Alla ricerca del padre in un mondo di maschi alfa

In Letteratura

I banchi dei parlamenti, i palchi, gli studios cinematografici e i siti internet (a partire dai porno) ci consegnano esempi maschili e non paterni. Eppure, se c’è una distinzione impellente e necessaria da comprendere e operare, ora, è proprio quella fra l’autorità paterna progettuale e gli autoritarismi fini a sé stessi. Ne abbiamo parlato con lo psicoanalista Luigi Zoja, che sul tema ha pubblicato “Il gesto di Ettore”. Ma non solo.

Ecco perché ad oggi abbiamo assoluto bisogno di padri e non di maschi-alfa. I banchi dei parlamenti, i palchi, gli studios cinematografici e i siti internet (a partire dai porno) ci consegnano esempi maschili e non paterni. Eppure, se c’è una distinzione impellente e necessaria da comprendere e operare, ora, è proprio quella fra l’autorità paterna progettuale e gli autoritarismi fini a sé stessi. A fronte dell’attuale riscossa dei leader politici maschili, dei Padri-Padroni, esiste un altro modello, decisamente diverso, che è in grado di oscillare dolcemente fra le due polarità che ne compongono l’identità (la forza e la dolcezza, la passionalità e il raziocinio).

Questo modello è, appunto, il padre.

Questo, in sostanza, ciò di cui parla lo psicoanalista milanese Luigi Zoja nel suo libro Il gesto di Ettore (Bollati Boringhieri). Ex presidente del Centro Italiano di Psicologia Analitica e insegnante presso lo Jung Institute di Zurigo, Zoja ribadisce l’attuale bisogno sociale di modelli paterni.

Ad oggi, questa fondamentale figura archetipica, sta svanendo sotto i colpi dei machismi d’ogni tipo: i modelli, i politici, i calciatori o i cantanti che ascoltiamo ci restituiscono troppo spesso paradigmi maschili, non paterni.

La regressione da padre a maschio è infatti ciò contro cui lottano i padri di tutti i tempi. Il loro compito è tanto arduo quanto fondamentale: garantire la solidità della loro famiglia quanto quella della società in cui vivono attraverso la propria lungimiranza, per non abbandonarsi alle pulsioni poligame e violente che faticosamente cercano (e dovrebbero) contenere. Il padre è pazienza, il padre è progetto.

Ma in un mondo dove le masse e i loro movimenti telematici portano il vessillo dell’utilitarismo e dell’istantaneità, dove la meritata liberalizzazione sessuale prende però talvolta l’aspetto di una promiscuità istintiva, dove la politica procede a passo di tweets, cosa ne è stato del padre?

Abbiamo intervistato a riguardo lo psicoanalista.

“La fissazione con la disciplina è una fissazione del padre di ogni cultura e di ogni tempo. Questo perché ogni padre è, a sua volta, frutto di una domesticazione psichica degli istinti poligami e violenti del maschio animale. La corazza, che esemplifica i suoi modi spesso bruti e che il padre indossa senza poi più saper togliere, è dovuta al moto ondulatorio tra casa e mondo” afferma Luigi Zoja.

E qui interviene quindi il paragone con Ettore. Guerriero, ma Padre allo stesso tempo. Capace di indossare l’elmo al di fuori delle mura, ma altresì capace di toglierselo di fronte al figlio intimorito.

“La paternità è una questione di limiti” dice Zoja.

Dopo quella che lui individua come fase primaria, nella quale il figlio è legato alla madre e al mondo da un indefinito “abbraccio oceanico”, in quella secondaria il padre interviene come istituzione, per educare alle istituzioni.

“Eppure il padre non è solo repressione – continua lo psicoanalista – il padre è progetto. Rimane dopo il coito e torna da compagna e figli grazie al ricordo di qualcosa che non è più solo suggerito dai sensi, ma dalla psiche”.

Un concetto ribadito più volte nel suo libro, nel quale, a proposito dei padri primitivi, egli delinea il ruolo e definisce con delicatezza la vera natura: “scoprirono il ritorno in famiglia e la nostalgia che ne è il profeta (…) Forse – diciamolo sommessamente, è una parola impegnativa – inventarono l’amore”.

 

Piccolo excursus storico.

 

“La figura pubblica di Mussolini, ad esempio, non ha alcun corrispettivo con quella privata – dice Zoja – Il Pater patriae non si rispecchia per nulla nel Pater Familias”.

Benito Albino Dalser, figlio avuto da una delle sue numerose amanti e mai riconosciuto, ne è la dimostrazione. Ecco il maschio pre-paterno che dà il suo seme, ma non torna alla famiglia.

Un personaggio come Donald Trump è allo stesso modo un esempio di regressione a maschio animale cui accennavamo sopra.

Se il padre è colui che pone (e si pone) dei limiti, questi ne calpesta uno fondamentale: l’endogamia, ovvero l’accoppiamento con individui familiari, che è da lui provocato senza vergogna. “Se non fosse mia figlia le chiederei di uscire”: più volte di fronte alle telecamere Trump punzecchiava in questo modo sua figlia Ivanka, come mostra anche bene Michael Moore nel suo docu-film Fahrenheit 11/9.

Tutto ciò ricorda molto la condizione del maschio pre-paterno, che come ci ricorda Zoja: “(…) è maschio solo nell’attimo del concepimento, dopodiché non conosce la propria parentela con i figli e può farne oggetto di qualunque tipo ordinario di rapporto, incluso dunque quello sessuale”.

Abbiamo invece bisogno di padri. Di individui psicologicamente complessi capaci di organizzarsi a favore del bene comune.

Perché come scrive lo psicoanalista nel suo libro: “(…) i protouomini si accordarono, non, come aveva supposto Freud, per aggredire il patriarca che monopolizzava le femmine ma, al contrario, per smettere di aggredirsi: per spartirsi le femmine secondo una regola.”

Ciò che però Zoja ha chiamato Demoteismo nel suo libro Psiche (Bollati Boringhieri, 2015), ovvero la divinizzazione moderna della masse divenute ormai fondamentali per economia e politica, cambia oggi totalmente gli equilibri della società. Le masse divengono fondamentali agli scopi di leader che si millantano di essere padri per i loro popoli, ma non hanno nulla a che vedere con Ettore.

“Il ritorno dalla Grande Guerra delle masse di uomini come soldati insoddisfatti e non come padri – dice Zoja  – è stata una delle forze propulsive del fascismo”.

Si ripresenta in questi uomini la totale assenza di progettualità e anzi la proiezione di pulsioni inconsce su di un leader, dettate da una pressione psichica che non può non emergere.

I revanscismi post-bellici, ci dice Zoja, hanno fatto leva sulla psicologia profonda degli individui.

Citando le Tavistock lectures Junghiane, spiega a riguardo come lo psicoanalista svizzero già dicesse che la morte di Dio annunciata da Nietzsche non potesse essere sostenuta dall’inconscio umano: “Si svuotano i cieli, ma il bisogno archetipico rimane immutato e di volta in volta si esprime in immagini prese a prestito dai tempi”.

Le pulsioni primordiali alla trascendenza non possono essere represse, ma al massimo traslate su di altri piani, spiega Zoja. Se l’intera teoria Junghiana dell’inconscio collettivo ha senso, noi abbiamo allora bisogno di Dio, nel senso più lato di un riferimento superiore ai nostri umani limiti.

E viene conseguentemente da pensare ai culti delle personalità, alle parate di masse, liturgie moderne consacrate agli dei delle folle, alla soddisfazione istantanea di frustrazioni e timori viscerali, fomentati da un’affezione psichica molto sottile. Tema, questo, che ci permette di spostarci ad un altro argomento tanto attuale quanto scottante.

 

La ricerca propagandistica del colpevole

 

La paranoia come strumento politico è efficacissima perché contagiosa, ci dice infatti Zoja.

“Il paranoico spesso è convincente, addirittura carismatico. In lui il delirio non è direttamente riconoscibile. Incapace di sguardo interiore, parte dalla certezza granitica che ogni male vada attribuito agli altri”.

Così lo psicanalista in Paranoia. La follia che fa la storia (Bollati Boringhieri, 2011).

Che siano gli ebrei per Mussolini, i messicani per Trump o gli immigrati per Salvini, questo non cambia nulla. Le masse vogliono una ragione, vogliono un capo espiatorio. E i loro leader maschi-alfa travestiti da padri glielo danno.

Potremmo citare a tal riguardo la recente campagna social per la manifestazione della Lega di Salvini a Roma, l’otto dicembre scorso:  una serie di fotografie di varie persone, da Saviano a Gad Lerner, da Asia Argento a Gemitaiz, accompagnate dall’head line “Lui/lei non ci sarà”.

È questo un meccanismo di aggregazione, una tattica di emarginazione ad hoc: noi siamo i buoni, loro i cattivi. Non esiste autocritica, il male sono sicuramente gli altri. Eppure scommettere su di una politica paranoica può rivelarsi controproducente. Le conseguenze paiono comuni al di là del tempo.

Zoja ci ricorda infatti la storia di Cola Di Rienzo, notabile romano del Trecento, che, dopo un brillante cursus honorum presso la corte papale ad Avignone, torna a Roma per garantire stabilità fra le dispute baronali. Prende il potere fra l’acclamazione della gente, e per esso perde la testa.

Si parla di feste e banchetti, intanto la popolazione si accorge che non è cambiato nulla. La massa, per usare un termine a noi noto, lo cerca a palazzo, lui si traveste e tenta di fuggire. Viene riconosciuto e pugnalato da un concittadino. Viene appeso per due giorni, il terzo il suo corpo è bruciato. Ricorda qualcuno? Esatto, Mussolini.

Questa storia può dunque  dimostrarci che usare politiche xenofobe significa a lungo termine convincere le persone che chiunque altro potrebbe essere il nostro male, anche lo stesso che ce ne ha convinto. Il quale viene quindi a sua volta individuato come il capro espiatorio e giustiziato. Quello che hanno fatto i gerarchi è stato ingannare i propri “figli”, asservirli ai loro scopi.

Un padre non può dare al figlio attenzioni interessate ad un fine, il suo amore deve passare attraverso la speranza che, come si augura Ettore durante il suo ultimo saluto ad Astianatte, qualcuno vedendolo dica: “È molto più forte del padre.”

Come scrive Zoja: “Ettore è già un padre nel senso affettivo e civile. È insieme due cose moderne: padre di famiglia e padre della patria.”
Lo è dunque proprio perché guarda al figlio con la stessa disinteressata speranza con cui immagina una patria migliore anche senza la propria presenza. Cosa inimmaginabile per l’ autoritarismo tutto muscoli cui oggi stiamo venendo ri-abituati.

Eppure, per concludere, se grandi aggregatori di folle come Hitler e Stalin erano profondamente paranoici, non era così Mussolini.

Zoja tende infatti a definirlo psicopatico. Cioè, in termini analitici, privo di super-io, quindi privo di limite.

Il cerchio si chiude, insomma, dimostrando nuovamente la vera natura del maschio-alfa: affetto da manie croniche di superpotenza e privo di alcuna progettualità.

Non cresce i figli quanto non cresce il suo seguito, adombrandolo con il suo stesso smisurato ego. E così come il gorilla che si batte il petto, per citare nuovamente Il gesto di Ettore: “(…) questa brulicante potenza maschile è inetta come il suo oceano di sperma.”

 

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