expat trentenne Arthur Cipriani.
Nella Sprea è rimasto il suo passato. Quello che esce dalle profondità del fiume è un uomo libero da superfetazioni ideologiche e condizionamenti sociali, un uomo che comincia una ricerca e attraversa Berlino con una lucidità e un’autenticità che i suoi abitanti hanno perso, passando per performances artistiche estreme, orge e rave parties.

Troviamo subito due delle tre chiavi di lettura del romanzo. La terza la capiremo solo alla fine, mentre le prime due sono immediate.
La prima è quella picaresca: Gli annegati si legge come un continuo salto dalla padella nella brace del protagonista tra fughe e incontri casuali tra appuntamenti su Tinder e coiti interrotti, in cui Monfregola dispiega tutta la sua potenza di fuoco narrativa. Sarà anche il livello più superficiale, ma è godibilissimo e il ritmo indiavolato trascina il lettore dalla prima all’ultima pagina. Non ci troviamo di fronte né a un’opera ombelicale di autofiction, né a un saggio di vanità autoriale e tormenti letterari. Anzi, l’autore è bravissimo a nascondere il labor.

La seconda chiave è quella politica: Gli annegati restituisce l’ecosistema sociale degli expats di Berlino con le loro sovrastrutture dottrinarie. Tra le scene più gustose del romanzo ci sono i dialoghi graffianti tra personaggi che incarnano posizioni inconciliabili e che, puntando il dito contro la pagliuzza nell’occhio dei loro interlocutori, finiscono per mettere a nudo la trave nei propri. Le contraddizioni degli expats le vediamo attraverso gli occhi di Arthur, che le riconosce proprio per essere uscito disintossicato dalla Sprea, ad esempio quando incontra i drogati di lavoro, i nuovi servi della gleba del successo professionale.

I contatti sono una questione di vita o di morte. Soprattutto se sei un giovane determinato, pronto-per-new-challenges, keen-to-learn, able-to-work-alone-or-in-a-team, capace di muoverti in un ambiente-dinamico, dove poter crescere, e crescere, e crescere. E quando ce l’avrai fatta, scriverai su LinkedIn uno di quei post autocelebrativi sul tuo percorso dalla laurea fino alla tua nuova position, con la gioia di un archeologo che ha trovato Atlantide contro tutto e tutti, quando invece hai solo un cazzo di lavoro pagato dignitosamente. E farai bene a essere contento! Qualche migliaio di euro, un contratto della casa senza problemi, guardare il menu del sushi senza scegliere il piatto meno costoso: come si fa a dire che questa non sia la vita?

L’essere umano è ridotto a una macchina, a erogatore di prestazioni misurabili, sia nell’ambito lavorativo, sia nell’ambito sessuale (come nell’episodio dell’orgia).
Monfregola non dimentica però che, oltre alla classe dei figli di con appartamento e mensile passati dai genitori, c’è la classe di chi ha scelto Berlino anche per un riscatto economico, come Giulio.

Quando l’ho conosciuto, cinque anni fa, Giulio si spaccava ancora il culo in nero in un ristorante italiano, uno di quelli dove ti sfruttano senza pietà, perché non sai una parola di tedesco, poi però ha trovato lavoro in un mega-hotel, là si occupava di riempire i frigobar delle stanze e cose così, andava in giro per i piani con un carrellino. Ora ha trovato quest’altro lavoro [in un centro logistico, ndr], che a dire il vero a me sembra più duro di quello all’hotel, ma lui non si vuole lamentare: c’è gente in Italia che pagherebbe per un posto così, con i soldi della disoccupazione garantiti, eccetera, eccetera.

Grande attenzione nel romanzo è data alla geografia urbana perché, se c’è una città a rischio sineddoche, quella è Berlino.
Berlino è divisa in ventitré Stadtteile (quartieri), ma la rappresentazione corrente degli expats (e non solo) riduce, con poche eccezioni, la città a sei: Pankow, Prenzlauer Berg, Mitte, Friedrichshain, Kreuzberg e Neukölln.

Alexanderplatz non c’entra un cazzo: Alexanderplatz non c’entra mai niente: quella se ne sta là, in mezzo, serve solo alle cartoline.

In realtà Alexanderplatz non si trova in mezzo, anche se appartiene allo Stadtteil Mitte. Alexanderplatz è il polo orientale della città, mentre l’altra metà della città orbita intorno a quello occidentale, il Ku’damm.

Coerentemente con la visione dei personaggi, a parte due brevi puntate ai confini urbani, l’azione del romanzo si concentra solo in quei sei Stadtteile. È significativo che la ricerca intrapresa da Arthur appena uscito dalla Sprea lo conduca fuori da questa porzione di città, a Marzahn, uno Stadtteil orientale costruito negli ultimi anni della DDR come fiore all’occhiello urbanistico e, dopo la riunificazione, assurto a quartiere simbolo del fallimento dell’integrazione degli ex tedeschi dell’est e divenuto focolaio di malcontento sociale e neonazismo (come descritto proprio da Monfregola in un articolo di qualche anno fa).

Qui troviamo l’ultima e, a nostro avviso, definitiva chiave di lettura del romanzo: quella spirituale. La quête porta Arthur non alla Berlino glamour dei corsi di yoga e del life coaching, ma alla pietra d’inciampo, allo scandalo che rappresenta Marzahn. Capiamo che la caduta e l’uscita dalla Sprea sono un battesimo, inteso non in senso confessionale, ma come passaggio dalla vecchia vita alla nuova, dal disordine all’ordine attraverso la morte, perché solo un uomo nuovo disinteressato e senza vanità è pronto all’incontro. Capiamo allora che la ricerca di Arthur, che all’inizio conduce senza sapere cosa cercare, lo porta a raggiungere un valore non caduco, incorruttibile, sacro, che lo trasfigura definitivamente.
L’Amore.

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