Vivere è amare: ma che difficile. Tema e variazioni

In Letteratura

Al femminile, tre libri (molto diversi) si pongono come obiettivo la restituzione intera dell’esistenza: attraverso l’autobiografia di una donna rom (Marianna A., “Spirito libero e sangue caldo”, pubblicato da Ediciclo), una raccolta di racconti (“Skyline”, firmata da Annalisa Bruni per Cleup), un romanzo che si interroga sulla verità (Elena Mearini, “I passi di mia madre”, Morellini).

Un documento umano, una raccolta di racconti, un romanzo mistico: tema e variazioni dalle novità dei piccoli editori. Che scelgono di avventurarsi anche in territori poco frequentati. Una scelta di titoli della stagione in corso. Con un filo unico: amare è difficile quanto vivere. E scambiando l’ordine dei fattori, come si sa, il risultato non cambia.

Marianna A. Spirito libero e sangue caldo (Ediciclo editore)

Perdere tutto, sempre. E continuare a spostarsi per cercare, sempre. 

Non è un libro senza nome, questo, anche se l’identità della sua autrice e protagonista è giustamente protetta. È, invece, Spirito libero e sangue caldo, un libro che ha i nomi di tutte quelle che, come Marianna, non hanno avuto (o non hanno) la possibilità di raccontarsi.
Il fatto che si tratti di una autobiografia in vita non è secondario.
Come non lo è il fatto che un editore abbia deciso di investire su questo manoscritto, che per parecchio tempo ha resistito fuori dagli scaffali fino a diventare quello che ora è. Un atto di rispetto, di coraggio, e di volontà insieme: schierarsi dalla parte di chi non ha, normalmente, voce, è di conseguenza la postura  che, per riflesso incondizionato, assume chi decide di entrare in queste pagine vivide e imperfette, avventate, brutali, resistenti e mai arrese. 

Ci sono varie cose che la scrittura può fare, esistendo: una è dare corpo a una vita altrimenti invisibile; l’altra è diventarne testimonianza. 
Marianna A. è diventata voce, e la sua voce è fatta di lune, di fuochi, di profumo di fiori selvatici, di violenza aspra, di riti antichi, di maternità, di fame, di inverni contro cui resistere, di baracche e stanze e tende e case e solo cielo sopra la testa, del matrimonio come illusione e poi dannazione e ancora illusione, di botte prese fino a farsi scarnificare l’anima, di amore filiale, di tradimento, di sorrisi di bambini e di gonne riempite di musica e di ballo, di fughe, di angoscia, di confini e respingimenti, di affetti separati. 

Di una decisione nutrita nonostante tutto: salvarsi. 

Scrive Santino Spinelli nella postfazione: non tutte le vite rom sono così. E però quella di Marianna sì, lo è stata.
E come la sua altre. 

Questo documento letterario ne è il dono: la possibilità di conoscere, capire un po’ di più, ascoltare di fila, in un unico respiro, l’esistenza di una donna, di una camminante, di una madre, sopravvissuta sempre con orgogliosa umanità.

”Ho capito che la mia libertà non ha prezzo, e non è che la scrivo solo su un pezzo di carta, come sto facendo adesso, ma la sento nel mio cuore e nella mia anima”.

Elena Mearini, I passi di mia madre (Morellini Editore)

Quando Agata ha tredici anni, sua madre un giorno esce di casa per scomparire per sempre. Nelle vite di padre e figlia abbandonati il vuoto diventa legame e insieme inconfessato senso di colpa. 

Tra i due, Agata sarà la più danneggiata; la vediamo fin dalle prime scene intossicata di una duplice assenza: da una parte quella della madre, dal fascino della quale da ragazzina non ha fatto in tempo ad emanciparsi, ma di cui subisce l’indecifrabile decisione di andarsene; dall’altra, ormai adulta, quella dell’amante, che la usa a piacimento, tenendola costantemente in ostaggio dei suoi tempi, ridimensionata e sotto la minaccia di ulteriore abbandono. 

L’ansia di controllo e la mistificazione fanno il resto: Agata vuole apparire ciò che non è agli occhi di suo padre, riparare il trauma che li accomuna con l’apparenza di una vita riscattata alla normalità. 
Dentro di sé, però, frana nelle ossessioni. 

“Ho iniziato a divorare libri a tredici anni, nell’estate in cui mia madre è uscita di casa per non tornare più. Già allora avevo compreso che avrei avuto bisogno delle bugie per vivere”. 

La ricerca di un amore mancato – così il sottotitolo – diventa scrittura, quando Agata si decide a mettersi al computer a immaginare, come in un romanzo, ciò che la vita di sua madre è diventata dopo che se ne è andata, facendo della scrittura la sua terapia. 

Annalisa Bruni, Skyline (Cleup editore)

Una donna e la sua immagine, un marito tirannico che cambia versione per non ammettete il proprio errore, una moglie che scopre il tradimento del marito e decide di andare fino in fondo, il non autore di un capolavoro che nessuno ha letto ma su cui tutti si sentono obbligati a dire la propria. E poi, ancora, donne che non possono uscire dall’ossessione della lettura, neobovary che cercano lo strappo per tornare a vivere…

I sedici racconti che compongono lo Skyline umano di Annalisa Bruni sono tutti sintonizzati sul canale della contraddizione emotiva e del doppio: uno sdoppiamento di punti di vista, una divaricazione tra realtà e desiderio, una duplicazione di volontà e possibilità. 

Lo scarto, la sorpresa, la deviazione dalle aspettative sono il nervo di queste narrazioni brevi. 
Ma sono scarti, sorprese e deviazioni trattenute da una realtà che – come un cielo intenso – tutto copre, costringendo le voci a ribellioni di una frase, un motto, un rigo appena. 

“Il destino nei personaggi di carta è come quello degli uomini: non cambia. Tra mondi possibili e mondi reali c’è un patto: che il destino, nelle sue infinite incidenze e coincidenze, va accettato nel momento in cui si compie”. 

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